Che il disagio sia una condizione connaturata alla ragione umana è cosa nota almeno da Freud. La modernità ha accentuato anziché appianare il senso di alienazione di un uomo che si trova sempre più separato da se stesso, dalla sua umanità, dal suo tempo interiore e forzato, per la struttura stessa della civilizzazione, a fare i conti con un’umanità altra e con un tempo esteriore il cui ritmo è dettato dall’economia e dalla tecnica. Assuefatto alla voce della coscienza collettiva e al suono dei meccanismi che quotidianamente scandiscono la sua esistenza sociale, l’uomo non osa immaginare una civiltà alternativa. Perlomeno, non la immaginava, né la riteneva pensabile, prima dell’avvento del Covid-19.
La situazione recente, con l’imposizione di forti limitazioni alla vita sociale ed economica, ha mutato radicalmente la vita di tutti, manifestando un disagio che, tuttavia, è sempre esistito, solo che finora è rimasto per lo più in sottofondo, come il pedaggio da pagare per essere moderni. Relazioni con amici e partner sono state interrotte, abitudini e attività sospese. Costretti alla convivenza forzata con i familiari, ci confrontiamo con un io a cui non eravamo più abituati, senza possibilità di distrazione,
Chiunque, dal povero al ricco, dal giovane al vecchio, può trovarsi ad affrontare situazioni di disagio, che sia di tipo materiale o psicologico-esistenziale. I meno abbienti hanno sempre meno a disposizione rispetto a chi è più facoltoso, non potendo permettersi ciò che li renderebbe alla pari degli altri. Chi invece ha magari un buon lavoro, ben remunerato, può trovarsi nella condizione di dover trascurare la famiglia. Così, il senso di disagio colpisce da un lato il genitore, il quale non capisce quanto possa valere la pena essere agiati se ciò comporta la difficoltà di trascorrere del tempo con i figli, e i giovani, che crescono in mancanza di affetti e autorità familiari, con tutte le possibili conseguenze negative.
Come uscire da queste situazioni, fra loro molto differenti, è cosa difficile da capire. Molte volte è impossibile liberarsi dalla condizione di disagio. È però sicuramente più semplice riuscire a rendere certe situazioni più vivibili. Talvolta ciò può avvenire individualmente. Nella maggior parte dei casi, però, è necessario avere qualcuno al proprio fianco. Due persone risolvono sempre un problema meglio di una. L’empatia, il sentimento di compartecipazione alle sofferenze e alle gioie umane, è lo strumento che ci consente di comprendere problematiche e difficoltà degli. Il bene tornerà sempre indietro, questo dobbiamo ripeterci, perché chiunque potrebbe ritrovarsi in condizioni nelle quali non penserebbe mai di potersi trovare.
Non può però trattarsi di un bene di comodo. Il bene deve essere disinteressato. Dev’essere perseguito per se stesso. Non è mia intenzione fare retorica o filosofia. Il bene cui mi riferisco è il bene del senso comune, pratico; il bene non della società come comunità ideale, ma delle esistenze individuali che la compongono.
Nei casi di disagio materiale, ovvero assenza di mezzi concreti, è necessario cercare di appianare le differenze. Nelle situazioni più gravi è lo Stato ad aiutare i cittadini, con sussidi, agevolazioni e tanti altri provvedimenti. Altre volte, se ne occupano altre associazioni tramite eventi di beneficenza e finanziamenti. In questo modo, un ragazzo meno abbiente e/o particolarmente meritevole può riuscire a proseguire gli studi, una persona qualunque con un progetto può riuscire a metterla in pratica, oppure, come sta accadendo di recente, uno studente che non è in possesso di un personal computer può andare a scuola e prendere uno di quelli messi a disposizione appositamente per l’emergenza. Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa. Possiamo prestare un oggetto che non utilizziamo a chi ne ha bisogno, possiamo donare ciò che abbiamo superfluo in beneficenza, possiamo raccogliere fondi per cause che riteniamo giuste. Quello che magari a noi sembra piccolo, insignificante, può cambiare la vita per qualcun altro.
