«Non ci sei più» . È un senso che sorprende, incespica ma non spaventa.
Pare nata per stare sotto questa stella sfuocata Lei,
sospesa come le pieghe del volto quando il riso si soffoca in circostanza.
Rispetto dei suoi tempi non hai: è una violenza continua a cui avvezza da tempo
è sottoposta, eppure non demorde: temeraria e forte com'è non si logora.
Ma tutto la consuma, nel ricordo del passato non può andare oltre.
Non sa. Se la legge ha imparato di come tutto torna,
diverso in apparenza, uguale nell'essenza di confusione che si staglia,
tutto la preoccupa, frammista a apparenza serena di cosa?
Lasciala nel suo abisso di costrizioni, non attorniarla con finte solerzie.
Lo so, stai lì: la coccoli, la cerchi, la vorresti... eppure non è adesso il suo ritmo
quello che respiri, ma quello altro, tuo, che corrode il suo.
E la lascia stravolta. Lo sente, Lei. Che prova altro dal buono che c'era.
Ti fugge, spaventa, difende sé, gli artigli che ha creato, che non vorrebbe usare
e poi medita, si trattiene, scavalca, sente fastidio e lo getta indietro, ma non parla.
Non teme, rimanda l'attesa di occhi che possano parlarsi e momenti di poi.
Ora guarda altrove per distrarsi e concentrarsi su sé
e come ci riesce ecco che torna il pensiero a corroderla
e torni inatteso Tu, eppure scontato, prevedibile, sfrontato.
Ecco il fastidio che torna, ecco l'orgoglio misto a furia che vaga:
e Tu parlale, accompagnala, trattienila, sostienila,
e invece è un parlare finto di dettagli senza buone sensazioni,
un occupare un tempo che stava bene vuoto com'era.
Allora non l'accetta: taglia, recide, spaesata crea nuovi contorni,
definisce, anzi meglio delinea, riparte mentre sta ferma per andare oltre.
Potrebbe fermarsi, implorare, piangere, evocare scomposti compensi,
eppure in silenzio medita lidi altri dove vagare la mente e il corpo.
Si dà un tempo che non esiste, finge di andare e...rimane.
Sta lì come braccata, mentre ha volto il volto altrove.
Seguila, fermala, bloccala, strattonala, piegala alle tue parole,
al tuo diritto, alle tue conseguenze...e invece no.
Rimani di circostanza, avvolto nel tuo niente di “se”: fingi e non sai.
E non capisci là dove l'errore ha colto l'apice.
Allora fa tutto da sola, come sempre: svolge e riavvolge,
dissemina, fraziona, analizza, raffronta e cade
In un delirio di sé, di trascorsi, di frustrati inconvenienti, cade.
La perfezione è andata, rimane un gioco bellissimo da cui si è sfiorati.
E soccombe a sé, così sfinita, arenata sullo scoglio dei suoi immobili “come”,
plagiata dalle parole di chi parla una voce che sola fierezza sa.
Eppure era bello giocare a cercarsi nei versi di dove volavi,
rincorrere pensieri fra rami di pesco oltre spazi lontani,
tornare a trovare ancora sintagmi medesimi di senso esatto composti.
Eppure era bello giocare con un fuoco che divora sentire,
che rende esanimi da entrambe le parti, eppure vivi oltre quel tempo.
Ecco che reduci da quel gioco di cadute a singhiozzo un sorriso vi prende,
non risa più, laddove ognuno il suo tempo ha trovato,
vi avvolge un pensiero che è brezza sottile di quanto vi fu.
ἡ δεινή
(La Tremenda)