Ogni giorno una piccola attività a conduzione familiare, magari quella che conserviamo nella nostra memoria sin dall’infanzia, chiude. La piccola impresa è, in un Paese come l’Italia, la cellula economica fondamentale, ma queste cellule sparse su tutto il territorio non reggono la competizione dei colossi commerciali. I consumatori, vuoi per convenienza di prezzi vuoi per comodità, preferiscono acquistare sul web o nei centri commerciali, e qui non c’è concorrenza che tenga.
Assistiamo a malincuore alla distruzione di quel commercio vicino alla gente che aveva caratterizzato la morfologia e la vita stessa delle città. Non è necessario guardare molto lontano. Succede anche qui. Succede a Il Tempietto. Questa storica cartolibreria, nascosta tra il cinema Splendor e il Liceo Lorenzini, da decenni fa parte del tessuto storico e culturale di Pescia. Ora sta esalando l’ultimo respiro: da alcuni giorni nelle vetrine non si trovano più i caratteristici zaini e giochi o la classifica settimanale dei libri più letti, ma al loro posto appaiono i grandi cartelli di liquidazione totale. Purtroppo, la vicinanza alla scuola non è bastata a contrastare la nuova economia.
La chiusura de Il Tempietto non comporta solo una complicazione pratica per gli studenti, che la consideravano un appoggio non da poco per le necessità dell’ultimo minuto – dai fogli protocollo alle fotocopie –, o per l’acquisto di articoli particolari altrimenti irreperibili. Con Il Tempietto viene meno un tassello della nostra identità. È il trionfo di quelli che l’antropologo francese Marc Augé ha definito «non-luoghi», spazi costruiti per un fine specifico come le autostrade, le hall degli alberghi, i grandi parchi di divertimento, le catene di distribuzione commerciale. Si contrappongono ai «luoghi», agli spazi in cui il commercio economico è anche commercio di idee e relazioni. Come dire Socrate che si reca all’agorà, contro l’hater anonimo di Facebook. I non-luoghi sono caratteristici della nostra modernità. Sono radicati nel presente, e continuano nel futuro solo per marketing, ma non hanno prospettiva né storia. Il Tempietto ha una storia.
Verrebbe da dire «È l’economia, bellezza!», ma sarebbe troppo comodo. Il movimento del Friday for Future e, adesso, quello delle sardine, dimostrano che alle volte sono le piccole azioni, le scelte quotidiane che cambiano davvero la realtà. Per ottenere questo cambiamento radicale è necessario un mutamento di mentalità: venerdì 29 novembre, i «ragazzi di Greta» hanno manifestato anche contro quello che è ormai il simbolo della nuova globalizzazione, il Black Friday. Ma nemmeno questo è sufficiente, se non cambiamo dentro. Quello che ci resta da chiederci, e che deve ispirarci nelle nostre scelte è: Cosa faremo dopo che tutto sarà distrutto? Quando i prezzi del mercato saranno decisi, non dalla libera concorrenza, ma da un’oligarchia ristretta? E soprattutto: passeggiando nelle strade delle nostre città cosa ci fermeremo a guardare, solo serrande chiuse?
Diana Papi