La scienza del Novecento: una sconfitta?

Einstein da ragazzo sognava di cavalcare un raggio di luce. Non cessò mai di sognare, e le sue fantasie si risolsero in una teoria che sgretolò la meccanica classica, dimostrando che le sue leggi non erano universalmente valide – lo sbigottimento dei fisici fu totale, Ma davvero questo signor Einstein ha fatto saltare in aria tutta la fisica di Newton? La ricerca scientifica, da allora, si è spinta oltre. Non è difficile immaginare la crisi in cui precipitarono gli scienziati con la nascita della fisica quantistica, con la scoperta del margine di incertezza che essa proponeva e che risultò insopportabile ad Einstein; ancor peggiore fu lo sconvolgimento causato dall’apparente fallimento della meccanica quantistica nei buchi neri, d’altronde è dogma degli scienziati – mi sia perdonata l’infelice scelta della parola – che le leggi della fisica, in quanto tali, debbano funzionare in tutto questo sterminato buco chiamato universo, però non c’era niente da fare. Si immagini l’esultanza di quei signori che avevano in odio il – per lungo tempo – prodigioso successo della scienza nel vedere che, finalmente, l’uomo quasi elevatosi a Dio era tornato miseramente uomo, era ripiombato con un certo fragore – dopo aver creduto di aver imbrigliato l’universo – sulla Terra, finalmente aveva abbandonato le sue manie di onniscienza: si era sbagliato.

Ma effettivamente, non si è ancora riusciti a conciliare quanto sembra accadere nei buchi neri con il determinismo introdotto dalle teorie di Einstein; la scienza sta lottando per risolvere i paradossi che questi oggetti dell’universo sembrano introdurre. Nondimeno, non cederemo così facilmente ai nostri oppositori che sostengono che questo dimostra che la scienza è solo un modo come tanti di guardare la realtà, non meno soggetto a errori e bisognoso di correzioni di qualunque altra disciplina. Dunque la scienza sarebbe un mito, una semplice spiegazione della realtà, non più valida di, ad esempio, la religione? Si prenda proprio la religione come materia di confronto con la scienza.

La scienza non è incondizionata e quasi mai pienamente oggettiva, in accordo con quanto fa presumere anche il principio di indeterminazione di Heisenberg, che distrugge la possibilità della scienza di prevedere qualunque cosa. C’è sempre qualche errore legato agli strumenti di misurazione, alle situazioni contingenti, al soggetto che svolge l’esperimento: è il ritornare a grandi passi dell’aspetto qualitativo del mondo nella scienza (molti filosofi novecenteschi, tra cui Husserl, ne sono felici). Nonostante queste falle, è opinione diffusa che la scienza sia considerevolmente più affidabile della religione – e qui sta un problema, proprio perché si pensa che la scienza sia più affidabile. Oggi abbiamo scelto – salvo alcuni simpatici riottosi come gli antivaccinisti – di affidarci ad essa; ma ci troviamo a dover ammettere che della scienza non sappiamo molto, la pancia del popolo ha scelto a mio parere giustamente, forse per una certa legittima irritazione nei confronti della Chiesa – chi potrebbe biasimarli? –, ma è un fatto che in pochi sono convinti per loro personale conoscenza che la scienza ci offra la verità.

Tuttavia, la differenza tra scienza e fede sta nel fatto che una buona parte di tutti noi è sapiente in potenza: se volesse, potrebbe raggiungere un livello di competenza scientifica sufficientemente avanzato da poter dire di sapere, di aver sperimentato, di aver provato con le proprie mani che il mondo funziona come la scienza afferma; invece, nessun fedele giungerà mai alla certezza intellettuale (lo dimostrano secoli di fallimento nel tentare di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio). Se vogliamo, possiamo pensare che alcuni, in ambito di fede, siano sapienti, ma per illuminazione, non certo per aver sudato decenni sui libri.

