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BATTISTA SFORZA (1447-1472). Nacque a Pesaro nel 1446, probabilmente nel mese di gennaio, primogenita di Alessandro Sforza e di Costanza da Varano, prendendo il nome dalla bisnonna materna. Battista Montefeltro Malatesta; fu tenuta a battesimo, tra gli altri, dal cardinale Bessarione.
Non aveva che un anno e mezzo di età quando la madre Costanza morì, il 13 luglio 1447, otto giorni dopo avere dato alla luce il secondogenito Costanzo. Inviata presso lo zio Francesco Sforza alla corte di Milano nel 1450, vi restò almeno fino alla primavera del 1458; sotto le cure di Bianca Maria Visconti, fu educata insieme con Gian Galeazzo e Ippolita Sforza, suoi cugini. Rientrata a Pesaro alla corte del padre, che si era risposato con Sveva Montefeltro, sorellastra di Federico, si impegnò con entusiasmo nello studio del latino e del greco, della grammatica e della poesia, dimostrando a soli dodici anni un carattere assai determinato, più pronto a comandare che a obbedire: lo sottolineò il medico Benedetto da Norcia in una lettera alla duchessa di Milano, interessata alla crescita della nipote. Nello stesso 1458 venne invitato alla corte marchigiana l’umanista ciociaro Martino Filetico (1430-1490) proprio per attendere all’educazione di Battista e del fratello.
L’anno successivo, durante la dieta di Mantova, fu deciso per volontà di Francesco Sforza, con l’assenso di re Ferrante e di papa Pio II, il matrimonio di Battista con Federico da Montefeltro (rimasto da poco vedovo), non senza immediate proteste di Sigismondo Pandolfo Malatesta. I patti matrimoniali furono conclusi a Pesaro nel novembre del 1459 e l’unione effettiva avvenne l’8 febbraio 1460, con immediato trasferimento di Battista a Urbino. Battista aveva 13 anni e Federico ne aveva 38. Il matrimonio era chiaramente politico, però divenne un’unione esemplare, la sposa bambina, cresciuta alla corte milanese a contatto con un uomo ambizioso, poliedrico, divenne ben presto, anche per le spiccate doti personali, una donna di singolare talento, ricercata ed ammirata.
Molti documenti ufficiali della Corte portano la sua firma e rivelano la fermezza delle sue decisioni, l’invito garbato a concedere giustizia agli umili che si sono rivolti a lei per ottenerla.
Negli anni del loro matrimonio, mentre Federico era costantemente lontano da Urbino per varie campagne militari e impegni politici, Battista risiedette prevalentemente a Urbino, raggiungendo quando possibile il marito negli alloggiamenti militari, e si occupò del governo dello Stato. Nel 1463 fu accanto al marito al momento della conquista di Fano strappata a Sigismondo Pandolfo Malatesta. Nel settembre del 1469 si recò a Rimini per celebrare la vittoria del marito, che aveva sostenuto Roberto Malatesta nella successione alla locale signoria.
Nella primavera del 1472 Federico fu al soldo di Firenze per l’impresa di Volterra, e Battista resse come di consueto il governo dello Stato, dirimendo la lite tra il vescovo di Cagli, il locale ospedale e la confraternita di S. Maria. Progettò e svolse, in quei mesi, una visita del suo Stato, che si concluse in estate a Gubbio.
Federico amò e stimò la sua sposa. Nei dodici anni della loro unione la Contessa mise al mondo 6 figlie femmine: Elisabetta, Giovanna, Costanza, Agnesina, Violante e Chiara. Solo il 24 gennaio 1472 poté dare al marito la gioia dell’erede maschio Guidobaldo. Dopo pochi mesi, nel luglio dello stesso anno, Battista Sforza, sfinita dai parti e colpita da una polmonite, dopo aver partecipato ad una gita alle fonti di Raggio, dove amava pescare, muore a Gubbio. Aveva solo 25 anni.
Fu sepolta – come da sua disposizione – in S. Chiara a Urbino in abito da clarissa e nella sepoltura comune delle suore. I funerali solenni si svolsero il 17 agosto, per volontà di Federico in «solennissima pompa et tanto grande che excedeva la condizione de tal signore» (Anonimo Veronese, 1915, p. 292); mentre l’orazione funebre – una vera e propria biografia – di Giovanni Antonio Campano, vescovo di Teramo, fu data alle stampe a Cagli già nel 1476.
Battista ha contato molto nella vita di Federico. Non per niente questi, fedele alla sua memoria, esclude ogni eventualità di nuove nozze. E, all'ambasciatore mantovano ventilante l'opportunità d'un accasamento con una delle figlie del re di Napoli, Federico replica manifestando seccamente la sua determinazione a "non torre più mogliere", a "stare senza". Insostituibile Battista Sforza.
Battista è ricordata come scrittrice e traduttrice; non sembra sia sopravvissuta alcuna sua opera, ma le sono attribuiti epigrammi, carmi e sonetti, una traduzione dal greco al latino dell’orazione di Isocrate a Demonico, nonché un carme in onore di s. Girolamo. Diversi componimenti a lei dedicati ne evidenziano le capacità politiche. mentre nell’epigramma del famosissimo dittico di Piero della Francesca che ne tramanda l’effigie (Firenze, Galleria degli Uffizi), la si celebra come donna capace di conservare la misura della modestia nella buona fortuna.
