Il biografo di Federico, Vespasiano da Bisticci ci riferisce della passione del suo mecenate per la musica:" Della musica si era dilettato assai e intendeva benissimo del canto e del suono e aveva una degna cappella di musica, dove erano musici intendentissimi e aveva parecchi giovani che facevano canto e tenore. Non era istrumento che la sua Signoria non avesse in casa e dilettavasi assai del suono, e aveva in casa suonatori perfettissimi di più istrumenti; dilettavasi più d'istrumenti sottili che grossi: trombe e istrumenti grossi non se ne dilettava molto, ma organi e istrumenti sottili gli piacevano molto.
Nelle tarsie dello studiolo di Gubbio sono presenti molti strumenti. Il liuto, capovolto e intarsiato in diagonale, raffigura lo strumento cortese per eccellenza. Maneggevole e dal timbro raffinato, in grado di eseguire qualsiasi brano e, nell’epoca di Federico, era impiegato principalmente per accompagnare il canto e la danza nobile. Il ‘più perfetto instrumento di tutti’, caratterizzato dal foro di risonanza decorato da una elegante rosetta intagliata e dal cavigliere ad angolo retto rispetto alla tastiera.
Il liuto è uno degli strumenti preferiti da Federico da Montefeltro, come emerge dalle annotazioni dei suoi biografi e dalle prescrizioni dell’ ”Ordine et officii” sull’organizzazione musicale della corte federiciana.
Nella tarsia l’accostamento ai due strumenti a fiato evoca l’utilizzo del liuto in ensembles vocali e strumentali e allude al tema del ‘concerto’ (come insieme armonioso di elementi diversi ma concordi) su cui si basa il programma iconografico dello Studiolo. Dei due strumenti a fiato a sezione ottagonale (probabilmente due cornetti), non è visibile l’imboccatura secondo quel gioco del mostrare e nascondere che caratterizza l’intera decorazione.
Lo strumento ad arco con la cassa armonica a forma di mandorla, con 4 corde melodiche ed un bordone presenta molte affinità formali e funzionali con la viella e con la lira da braccio. Entrambi gli strumenti, destinati essenzialmente all’accompagnamento del canto, incarnano l’ideale umanistico della musica ‘all’antica’ ispirata ai modelli dell’antica Grecia coltivato da Federico da Montefeltro (uno dei primi principi educati musicalmente del Quattrocento) che nella Ca’ Zoiosa di Vittorino Feltre a Mantova aveva appreso l’importanza della musica nel perfezionamento interiore ed aveva imparato a cantare con l’accompagnamento della lira da braccio, sotto la guida di maestri appositamente ingaggiati da Vittorino, egli stesso abile cantore.
Il tema del canto accompagnato e in particolare raffigurazioni della lira da braccio sono molto presenti nelle decorazioni musicali commissionate da Federico da Montefeltro, celebrato anche per la qualità della sua voce ‘gioconda e canora, una voce di "cigno".
In una tarsia dello Studiolo è rappresentato un elegante esemplare di organo ‘portativo’, cioè trasportabile. Lo strumento è ornato, nella parte anteriore, dallo stemma dei Montefeltro e dalle iniziali F. D. (Federicus Dux); presenta una tastiera con 22 tasti lunghi (bianchi) e 13 corti (neri) e 26 canne metalliche disposte ‘ad ala’. Una seconda fila di canne si intravede dietro quelle frontali. Il mantice, che fa vibrare l’aria nelle canne dell’organo producendo il suono, non è visibile nella tarsia.
Organi di diverse dimensioni e forme sono raffigurati di frequente nelle decorazioni commissionate da Federico: nel Palazzo di Urbino compaiono sulla porta della sala delle Arti Liberali e in quella delle Udienze e nello Studiolo, dove è rappresentato un organo a cuspide, con le canne di cartapesta, decorato dallo stemma ducale, dall’insegna della Giarrettiera e dal nome del costruttore.
Attraverso lo sportello traforato dell’armadio (che contiene alcuni libri e, nella parte destra, il corno da caccia) s’intravede una ribeca capovolta, accostata al suo archetto. Lo strumento, molto diffuso a fine Quattrocento e utilizzato in diversi ensembles vocali e strumentali (e documentato da numerose fonti iconografiche), è riconoscibile dalla caratteristica cassa armonica ‘a forma di pera’, dal profilo arrotondato che si assottiglia gradualmente in una tastiera lunga e sottile della quale s’intravede (ma non è completamente visibile) la testa del manico a forma di falce.
Nello studiolo di Federico da Montefeltro la tarsia musicale suggerisce anche un’associazione con la Musa Talia, raffigurata come suonatrice di ribeca nella tradizione iconografica delle Muse musiciste codificata dai Tarocchi del Mantegna e ripresa nelle miniature che illustrano il trattatello mitologico (sulle immagini delle divinità degli antichi) dedicato da Ludovico Lazzarelli a Federico da Montefeltro.
