Mercoledì 5 febbraio le classi del nostro istituto che hanno aderito al progetto Incontro con l’autore curato dalla prof.ssa Quintavalle, hanno avuto l'opportunità di incontrare il poeta e latinista Alessandro Fo. Classe 1955, nipote del Nobel per la Letteratura Dario, uomo quieto eppure appassionato, il professor Fo ha fin da subito catturato la nostra attenzione col suo fare affabile, unendo la sua esperienza poetica a quella umana, in un dialogo che ci ha accompagnato per circa un’ora e mezzo e in cui il tempo ci è sembrato volare. Non è stata una lezione cattedratica, ma più una ‘confessione poetica’. Ci ha raccontato di sé per parlarci di noi, dello sguardo differente che ci rende poeti. Perché poi alla fine sembra una domanda complicata «che cos’è un poeta?», ma il prof. Fo ci ha risposto semplicemente che un poeta è un uomo che vede in modo diverso.
Ha esordito raccontandoci il suo incontro quasi casuale con la letteratura latina – «volevo fare il cantautore», ha detto: preparando l’esame di maturità ha avuto l’opportunità di incontrare l'opera De reditu suo (Il ritorno) di Rutilio Namaziano, in cui il resoconto di un viaggio da Roma alla Gallia si trasfigura in un viaggio nella memoria, con il poeta che a stento riconosce paesaggi e monumenti visti da ragazzo e ora trasfigurati dalla rovina. Questa è la poesia: guardare e cogliere particolari anche di poco conto per la maggior parte degli uomini e inserirli in un mondo immaginifico. E così, con la stessa logica delle ‘piccole cose’, un autore tardo e minore ha cambiato la vita di Fo, imprimendo una svolta decisiva – e fortunata – alla sua carriera di studioso.
La memoria quindi non è un semplice deposito di ricordi o una parola da rispolverare una volta l’anno. Avere memoria vuol dire vivere la memoria, come Rutilio. È stato dunque naturale per Fo riflettere, dato il periodo, sulla Giornata della memoria e su come certe disumanità dei nostri tempi destino la memoria degli orrori passati. Ci ha così letto Esseri umani di cui ci piace ricordare il fine eco letterario di Levi e di Dante in chiusura
“Voi che in alto mare o a cento metri da riva
gettate in acqua i profughi a affogare,
voi che li rapinate del poco rimasto
(…)
considerate la vostra semenza
considerate se questo è un uomo.”
e un inedito ispirato al discorso tenuto da Liliana Segre davanti al Parlamento Europeo in seduta plenaria lo scorso 29 gennaio, mostrandoci come il processo di scrittura sia stato qui orientato alla selezione e alla ripresa puntuale delle parole della senatrice:
“So che testimoniare è il mio dovere
(…)
non vorrei più parlarne eppure devo”.
Proprio quest’ultima lirica è stata l’occasione per entrare nel merito della creazione artistica: quando componiamo non dobbiamo essere scontati, soprattutto nella scelta dei titoli perché «la poesia è fuga dalla banalità». «Cosa mostra questa foto?», ci ha chiesto proiettando una fotografia di J. E. Azevedo in cui un'onda infrangendosi sugli scogli sembra ricreare il volto di Nettuno: l’arte poetica è «la capacità di vedere una piega nascosta nella realtà», il «tentativo disvelare le voci nascoste del reale e saperle ritrasmettere».
Ci ha quindi raccontato delle difficoltà della traduzione lirica dell’Eneide e della scelta di rendere un autore come Catullo in metri barbari; della genesi di alcune poesie contenute nella sezione «Angeli» della raccolta Mancanze, tutte ispirate ad occasioni e persone reali, così come quelle di Giorni di Scuola, dedicate ad alunni incontrati in una gita in Spagna in cui accompagnava l’ex-moglie docente di lettere. Ha quindi concluso l'incontro leggendoci, in anteprima, un componimento che uscirà nella sua prossima raccolta Filo spinato, relativo ad un avvenimento accaduto al nonno durante la Prima Guerra Mondiale che ne avrebbe potuto determinare la morte, sottolineando come il caso avrebbe qui potuto incidere anche sulla sua propria venuta al mondo. Ciò ci ha molto colpito.
In fondo la vita, e dunque la poesia è un’occasione. Questa – ci pare, l’essenza della bella lezione che mercoledì scorso abbiamo imparato.
Zoe Franchi e Benedetta Innocenti
con il contributo della prof.ssa Pagni