Il ritratto più famoso della gentildonna è quello di Piero della Francesca, ora agli Uffizi di Firenze, che ritrae Battista di profilo sullo sfondo delle dolci colline di cui era Signora. Particolare e accurata è l’acconciatura con il taglio dei capelli che lascia molto scoperta la fronte, secondo la moda del tempo che imponeva alle donne nobili un incarnato latteo.
Una “Madonna” dal volto bianchissimo, come d’avorio, il cui profilo si disegna con una linea netta e precisa che lo stacca dal fondo azzurro cielo, quasi ad isolarla nello spazio che si allarga all’infinito alle sue spalle. Che sia una Signora raffinata e di alto lignaggio lo si intuisce non solo dalla veste elegante o dalla pettinatura sofisticata, impreziosita da un gioiello di rara fattura ed ingentilita da un leggero velo di stoffa bianca che si gonfia in un elaborato gioco di pieghe, o ancora dagli esclusivi filari di perle che porta al collo, ma anche dallo sguardo fiero e regale, che pare compiacersi del proprio dominio sulle terre verdeggianti che si vedono sullo sfondo del dipinto. Questa è la raffigurazione che Piero della Francesca ci ha lasciato di Battista Sforza.
I trionfi (carri allegorici) erano un tema caro agli umanisti, perché rievocavano il mondo dell'Antica Roma ed erano carichi di suggestioni letterarie derivate dall'omonima opera del Petrarca.
Il trionfo di Battista esalta le virtù coniugali: essa è colta durante la lettura, con le tre Virtù teologali della Carità (vestita di nero con in grembo il pellicano, simbolo di sacrificio materno che dona le proprie stesse carni per la sopravvivenza dei figli), la Fede (vestita di rosso col calice e l'ostia), la Speranza (di spalle) e una quarta virtù, la Temperanza (frontale). Un amorino guida due liocorni, simbolo di castità. L'iscrizione recita: "QVE MODVM REBVS TENVIT SECVNDIS CONIVGIS MAGNI DECORATA RERVM LAVDE GESTARVM VOLITAT PER ORA CVNCTA VIRORVM" (Colei che mantenne la moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini adorna della lode per le gesta del grande marito).
Le iscrizioni celebrative sono pienamente autografe di Piero, confrontando il carattere usato con quello delle firme su altri dipinti. Secondo una recente interpretazione il carro di Battista raccoglie i ritratti dei defunti legati a Battista. La piccola Costanza, la primogenita legittima, defunta a tre mesi d'età, ha le sembianze di un piccolo angelo, ed è con Battista Sforza. nel carro dei morti, trainato da una coppia di unicorni, cavalli ultraterreni. Sul carro dei defunti non è presente Bonconte, perché non è figlio di Battista Sforza e perché morto due anni prima che Battista arrivasse ad Urbino e quindi non legato a lei. Sul carro di Battista Sforza, in rosso principesco seduta su di un faldistorio, è anche ritratta di spalle Costanza da Verano, sua madre, senza volto, perché morì quando Battista aveva un anno e quindi la figlia non ebbe modo di conoscerla. Si pensa che le tre 'madonne' appartengano alla famiglia Sforza di Pesaro o siano strettamente imparentate con Battista. La donna, vestita di nero, al centro del carro, con un aquilotto bianco (implume) in grembo, viene identificata in Bianca Maria Visconti (defunta nel 1468) , donna di grande carattere e carisma, che Battista chiama mater, per indicare che l'aveva allevata dandole un modello di vita. L'aquilotto bianco, simbolo di forza e fiducia dei Montefeltro, sta proprio ad indicare la piccola Battista. Per le altre due presenze femminili sembra lecito pensare ad una stessa donna: Sveva da Montefeltro, sposata con il nome di Seraphina Sforza, ritratta nei suoi due diversi ruoli: prima dolce matrigna di Battista Sforza, vestita di bianco per voto di castità e posta di fronte alla vera madre, e poi uscita dal mondo -quindi morta-, essendosi ritirata a vita claustrale nel convento del Corpus Christi delle clarisse di Pesaro.
Sempre sul retro del ritratto di Battista Sforza, è rappresentato sullo sfondo un paesaggio senza tracce di vita umana, a parte, a destra, l‟immagine della torre di Volterra che è stata presa‟ (quindi morta) il 28 giugno, sempre del 1472.
Domenico Rossellini, Battista Sforza, bassorilievo, Musei Civici, Pesaro
Francesco di Giorgio Martini, bassorilievo di Battista Sforza, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
Laurana, Battista Sforza, Museo Nazionale del Bargello, Firenze
In ricordo della diapartita di Battista si creò un calco del viso della povera defunta, come gli antichi Romani usavano per ricordare gli avi passati appartenenti a prestigiose famiglie patrizie, fieramente esposti e venerati come fossero sacre reliquie.
La terracotta custodita al Louvre di Parigi, opera attribuita al croato Francesco Laurana (1430-1502) importante scultore, architetto e medaglista, racchiude al centro la maschera funeraria di Battista, tratta da un modello in cera o gesso.
Il viso è posto su di una conchiglia, simbolo cristiano di rinascita e di grande purezza spirituale, incorniciato da una ghirlanda di foglie d'alloro.
Il festone che circonda il viso della defunta risulta molto rigido, a tratti grossolano, simile ad altri modelli italiani del XV secolo, plasmato e cotto sicuramente in qualche bottega urbinate dell'epoca, creato in argilla appositamente per non modificare le fattezze originali della nobile Battista, risultando un paio di centimetri più piccolo rispetto all'originale, per il ritiro delle argille in evaporazione.