Gli eredi di Prometeo

L'alba della meta-ingegneria

Citando liberamente e, in una certa misura, impropriamente, Fëdor Dostoevskij, si può dire che l'arte dell'ingegneria – e dico arte non per volontà di riportare rigorosamente le parole dell'autore o per estro poetico, che pur è certo presente in qualsiasi testo, persino scientifico a patto che non sia privo di una qualche velleità estetica, ma per ricordare la natura creativa e fantasiosa, spesso dimenticata, della tecnica – è l'abilità, l'impegno, il costante sforzo degli esseri umani per nobilitarsi e per sollevarsi dal fango in cui la natura in origine li pose, e, in generale, per aggirare, scavalcare o, meglio ancora, sfondare i muri che quella medesima natura eresse tra loro ed il progresso, il che, come già lasciavo intendere, non è molto diverso dalla funzione che comunemente si attribuisce alla poesia o alla musica.

«Ingegneria» è quindi sfruttamento della propria capacità intellettiva e pratica per operare all'interno di un sistema naturale con cui ci si è trovati a fare i conti e in cui si è stati «gettati», coerentemente alle sue caratteristiche ed alle sue specificità, previa analisi e consequenziale adattamento. È quindi ingegneria costruire un tetto per ripararsi dalle intemperie o inventare un congegno che permetta la visione notturna; in un mondo in cui i temporali e il buio sono sempre esistiti e sempre esisteranno – «forse», aggiungerebbe Hume – l'uomo ha imparato a convivere con essi, trovando il modo di contrastarne e valorizzarne, invece, le potenzialità, trasformando ad esempio l’acqua in energia e strutturando la società in modo che le sue attività fondamentali si svolgano di giorno, lasciando la sera al sonno ed allo svago.

Per merito di questa straordinaria capacità della nostra specie, indubbiamente stimolata da un fisico inadatto al volo, al nuoto o ad altre abilità proprie di altri animali ed essenziali per la loro sopravvivenza, ma che ben si presta, tramite gli arti superiori a vastissime applicazioni tecniche – già Anassagora affermava che sono le mani a rendere gli uomini superiori agli altri esseri viventi, come poi l’antropologia ha confermato, anche se le mani senza un cervello a ben vedere servono a poco più che a spaccare noci di cocco. Ebbene, grazie ad essa siamo riusciti nel corso dei millenni a progredire ad un ritmo esponenziale – ricorsi storici permettendo – perché ogni scoperta e invenzione ha aperto la strada a nuove scoperte e invenzioni sempre più audaci e ammirabili.

Ed eccoci giunti – anche se a ben vedere vi siamo già da lungo tempo – a un livello tale di complessità che le speculazioni ingegneristiche, in ogni ambito dello scibile umano, hanno raggiunto una raffinatezza inimmaginabile ed incomprensibile se non agli specialisti; speculazioni che, come si diceva prima, nascono tutte da quell'iniziale condizione naturale, indipendente da noi e che, proprio noi, abbiamo saputo studiare e modificare con l'utilizzo della mente in base alle nostre necessità e volontà. È così nato un nuovo tipo di ingegneria, in tutto simile a quella tradizionale, se non che gli assiomi su cui si basa, i problemi che tenta di risolvere e, in generale, i punti di partenza della sua attività non sono naturali, ma artificiali. Forse banalmente, forse perché sempre appare banale un'intuizione soprattutto a chi quell'intuizione l'ha avuta, o forse perché l'intera riflessione qui formulata è da collocare nella galassia di mediocrità che questo mondo costantemente genera, a questa ho attribuito per amor di categorizzazione e volontà di chiarezza il nome di «meta-ingegneria».

È meta-ingegneria, ad esempio, tutto l'apparato dei linguaggi di programmazione che rendono più facile lo sviluppo di software, senza bisogno di dover utilizzare direttamente il codice binario. Sono, appunto, espedienti tramite cui si semplifica l'approccio di un uomo non alla natura ma al lavoro di un altro uomo, secondo i medesimi procedimenti dell'ingegneria, ma operando in un ambiente artificiale. È meta-ingegneria la filastrocca per insegnare ai bambini i nomi dei mesi, è meta-ingegneria l'abituarsi ad andare alla fermata ad un orario preciso, supponendo grazie all'abitudine il momento del passaggio dell'autobus e il margine d'errore di tale supposizione. Gli esempi sono potenzialmente infiniti; non se ne elencano altri solo per vanità dell'atto e pigrizia dell'autore. Per riprendere la citazione d'ouverture, è meta-ingegneria lo sforzo dell'uomo per abbattere i muri che non la natura ma l'uomo stesso eresse pietra su pietra.

