Lo Studiolo del Palazzo Ducale di Gubbio è un monumento emblematico della filosofia e dello stile di vita del Rinascimento, espressione della creatività artistica italiana, simbolo di come l’artigianato possa diventare arte con la A maiuscola. Le vicende storiche però lo hanno portato lontano da Gubbio, dal luogo per il quale era stato progettato e realizzato. Infatti questo gioiello era stato venduto nel 1847 ed acquistato dal Principe Lancellotti e montato nella sua villa di Frascati, poi venne ceduto al mercante Adolph Loewi che nel 1939 lo portò negli Stati Uniti e ed è entrato a far parte del Metropolitan Museum. Dopo lunghissimi anni di restauro (dal 1967 al 1996), ora è esposto in una stanza che riproduce esattamente le misure dello Studiolo del Palazzo Ducale di Gubbio.
A Gubbio era rimasta solo una stanza disadorna, nuda, priva delle decorazioni, con il parato murario a vista.
La situazione precedente e quella attuale dopo la realizzazione della replica
Chiaramente non era pensabile che una tale opera potesse tornare in Italia, nemmeno temporaneamente e quindi è nata l’idea di rendere fruibile questo capolavoro nella sua sede originaria ricostruendolo in copia esatta, attraverso l’utilizzo degli stessi materiali e delle stesse tecniche impiegate nel Rinascimento.
Il progetto ha visto tra i promotori in prima linea il dottor Vincenzo Ambrogi (studioso dello Studiolo), il Comune di Gubbio, l'Associazione Maggio Eugubino ed è stato reso possibile grazie al cospicuo finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia presieduta dal Cav. Carlo Colaiacovo. Questo progetto ha visto la luce grazie alle competenze di una bottega artigiana eugubina dei fratelli Minelli, artisti del legno e dell’ebanisteria.
Il lavoro si è protratto per sette anni dal 2002 al 2009 ed è stato certosino partendo dalla ricerca dei tipi di legno (circa una quindicina) ancora presenti nel territorio eugubino, alcuni molto rari come il legno di silio o fusaggine poco reperibile e non utilizzato nella moderna ebanisteria a causa della perdita della complessa tecnica rinascimentale della tarsia. Per la copia dello Studiolo i maestri del legno della bottega Minelli hanno selezionato le specie lignee avvalendosi dello studio di esperti. Il legno più usato era il noce per la vasta gamma di sfumature. I toni scuri erano invece dati dalla cosiddetta quercia “affogata” o “macerata”(una quercia in fase di precarbonizzazione) reperibile scavando nei pressi dei greti dei fiumi o torrenti, assai difficile da trovare e molto costosa. Tale legno era chiamato “legno nero,” ideale per le zone molto in ombra (i fondi scuri degli armadi). Per i legni chiari si usavano l’acero, la fusaggine, il gelso, il pero, il ciliegio, il sommaco. Il pioppo invece è il legno ideale per i supporti dei pannelli intarsiati.
Grazie a riproduzioni dell’originale (formato 1:1) e ad una documentata ricerca grafico-analitica, sono stati importati i lucidi generali di ogni pannello.
La bottega dei Maestri Minelli si è quindi dovuta dotare di utensili appropriati, creati appositamente allo scopo di realizzare le tarsie: sgorbie, raspe, punteruoli, bisturi, taglierini, il coltello da spalla.
Il cantiere procede quindi alla preparazione delle matrici, sezioni di preintarsio sulle quali verranno inserite le varie tessere raffiguranti gli elementi decorativi. Si preparano quindi i cosiddetti toppi, blocchetti di circa cinque centimetri di larghezza, tra i trenta e cinquanta di lunghezza, assemblati con l’ausilio della colla e inseriti nelle appose sedi predisposte sulle matrici. Veri e propri rompicapi geometrici in miniatura. Uno dei più complessi è il toppo a forma di treccia che funge da nastro di riquadratura delle finte credenze dello Studiolo. Questo fregio è il frutto dell’assemblaggio di circa quattordici sottilissime lamine di diverse specie lignee, colori e tonalità per creare l’effetto tridimensionale.
Al termine dell’assemblaggio dei pannelli si è proceduto alle operazioni di verniciatura. Le indicazioni dei trattamenti originali del Rinascimento sono rare e i numerosi restauri dello Studiolo di New York hanno reso impossibile capire quali siano stati gli originali trattamenti di superficie. I maestri artigiani di Gubbio hanno optato per sistemi tradizionali quali olio di noce, gomma lacca, miscela calda di cera d’api ed essenza di trementina.
Il risultato è un capolavoro a detta degli esperti e degli studiosi e ha permesso agli abitanti di Gubbio e i turisti di godere di una ambiente arricchito dalle tarsie perfettamente fedeli agli originali di 600 anni fa.
Un toppo assemblato
Fase di intaglio
Fase preparatoria del torciglione
Assemblaggio dei vari elementi per completare il torciglione
Il torciglione completato, uno degli elementi decorativi più complessi
Gli artigiani che hanno riprodotto lo Studiolo di Federico hanno ricostruito anche il pannello del sottofinestra, (andato perduto durante la spedizione dello Studiolo a New York) , sulla base di una foto in bianco e nero). Sul sedile è appoggiato uno strumento misterioso (un regolo piatto che termina con un peso a forma di farfalla). Sullo schienale è raffigurata la giarrettiera con il motto "Honi soit qui mali pensa" nella quale è racchiusa l'aquila feltresca.
Quindi potremo dire che la copia è più completa dell'originale.
Il titolo ducale : questa iscrizione corre sull'intero perimetro della stanza al disotto del soffitto. Il testo celebra il nome del committente, il suo rango ed i possedimenti. Il titolo di Duca fu conferito a Federico da Papa Sisto IV nel 1474 e rappresenta il punto di arrivo della sua carriera.
Questa iscrizione ricorre spesso nelle proprietà di Federico ed è anche usata come firma in documenti ufficiali. In essa si evidenziano le alleanze da lui stabilite con il re di Napoli, che gli conferì il collare dell'Ermellino e quella con il Papa Sisto IV, che viene rafforzata con il matrimonio di Giovanna, figlia del Duca, con Giovanni della Rovere, nipote del Papa.
La formula del titolo mostra l'aggiunta della parola EUGUBII non riscontrabile altrove, evidentemente voluta per sottolineare l'origine di Federico.
La presenza di questa iscrizione è dibattuta, è molto probabile che fosse nello Studiolo di Gubbio come è presente in quello di Urbino. Un documento del 1660 ne prova l'esistenza e ne indica la collocazione in un "camerimo remoto" con soffitto dorato del piano nobile. Il camerino probabilmente è da identificarsi con lo Studiolo. Secondo questa teoria il titolo sarebbe stato rimosso nel 1673 per facilitare lo smontaggio delle Tavole allegorie delle arti liberali. La presenza del titolo sembra accettabile anche per una ragione pratica. Infatti l'iscrizione si adatta perfettamente allo spazio, altrimenti vuoto, tra i dipinti e il soffitto.
Per amore di completezza è stata riprodotta anche questa iscrizione.