[Riprendo da Wikipedia]
Laddove l’ecologo Hardin nel 1968 ha coniato il concetto di «tragedia dei beni comuni» prodotta della pressione data dalla crescita incontrollata della popolazione umana sulle risorse terrestri: gli utilizzatori di una risorsa comune sono intrappolati in un dilemma tra interesse individuale e utilità collettiva, che è sostenibile solo in situazioni caratterizzate da scarsità di popolazione. Dal dilemma, secondo Hardin, non è possibile uscire con soluzioni tecniche (come può essere, ad esempio, l'incremento di produttività di specie vegetali, come il frumento, di rilevante valore per l'alimentazione umana e animale), che, in definitiva, si risolverebbero in espedienti in grado solo di spostare il problema in avanti nel tempo. L'ultima parola, secondo Hardin, spetta all'intervento di un'autorità esterna, di norma lo stato, che imponga la "coercizione" come sistema per evitare la "tragedia": si tratta di una soluzione statalista e contro il libero mercato, secondo cui, nell'elaborazione di soluzioni politiche e legislative, la salvaguardia dell'interesse e del bene della collettività viene prima della tutela della libertà individuale dei diritti individuali, tra cui il diritto di proprietà. La soluzione proposta da Hardin è espressa e sintetizzata in un termine, "coercizione", che, come lo stesso Hardin avverte, è inviso alla maggior parte dei liberisti ma "non è detto che debba esserlo per sempre».
L'idea che esista un'unica via nella risoluzione dei problemi posti dai beni comuni - sia essa l'ipotesi autoritaria-centralizzata (statalista) di Hardin o la suddivisione e la privatizzazione della risorsa, idea di matrice essenzialmente economica - è stata però messa in discussione da Elinor Ostrom (Premio Nobel per l'economia nel 2009) nel corso degli anni '80 del Novecento, soprattutto con la pubblicazione di "Governing the Commons» in quanto non costituiscono la soluzione né sono immuni essi stessi da problemi rilevanti.
Partendo dallo studio di casi empirici, nei quali viene mostrato come gli individui reali non siano irrimediabilmente condannati a rimanere imprigionati nei problemi di azione collettiva legati allo sfruttamento in comune di una risorsa, la Ostrom ha posto in discussione soprattutto l'idea che esistano dei modelli applicabili universalmente. Al contrario, in molti casi - storici e contemporanei - le singole comunità appaiono essere riuscite a evitare i conflitti improduttivi e a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni tramite l'elaborazione endogena (prive di autorità esterne) di istituzioni deputate alla loro gestione.
Attraverso la problematica dei commons non solo i diritti fondamentali chiedono di essere attuati, ma anche e soprattutto i doveri dell’uomo nei confronti della natura chiedono di essere adempiuti, cioè̀ che la domanda ecologica bussa alle porte del diritto. La responsabilità̀ della tutela della natura spetta in primo luogo a chi ha con essa rapporti diretti, a chi usa i beni della terra, a chi prende parte attiva alla vita dell’ecosistema, a chi dipende dalla sua conservazione, a chi fruisce dei suoi benefici e della sua bellezza. Bisogna riconoscere ad ogni persona il diritto effettivo d’intervenire nelle decisioni che riguardano il suo ambiente. Al diritto si deve chiedere di non rendersi responsabile del degrado della natura, avallando o legittimando comportamenti predatori e distruttivi. I paradigmi giuridici dovranno tener conto non solo dell’ordine sociale, ma anche dell’ordine ecologico.