Welcome to the soldier side, where there’s none here but me
System of a down, Soldier Side
Il filone dei war movie è probabilmente tra i più apprezzati e remunerativi presenti nelle sale: fin dal secondo dopoguerra il pubblico è ammaliato dalle vicende dei soldati, cerca di immedesimarsi in loro, matura sentimenti antimilitaristi o, al contrario, si lascia esaltare dal lato eroico della narrazione, forse talvolta troppo eroico, di quei ragazzi che vanno incontro alla morte. Da Orizzonti di gloria a Platoon, da I cannoni di Navarone a Lettere da Iwo Jima, passando per Bastardi senza gloria, le rappresentazioni della guerra proposte dalla settima arte si polarizzano tra la spietata condanna dei conflitti (Vittime di guerra) all’esaltazione delle azioni straordinarie e spettacolari che avvengono nella Francia occupata dai nazisti (Quella sporca dozzina) o in una giungla a una manciata di chilometri da Ho Chi Minh (Berretti verdi).
In un simile contesto, sono pochi i film che, documentari a parte, riescono a raccontare la guerra senza far prevalere un indirizzo morale: 1917 di Sam Mendes (già premio oscar per American beauty), è fra questi. La pellicola, realizzata con la tecnica del finto piano sequenza – un'unica lunghissima scena senza interruzioni tra i vari passaggi che determinano lo sviluppo della trama, si pensi ad esempio a Birdman, ma in realtà frutto di più riprese fuse insieme in fase di montaggio, da qui «finto» – , racconta di due giovani caporali inglesi, Blake (George MacKay) e Schofield (Dean-Charles Chapman), incaricati di comunicare entro l’alba del giorno successivo ad un battaglione di 1600 uomini, distante quindici chilometri, di annullare un attacco che li avrebbe condotti in una trappola organizzata dal secondo Reich. Ha dunque inizio il viaggio dei due giovani tra trincee abbandonate e città in rovina, ma, soprattutto, in una spirale di solitudine in cui ognuno può contare esclusivamente su se stesso (o quasi).
Il film non si schiera dichiaratamente contro la guerra, ma si limita a narrarne le atrocità in modo apparentemente asettico – il che è un modo indiretto di condannarla – facendone trasparire gli orrori e lasciando a chi guarda il compito di esprimere un giudizio morale. Questa operazione è possibile grazie all’immedesimazione offerta dalla scelta registica del piano sequenza, sfruttato in maniera tecnicamente impeccabile al punto da catapultare lo spettatore nella pelle del soldato, facendogli condividere la fame, il freddo, la fatica e l’ansia di morire ad ogni passo; si fa strada tra il filo spinato insieme a lui; con lui piangerà la morte di un compagno. La guerra viene raccontata attraverso gli occhi del soldato – e quando non ci sono occhi per raccontarla non viene raccontata affatto.
La dinamicità della trama, la cui linearità è forse l’unico punto narrativamente debole, si sposa a meraviglia con la colonna sonora incalzante e con la fotografia, semplicemente perfetta e in alcune scene incredibile nella sua spettacolarità; altri punti di forza del film sono le scenografie, dalla trincea fangosa e piena di povere anime affamate che bramano soltanto una lettera del comando che sancisca la fine delle proprie sofferenze, ai boschi francesi e ai più pittoreschi e sovraffollati accampamenti di pietra bianca inondati di soldati in procinto di sferrare l’attacco, i costumi studiati nei minimi dettagli e la scelta degli attori, poco noti e semisconosciuti – con l’eccezione di Colin Firth e Benedict Cumberbatch – che ci fanno ricordare che i soldati erano, almeno agli occhi di chi li mandava a morire, dei nessuno; dei nessuno che la morte risparmia soltanto perché sono i protagonisti della loro storia.
1917, anche se non paragonabile a capolavori del genere come Apocalypse now e Il cacciatore, è una delle migliori pellicole degli ultimi anni, quanto meno per le scelte registiche, che difatti hanno portato a tre premi oscar: miglior fotografia, miglior sonoro, migliori effetti speciali. Il suo merito maggiore, probabilmente, è la capacità di rievocare la tragicità di un conflitto inizialmente acclamato a gran voce da giovani che la guerra non la conoscevano e la immaginavano come un’occasione di gloria e di cambiamento contro l’immobilismo della politica. Memoria particolarmente utile in quest’epoca di tristi ricorsi storici.
Federico Arena