Miglior regia. Miglior performance. Migliore colonna sonora. Questi i premi ottenuti al Game Award 2019 da Death Stranding di Hideo Kojima. Leggendario game designer della serie Metal Gear dal 1987, Kojima lavora al progetto di Death Stranding dal 2015, quando ha deciso di separare la sua software house, Kojima Productions, dalla associata Konami. Il gioco è stato annunciato ufficialmente in occasione dell’Electronic Entertainment Expo 2016 con due suggestivi teaser trailer girati in motion capture e fotogrammetria che mostravano protagonista e antagonista, interpretati rispettivamente da Norman Reedus (The Walking Dead) e Mads Mikkelsen (Le mele di Adamo, Il sospetto, Hannibal), premiato giovedì scorso per la miglior performance.
Il trailer lasciava trapelare una trama complessa e un’esperienza di gioco all’attesa delle aspettative. Con un prodotto Kojima non si ha mai a che fare con un semplice videogioco ma con un’opera d’autore. La serie Metal Gear, in particolare l’acclamatissimo Metal Gear Solid, ha mostrato negli anni ’90 le potenzialità del videogioco come opera artistica e narrativa. Il videogioco non è più un semplice passatempo ma si arricchisce di una profondità narrativa di taglio cinematografico e inizia a configurarsi come esperienza immersiva.
E Death Stranding? Uscito lo scorso 8 novembre ha polarizzato pubblico e critica. Apprezzato entusiasticamente in Europa e Giappone, ha invece suscitato reazioni contrastanti negli Stati Uniti, in cui gli utenti prediligono giochi d’azione, e Death Stranding più che azione propone un viaggio, un viaggio attraverso la dissoluzione e la riconnessione. L’ambientazione è distopica: gli Stati Uniti non esistono più, si sono sconnessi in una serie di città – le United Cities of America – in seguito a un evento, il Death stranding. La traduzione letterale, poco elegante in italiano, è «spiaggiamento della morte» e richiama nella definizione il fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei. La cosmologia del gioco prevede oltre alla realtà materiale umana, una dimensione parallela, l’aldilà, e tra le due una soglia di collegamento, la Spiaggia. Il Death Stranding è dunque un’erosione del piano di realtà che ha comportato l’ingresso nella nostra realtà di creature note come Creature arenate (CA), esseri fuori posto. L’alterazione dell’equilibrio tra due piani ha generato un fenomeno atmosferico catastrofico, la Cronopiogga (Timefall), una pioggia che possiede la capacità di alterare il tempo, deteriorando entità viventi e oggetti inanimati a una velocità vertiginosa. Solo i membri di una compagnia chiamata Bridges («ponti») osano sfidare le attuali condizioni del mondo attraverso i loro corrieri, trasportando informazioni e rifornimenti. Sam Porter Bridges, il protagonista, è uno di questi corrieri. La sua sfida sarà quella di portare a compimento il suo incarico, sfidando Creature arenate, banditi e terroristi. Lo scopo è ricreare una connessione.
Nella trama sono evidenti spunti della letteratura di genere. Si pensi alla serie di Stephen King La Torre nera, incentrata sul medesimo concetto di armonia dimensionale e dissoluzione dei legami, o al film di Kevin Kostner The Postman, in cui l’unica possibilità per gli Stati Uniti devastati da una guerra apocalittica risiede nella ricostituzione del servizio postale. Altrettanto evidenti le riflessioni di stampo più teoretico, sul senso della morte e dell’umanità. La morte è percepita non tanto come un evento fisico ma ontologicamente come disconnessione; la vita, e la civiltà, di conseguenza implicano un processo di riconnessione. Interessante a proposito notare come la modalità online preveda la possibilità da parte degli altri giocatori di influenzare reciprocamente il proprio mondo di gioco, senza interazione diretta ma semplicemente modificandone l’ambiente – un sistema che ricorda in parte il primo Dark Souls. Infine, per concludere la panoramica sulla filosofia di gioco, occorre menzionare il bambino prematuro che ha colpito l’immaginazione degli spettatori sin dal primo trailer. Norman Reedus lo trasporta addosso in una capsula per quasi tutto il gioco: si tratta di un Bridge Baby, un «bambino ponte», che per la sua condizione intermedia di non-nato consente di percepire la presenza delle creature arenate; si stabilisce inoltre tra il portatore e il bambino un legame simbiotico, che permette al primo di interagire con i pensieri del secondo.
Sotto il profilo tecnico, Death Stranding gira a 2160 p (4K), utilizzando la stessa tecnica di checkerboard rendering e lo stesso motore grafico (Decima) di Horizon Zero Dawn. L’HDR è top tier. Il frame rate si mantiene stabile sui 30fps tranne qualche calo, in particolare nelle cut scene.
Con una particolare attenzione alla consegna e al carico, Death Stranding non è un gioco che risponde alle esigenze di tutti, specialmente nelle fasi iniziali. La sua denominazione di gioco di avventura, come ha precisato lo stesso Kojiima, non deve trarre in inganno: si tratta di un gioco che innova il genere, o quanto meno ambisce a farlo. Death Stranding è un gioco che si impone per la narrazione e per la colonna sonora Ludvig Forrssen, per le capacità performative degli attori e per il significato concettuale e artistico.
Parlare di Death Stranding come di un simulatore di corrieri equivale a sostenere, come pure è stato fatto, che in Grand Theft Auto si guidano soltanto le auto oppure che Read Dead Redemption 2 è un simulatore di viaggi a cavallo. È quantomeno riduttivo se non ingeneroso.
Giacomo Lucchesi