Non solo chi è materialmente debole può trovarsi in situazioni di disagio. Ciò deriva sempre da una mancanza. Essa, tuttavia, non è una mancanza visibile. Può essere carenza di affetti, può essere insoddisfazione, frustrazione, mancanza di autostima. Può sembrare strano da dirsi, ma risolvere problemi di questa natura è estremamente difficile, in quanto richiede uno sforzo di empatia che sembra superare le nostre capacità. È necessario sapersi immedesimare nell’altro, sforzarsi di comprendere visioni del mondo, della vita o anche di uno specifico ambito che magari non ci appartengono. Poiché inoltre il disagio genera altro disagio, chi versa in condizioni difficili raramente vorrà esprimersi o confidarsi sui suoi problemi. Alcuni riguardano le relazioni interpersonali, come la percezione di essere trascurati o l’insoddisfazione. Altri riguardano il rapporto che ciascuno di noi ha con se stesso, relativamente all’aspetto fisico, alla personalità, alla condizione sociale.
Noi esseri umani siamo esseri sociali e di conseguenza dialoganti. Senza dialogo, senza nessuno con cui condividerli, le nostre ansie, le nostre aspettative mancate vengono represse ma non annientate. Isolate dalla vita relazionale, emarginate come un vizio o una vergogna, crescono dentro di noi fino a strabordare, assumendo proporzioni che in origine non avevano. Anzi, spesso, se affrontate per tempo mostrano tutta la loro inconsistenza. Sono problemi che l’uomo si crea spontaneamente e di cui poi non riesce a liberarsi, come incubi in cui finisce per credere.
Non esiste una soluzione semplice. Da un lato occorre un lavoro di autovalutazione, da cui emergano i propri punti di forza e le proprie debolezze, così da poter diventare persone consapevoli di se stesse e degli altri. Ciascuno di noi deve poter rendersi conto della sua intrinseca unicità, delle caratteristiche che lo contraddistinguono ed apprezzarsi, sempre, indifferentemente dal giudizio altrui. Tale introspezione, tuttavia, non può non avvenire che in società. Molto spesso è l’assenza di interazioni genuine che porta al disagio esistenziale. Dobbiamo renderci conto di queste situazioni. Dobbiamo farlo in famiglia, con i nostri amici, con le persone che abbiamo attorno.
In particolar modo nella situazione attuale, che vide costretti a casa, in un isolamento che è molto più spirituale che fisico, possiamo fare qualcosa. Oggi, nel 2020, basta poco. Un messaggio su Whatsapp, una chiamata al telefono, una videochiamata. Un semplice «Come stai?» può far sentire una persona più importante di quanto non si sia mai sentita in vita sua. Riparlare dei bei momenti trascorsi può far dimenticare per un attimo i problemi tra le mura domestiche o di altra natura. Sfogarsi, o far sfogare un amico, può diventare una vera e propria prova di fedeltà. Mostrare le proprie debolezze alle persone che magari si sentono insicure, per rendersi conto che la perfezione, purtroppo, non appartiene a questo mondo. A scuola, passare del tempo con un ragazzo escluso dagli altri può evitare la sua emarginazione. Dimostrare l’amore che si prova per il partner può, improvvisamente, cancellare tutti i suoi dubbi. Così come, in una relazione è sempre fondamentale discutere chiaramente dei problemi, salvo evitare che essi si trasformino in gelosia, invidia, odio. I motivi per cui tendiamo a trascurare chi ci sta attorno sono innumerevoli: molto spesso ci accorgiamo di certe situazioni ma, per pigrizia – nel migliore dei casi –, ci copriamo gli occhi. Altre volte, presi dai nostri problemi, dalla nostra vita frenetica, nemmeno ci rendiamo conto di come si sente chi ci sta intorno, né ci importa.
Sarebbe sufficiente che ci sforzassimo di diventare individui più consapevoli dell’ambiente in cui viviamo. Tutte le persone che ci circondano fanno parte del nostro «habitat» e finiscono per condizionare noi stessi. Lo stare con persone nocive renderà nocivi anche noi stessi. Cosa fare allora? Cominciare ad escludere? Scartare coloro i quali potrebbero influenzarci negativamente? Chiudere gli occhi di fronte ad un problema non lo risolve, lo peggiora. A questo punto basta cominciare a fare del bene, partire dai piccoli gesti. Ciascuno di noi può farlo, in proporzioni diverse in base ai propri mezzi, ma nessuno è escluso, o scusato, dalla possibilità di fare qualcosa di buono. Migliorare la vita degli altri migliorerà il nostro ambiente. Dunque, anche noi.
Cosimo Lamichhane