In uno dei suoi saggi, Montaigne, parlando di educazione, insiste sulla totalità della persona umana nel processo formativo. «Non è un’anima – scrive –, non è un corpo che si educa, è un uomo; non bisogna dividerlo in due». Sembrano le parole di un pedagogista moderno. Del resto, la grande tradizione scolastica occidentale, nelle sue espressioni più alte, ha inteso l’insegnamento come convivenza e partecipazione. La modalità didattica alternativa, resa necessaria dalla situazione eccezionale in cui si è svolto l’anno scolastico da poco concluso, ha creato inevitabilmente e involontariamente la divisione paventata da Montaigne. Si è deciso di darle il nome di didattica a distanza, presentandola da subito – per ragioni di varia natura – come una formula consolidata e pienamente alternativa rispetto a quella tradizionale. Se così fosse l’azione didattica risulterebbe facilmente sostituibile con un manuale, un podcast, un video. Se così fosse, inoltre, si paleserebbe una contraddizione rispetto alle dichiarazioni ufficiali che insistono invece sull’inclusività e sulla centralità dei bisogni specifici di ciascun alunno. Ma così non è, perché per caratteristica essenziale l’azione didattica è interazione. Se non tiene presente questo aspetto, come prosegue Montaigne, «non si fanno che asini carichi di libri».
In conseguenza delle misure eccezionali adottate in materia di valutazione degli apprendimenti, gli esami di maturità sono apparsi e sono stati presentati come il banco di prova su cui misurare l’efficacia di questa ‘nuova’ didattica. La sostituzione delle tradizionali prove scritte con un’unica prova orale non li ha resi più semplici. Quest’anno, infatti, gli alunni si sono visti sottratti una parte consistente dell’attività didattica e interazionale. Nonostante tutte le difficoltà, i risultati degli esami di maturità si sono dimostrati in linea con quelli degli anni precedenti. Merito della didattica a distanza? No.
Sin dall’inizio della pandemia la didattica a distanza è stata presentata come una formula efficiente e ben rodata. Di fatto non esisteva prima del 5 marzo, perché non irregimentata in un quadro regolativo definito. Quello che ha funzionato e che ha consentito il proseguimento delle attività didattiche è stato l’impegno congiunto dei docenti e degli alunni, che insieme hanno saputo spostare la scuola dalle aule fisiche a quelle virtuali. Lungi dall’essere un mero bizantinismo, questa distinzione risulta essenziale. Assegnare un nome vuol dire, infatti, dare realtà, anche solo concettuale, alla cosa designata. Ora, non esiste – non ancora, perlomeno – una cosa come la didattica a distanza: è esistita una modalità alternativa a quella tradizionale, che in alcune scuole, come la nostra, ha funzionato per merito delle persone che più delle istituzioni. In un’intervista rilasciata al Giornale di Pistoia, la vicepreside del Lorenzini, la prof.ssa Giovanna Michelotti, ha commentato «Sicuramente ciò che abbiamo sperimentato è una valida alternativa ma soltanto se legata a una situazione di emergenza […]. Di positivo c’è sicuramente l’aver mantenuto gli orari curricolari, di negativo la mancata socializzazione e la ridotta comunicazione con in ragazzi, che non hanno potuto avere il supporto che avremmo voluto dare anche in vista della maturità».
La sfida del Covid non è stata vinta dalla Scuola ma dalle singole scuole che come la nostra hanno saputo convogliare tutte le forze – con estrema dedizione, questo va ribadito –nell’obiettivo di preservare la continuità didattica. È stato merito dei dirigenti, dei docenti, degli alunni se la scuola ha continuato a svolgere la funzione che le è propria – nonostante i titoli di alcuni quotidiani nazionali già ad aprile dichiarassero la fine dell’anno scolastico. Presentare la didattica a distanza, in questa sua forma ancora embrionale, come un modello alternativo – per ragioni, probabilmente, più di ordine politico che pedagogico – è fuorviante e non corrisponde alla realtà dei fatti. Si è trattato di una didattica tradizionale svolta con mezzi alternativi in una situazione imprevista. Indubbiamente alcune soluzioni possono essere utilizzati per integrare la didattica tradizionale – come io steso ho avuto modo di dichiarare in un’intervista al Tirreno – a patto che siano adeguatamente regolamentati e riconosciuti, che siano adeguatamente sostenuti da un piano di rinnovamento digitale, da corsi di aggiornamento per il personale, e soprattutto che non diventino un appesantimento per gli alunni e un alibi per non intervenire nella necessaria, e urgente, opera di ristrutturazione e potenziamento tecnologico della Scuola e negli investimenti sul personale.
La scuola non si è fermata la scorsa primavera e non è ferma nemmeno adesso in estate. L’impegno in questi mesi è garantire la ripartenza in sicurezza a settembre. I fondi stanziati dal piano straordinario dell’Unione Europea potrebbero essere un’occasione di rinnovamento del sistema educativo nazionale e di un effettivo adeguamento degli strumenti informativi agli standard europei. Finché ciò non avverrà «didattica a distanza» resterà un nome esotico.
Il Direttore