[Riprendo da Wikipedia e Frugoni] Ambrogio Lorenzetti aveva un precedente molto impegnativo con cui misurarsi, il binomio delle figure Iniustitia - Iusticia dipinte da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1305 circa) e collocate al centro (e in maggior dimensione) delle due sequenze di Vizi e le Virtù cardinali e teologali, tutte integrate da scritte. Giotto raffigura Giustizia come una Madonna seduta su un trono decorato da cuspidi ad arco acuto e coronata (Cicerone la definisce regina di tutte le Virtù), che con le mani tiene in equilibrio i piatti della bilancia con cui pondera ogni azione, premiando il bene e punendo i peccati (così spiega l’iscrizione sottostante): sul piatto di destra si osserva un angelo premia con una corona un uomo seduto ad un banco, su quello di sinistra un’altra figura usa la spada per punire un reo con le mani legate.
Perché il Comune prosperi occorre che i piatti rimangano pari, occorre cioè una giustizia imparziale ed equanime, e perché ciò si realizzi bisogna che i cittadini siano capaci di accordarsi e di essere onesti. Il reo che per il proprio tornaconto infrange il rispetto delle leggi attenta al Bene Comune, al bene di tutti. Perciò il castigo non è il frutto di vendetta o animosità, ma regolato da norme giuridiche e la Virtù non è affatto turbata dall'imminente supplizio.
Nella predella del trono, sotto ai piedi della Giustizia, si osservano gli effetti della sua buona amministrazione: un cavaliere e una dama con il falcone, entrambi a cavallo, preceduti dai cani, si avviano a caccia; un giovane e due fanciulle danzano e suonano con nacchere e tamburello fra gli alberi vicino a una capanna di paglia; due mercanti giungono a cavallo con la merce dietro le selle: tutti personaggi simbolici della libertà e dei piaceri e vantaggi concessi da una società ben governata, poi ripresi nell’affresco di Lorenzetti.
La scritta sottostante commenta: La perfetta giustizia soppesa ogni cosa con equa bilancia: mentre incorona i buoni, vibra la spada contro i vizi. Tutto gode di libertà sotto il suo regno; ciascuno svolge con gioia l’attività che preferisce. Il buon cavaliere va a caccia: si canta e ci si diverte; al mercante viene data strada; per il predone è tempo di nascondersi.
A Firenze nel 1304 il frate Remigio de' Girolami aveva dedicato al Bene Comune un trattato, ponendolo al centro del rapporto tra individui e comunità. E poco prima del 1328 Giotto affrescò nel Palazzo del Podestà di Firenze una Allegoria del Bene Comune, purtroppo presto persa, così descritta dal Vasari: "E nella sala grande del Podestà di Firenze dipinse il Comune rubato da molti, dove in forma di giudice con lo scettro in mano lo figurò a sedere, e sopra la testa gli pose le bilance pari per le giuste ragioni ministrate da esso, aiutato da quattro virtù, che sono la Fortezza con l’animo, la Prudenza con le leggi, la Giustizia con l’armi e la Temperanza con le parole: pittura bella et invenzione propria e verissimile."
Giotto era forse il diminutivo di Ambrogio, passando per Ambrogiotto.
l'immagine della Giustizia è ripresa da qui