Nello stesso armadio che contiene la ribeca è intarsiato un corno da caccia (d’avorio) a sezione esagonale con montature d’argento dorato, appeso con tre cinghie ad un gancio fissato nella parte superiore dello scomparto, in corrispondenza di due volumi chiusi. Questo strumento, che a un primo livello rinvia a un’ulteriore sfaccettatura del ‘paesaggio sonoro’ della corte di Federico, evocando il suono che accompagnava il Duca e il suo seguito nelle battute di caccia e nelle cavalcate all’aperto, si carica probabilmente di ulteriori significati.
Nell’immaginario della corte di Federico il corno è anche collegato al tema delle Muse musiciste, e precisamente a Melpomene, la musa della Tragedia che nel ciclo pittorico originariamente collocato nel Tempietto delle Muse di Urbino è raffigurata appunto come suonatrice di corno.
Nel contesto dello Studiolo l’arpa rinvia alle sonorità delle esecuzioni musicali e delle danze nobili predilette dalla corte. L’importanza della danza per l’ambiente ducale è documentata dalla presenza a corte del più illustre teorico e maestro di danza del Quattrocento: Guglielmo Ebreo da Pesaro, che dedicò una versione del suo trattato a Federico da Montefeltro.
Riferimenti ulteriori alle sonorità degli spettacoli danzati apprezzatissimi alla corte di Federico sono suggeriti dal tamburello a sonagli. La stretta relazione tra tamburello e danza emerge anche da altre immagini musicali prodotte dall’ambiente federiciano, come la musa Erato, raffigurata mentre danza accompagnandosi col tamburello, nel ciclo pittorico originariamente collocato nel Tempietto delle Muse, nel Palazzo Ducale di Urbino.
La cetera capovolta raffigurata nello scomparto superiore dell’armadio immortala uno dei più particolari esemplari degli strumenti ‘rarissimi ed eccellenti’ di Federico da Montefeltro ricordati dal suo biografo Vespasiano da Bisticci, documentato esclusivamente da questa tarsia.
L’accostamento della cetera alla clessidra, all’archipendolo e al compasso, allude al concetto di musica come teoria delle proporzioni che è alla base di tutte le dimensioni misurabili: geometriche, astronomiche e temporali, visualizzando dunque il concetto (alla base della decorazione stessa dello Studiolo) della ‘Musica’ come fondamento della realtà, in tutte le sue dimensioni visibili e invisibili.
La cetera intarsiata presenta una cassa poco profonda, dotata di una rosetta e di un ponticello staccato dalla tavola armonica; 9 corde metalliche (da pizzicare con un plettro) con attacco all’estremità inferiore della cassa, tastiera a gradini e piroli infissi nel cavigliere. Le caratteristiche salienti di questo strumento sono: il grosso gancio uncinato, i sei tasti della tastiera a forma di scala minuziosamente rese dalla tarsia e soprattutto le due ‘alucce’ che sporgono ai lati del manico. Secondo Emanuel Winternitz, che per primo segnalò l’interesse musicale delle tarsie dello Studiolo di Gubbio, in questa cetera, frutto dell’arte liutaria di fine Quattrocento, rivive l’antica lira, le cui ‘braccia’, rimpicciolite e quasi atrofizzate, sono evocate proprio dal dettaglio privo di funzioni sonore, ma altamente evocativo, delle ‘alucce’.
Il piccolo tamburo sospeso a un gancio, accostato al piccolo flauto parzialmente coperto dallo sportello traforato dell’armadio, evocano un caratteristico ensemble musicale, affidato ad un solo esecutore che riusciva a realizzare, al tempo stesso, una melodia (con il piccolo flauto tenuto con l’anulare e il mignolo della mano sinistra) e un accompagnamento ritmico percuotendo il tamburo con una bacchetta impugnata con la mano destra.
Questo caratteristico ensemble strumentale è ampiamente utilizzato fin dal Medioevo in contesti ufficiali e in parate militari, ma anche a sostegno di performances e spettacoli danzati documentati da una ricca produzione iconografica. Anche nel contesto della corte di Federico, la tarsia musicale, che richiama il tema celebrativo dell’eccellenza del Duca nella ‘duplice vita’ (attiva e contemplativa), evoca i due principali ambiti di applicazione del piffero e tamburo: nella parate e cavalcate all’aperto e nelle danze allestite in occasione di feste e spettacoli di corte.
Sulle pagine di un libro aperto nel pannello III dello Studiolo di Gubbio era intarsiata una composizione musicale sul testo di "O rosa bella", ancora visibile nel primo Novecento, ma scomparsa nel corso delle successive fasi di pulitura e smontaggio dello studiolo.
"O rosa bella", ballatina monostrofica del primo Quattrocento attribuita a Leonardo Giustiniani, forse già intonata su arie di origine popolaresca, conobbe almeno due diverse elaborazioni polifoniche, una opera del fiammingo Johannes Ciconia, l'altra dell'inglese Jhon Dunstable e godé di una notevole fortuna per tutto il Quattrocento, dando luogo anche a parafrasi spirituali, parodie ed elaborazioni strumentali. Era uno dei brani preferiti da Federico. Tutti e due gli spartiti erano presenti in un volume della Biblioteca del Duca che poi è finito nella Biblioteca Apostolica Vaticana.