Il giovedì non l’ho mai capito.
In dirittura d’arrivo verso la domenica, ma
nel pieno della settimana, impegni ansie dolori.
Tu sei il mio giovedì,
dai giorni di riso alle sere di farfalle integrali fatte dardi.
Due fatti per intendersi, nessuno per ascoltarsi.
Ti ho concesso premurosa le meraviglie della mia conoscenza, come segnalibro
una primula vizza,
tu angolo piegato; e non ti meravigli più.
Quella grinza che nasce sul sorriso quando mi disilludo
(odiavi il ludo giocoso nella parola, fuori luogo e maligno)
ha formato una ruga, nel tempo.
Tempo andato, torna senza essersene davvero andato ma
in un secondo la mia giovinezza era antica, stremata
(dall’essere mal amata?).
Io che somatizzo e tu attizzi discussioni, amore
non vuoi me, non vuoi lasciarmi andare
a forza di tirare la corda finisce per rompersi
chi prenderà i miei pezzi? Non tu.
Il vento li accarezzerà, richiamati dall’aria e così
le tue lacrime (il solipsismo, disastroso sisma per l’amore, ancora le sopprime)