Mi si conceda di divagare sulla verità scientifica menzionata poc’anzi, e si vedrà come si può constatare che la veridicità della scienza – e il suo valore gnoseologico – non è paragonabile a quella della religione (pur senza addentrarsi nello studio approfondito della fisica o dell’ingegneria, che, se studiate con adeguata profondità, ci offrirebbero sicurezza teoretica della validità di molti enunciati della scienza). Nella filosofia antica la verità è definita come corrispondenza tra il discorso e lo stato delle cose: sembra impossibile provare che la religione dica la verità (si veda quanto detto sopra sul dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio), pare un poco più credibile che lo faccia la scienza. Risulta difficile credere che non dicano la verità gli studi fatti sull’attrito volvente quando vengono costruite con successo ruote per automobili sempre più funzionali, risulta difficile pensare che i fisici si sbaglino nel descrivere l’equilibrio quando vediamo che palazzi alti centinaia di metri stanno in piedi grazie alla straordinaria opera degli ingegneri, è, direi, inconfutabile, anche a fronte di prove empiriche, che la gittata massima di un cannone si abbia quando forma un angolo di quarantacinque gradi con il terreno, proprio quello che avevano teorizzato degli ometti bislacchi seguaci di questa strana forma di religione chiamata scienza. L’esperienza ci suggerisce che la scienza, generalmente, non mente. In alcuni casi, il superamento di una teoria scientifica è dovuto al cambiamento del punto di osservazione, non di ciò che è osservato: il modello geocentrico aristotelico non era corretto né scientifico; la legge di gravitazione universale è stata spiegata, non smentita dalla teoria della relatività generale.

Dunque è vero che la scienza non è immune a errori e che non può prevedere ogni cosa, tuttavia è pienamente conoscibile in modo razionale e ha un rigore logico – oltre che un’efficacia pratica indiscutibile – che anche in un continuo processo di autorifinizione e aggiustamento non si perde mai. Ed è quanto i miti e la religione non hanno, perché i loro enunciati non possono essere per intero posti al vaglio della falsificabilità.

Il sentore della verità della scienza era ben presente anche nell’animo di Galileo, quando decise di abiurare, invece che sacrificarsi come Giordano Bruno. La scienza non ha bisogno di martiri. La sua verità sopravvive indipendentemente da spazio e tempo, e nella sicurezza, quasi tranquillità morale con cui Galilei abiurò si deve vedere una prova della consapevolezza che il compito che la scienza gli aveva affidato non era immolarsi: il sole era al centro dell’universo, checché ne pensasse una cricca di aristotelico-scolastici con manie di onnipotenza. Galileo non doveva, con il proprio sacrificio, dimostrare la validità delle proprie leggi – come invece aveva fatto Bruno, perché è uno dei pochi modi in cui la religione può acquistare credibilità: il vedere qualcuno morire per la fede ha un considerevole impatto emotivo sulle persone. La dimostrazione di Galileo invece giaceva su qualche foglio polveroso a chilometri di distanza, ed era aperta a qualunque mente volesse contestarla, illeggibile a chi avesse scelto di affidarsi.

È lo stesso Galilei che discrimina tra libro della natura scritto in lingua matematica e libro di Dio, creazione umana di divina origine. Nella storia della filosofia, Dio è stato elevato tanto che ha abbandonato il mondo, è stato relegato a misteriosi spazi celesti, finché i pensatori non lo hanno semplicemente lasciato ai suoi affari, concentrandosi sull’esperienza. Sempre Galileo, allontanando l’astrazione a favore della concretezza, trasforma il concetto di realtà (ciò che esiste empiricamente) e ancora conferma, con la sua abiura che pare vigliaccheria ma è sapienza, che la scienza è così forte perché non chiede sangue – è al servizio dell’umanità – ma menti che rigorosamente, in modo per quanto possibile oggettivo, scoprano l’architettura dell’universo.

Ecco perché assimilare la scienza a un sapere fideistico è ingiurioso. La fede – se ricezione passiva di verità indimostrabili – obnubila lo spirito critico sotto una coltre di dogmi, non insegna l’importanza di fare domande, mentre la scienza non è fanatica, ma è sempre in silenziosa attesa, sempre pronta ad essere verificata.

Maria Chiara Menicucci