A renderci una specie di meta-ingegneri sono stati essenzialmente tre fattori. Innanzitutto, la già citata complessità della tecnica odierna, intesa quale coesistenza ed interazione di ogni nostra creazione, nel cui novero rientrano anche le lingue, e di ogni nostra produzione: un composito groviglio di differenti dispositivi, convenzioni, prassi e teorie, in cui non esiste un singolo architetto, ma milioni di demiurghi senza volto che ne hanno, poco alla volta, modificato la conformazione aggiungendo tasselli più o meno integrati tra di loro. Tale assetto la rende estremamente dissimile a ciò che solitamente si intende per sistema artificiale, un artefatto in cui si distinguono la mano dell'autore, un ordine specifico, una ratio, una finalità; al contrario, il risultato è molto simile a quello di un apparentemente caotico e impersonale sistema naturale. Risulta pertanto logico estendere a essa la medesima attitudine che normalmente si applica a qualcosa di naturale e indipendente dall'uomo. Ed ecco che, senza averne una chiara percezione, diamo inizio alla meta-ingegneria. In secondo luogo, val la pena specificare quanto questo comportamento, questa peculiare semplicità con cui ci adattiamo in modo creativo a nuovi ambienti, sia estremamente favorevole per il fenomeno qui descritto. In ultimo, non certo perché meno influente nel quadro generale, la presenza della tecnologia nel nostro stile di vita: sarebbe, del resto, impossibile la nascita di una meta-ingegneria se non avessimo accesso a costruzioni umane su cui basare ulteriori costruzioni umane, se vivessimo davvero esattamente come vivevamo prima che qualcuno legasse insieme un bastone ed una pietra aguzza per cacciare le bestie. Sarebbe impossibile se così stessero le cose, è certo. È però altrettanto certo che le cose così non stiano: non esiste, ad oggi, un membro della nostra specie che non sia stato, volente o nolente, pesantemente esposto all'opera di qualche suo simile, e badate bene che in questa stima comprendo anche le popolazioni indigene rimaste senza contatti con altri popoli, in quanto, proprio in virtù di quell'istintivo adattamento creativo di cui si è detto, nessuno è immune alla tecnica, giacché questa si sviluppa contemporaneamente all'uomo, è in esso connaturata e per esso necessaria.

Mi pare dovuto, a questo punto, ribadire un concetto cruciale ai fini dell'intera dissertazione, ovvero che l'ingegneria tradizionale e la meta-ingegneria sono di fatto la medesima cosa, e che la natura dipendente o indipendente dall'uomo dell'oggetto di studio, di fatto, non influisce minimamente sui metodi di applicazione e sulle strategie apportate per risolvere i problemi relativi a tale oggetto. Perché è dunque significativa la distinzione tra le due discipline? Orbene, ritengo che essa sia utile non per migliorare in qualche modo il nostro approccio alla demolizione del famoso muro, rimandando un'ultima volta, con un gesto colmo di riverenza, a quel passo di Dostoevskij, ma solo per stimolare una considerazione riguardo alla nostra condizione di uomini.

O stirpe prometeica, stirpe di Dedalo, stirpe di ingegneri e di meta-ingegneri, ancora osi, ancora speri e, spesso, ottieni di non aver sperato invano, costruendo, speculando, erigendo immensi palazzi dorati, non ti fermi, aggiungi altri piani alle stessa fondamenta che altri hanno gettato: e non con l'armi o colle stragi, non coi cannoni o colla furia conquisti la gloria, ma solo con l'armoniosa presa di coscienza delle tue capacità e del tuo destino, che ti impone, ti comanda, di sollevarti in alto grazie alle scale che con la tua nobile perizia hai potuto fabbricare.

È forse contro natura l'esercizio di quella mente di cui la medesima natura ci ha forniti? È forse violenza e barbarie, questo slancio di ambizione, questo progettare un folgorante futuro di artificiale genesi? Ebbene, non credo. Ritengo anzi che ad ogni nuovo vaccino sintetizzato, ad ogni bambino coperto da un solido tetto, ad ogni sospiro di due amanti che hanno potuto parlarsi grazie ad un telefono, in questi e in tutti gli altri prodigi che ingegneria e meta-ingegneria hanno regalato al genere umano, credo che si debba gioire ed esser fieri della nostra sorte, ché certo per noi non serbò meno sciagure di quelle riservate agli altri animali, e, tuttavia, fu con noi prodiga di ingegno, con cui superare e vincere quelle sciagure, per noi, stirpe dedala, stirpe di Prometeo, stirpe di ingegneri e meta-ingegneri.

Giovanni Parrillo