Evoluzione delle Mostre di Architettura della Biennale di Venezia

Nel 2000 Massimiliano Fuksas intitola la VII Biennale di Venezia Less Aesthetics, More Ethics e, abbandonando gli approcci precedenti, privilegia, piuttosto che l'estetica del singolo progetto, la ricerca di nuove risposte etiche per affrontare le sfide ambientali, sociali e tecnologiche poste dalla città contemporanea, in particolare dalle megalopoli del XXI secolo, in cui la portata e la velocità delle trasformazioni urbane hanno portato a un forte inquinamento e a nuove tensioni e disparità sociali. Il tema è ripreso anche dalla X Biennale City. Architecture and society, curata nel 2006 da Richard Burdett.

Nel 2016 la XV Biennale Reporting from the front, curata da Alejandro Aravena, declina i temi della qualità della vita e della sostenibilità (intesa come azione contro lo spreco di materiali e risorse, come durata nel tempo e resistenza all'obsolescenza, come uso del buon senso e utilizzo delle forze naturali piuttosto che contrasto tra di esse) in una progettazione particolarmente innovativa degli spazi urbani (e spesso nel rinnovamento di luoghi emarginati e degradati), considerandoli come un valore collettivo, il cui godimento da parte dell'individuo non riduce la possibilità di utilizzo da parte di altri, valorizzando i valori identificativi delle comunità: legalità, salute, ambiente, socialità e cultura. Il padiglione italiano, con la mostra Taking care – designing for the common good curata da TAMassociati, espone casi concreti di architettura al servizio della comunità, in grado di migliorare l'ambiente costruito e la qualità della vita delle persone in un circolo virtuoso che vede il bene comune come risultato e come “principio attivatore dei processi di innovazione sociale” e generatore di ulteriori beni comuni materiali o immateriali, soprattutto in quei luoghi in cui le persone vivono in condizioni di marginalità, degrado sociale, mancato rispetto dei diritti umani: dalle periferie ai campi profughi. Quando l'architettura si prende cura delle persone, dei luoghi e delle risorse, fa la differenza. Fa parte di un processo collettivo in cui è essenziale pensare ai bisogni, incontrare le persone e agire negli spazi".

Nel 2018 la XVI Biennale Freespace, curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara, mira a rappresentare "la generosità di spirito e il senso di umanità che l'architettura pone al centro della sua agenda, e si concentra sulla sua capacità di offrire spazi democratici come dono agli utenti, non pianificati, liberi per usi non ancora definiti, nonché sulla sua capacità di rispondere ai desideri inespressi dello straniero; ci invita a riesaminare il nostro modo di pensare, stimolando nuovi modi di vedere il mondo e inventando soluzioni in cui l'architettura provvede al benessere e alla dignità di ogni abitante di questo fragile pianeta; abbraccia la libertà di immaginare lo spazio libero del tempo e della memoria, collegando passato, presente e futuro, costruendo sugli strati del nostro patrimonio culturale, collegando l'arcaico e il contemporaneo". Il manifesto si conclude citando un proverbio greco: “Una società cresce e progredisce quando gli anziani piantano alberi all'ombra dei quali sanno che non siederanno mai” (saggio richiamo alla responsabilità verso le generazioni future!)

Nel 2021 Hashim Sarkis nella XVII Biennale How will we live together? propone «in un contesto di divisioni politiche sempre più nette e crescenti disuguaglianze economiche, di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme: insieme come esseri umani che, nonostante la crescente individualità, desiderano connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale; insieme come nuove famiglie alla ricerca di spazi di vita più diversificati e dignitosi; insieme come comunità emergenti che chiedono equità, inclusione e identità spaziale; insieme oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione; insieme come pianeta che affronta crisi che richiedono un'azione globale affinché tutti noi possiamo continuare a vivere". Il padiglione italiano ospita la mostra Resilient Communities, curata da Alessandro Melis, che suggerisce l'immagine concettuale e concreta della città italiana storica, compatta ed ecologica, come modello di organismo vivente per trasformare le periferie in comunità capaci di affrontare la pressione sociale e ambientale attualmente in atto, sfruttando metodologie innovative e scambi interdisciplinari tra architettura, botanica, agronomia, biologia, arte e medicina.

Nel 2023, la XVIII Biennale The Laboratory of the Future, curata da Lesley Lokko, pone finalmente l'attenzione sulla cultura africana: “Nella cultura architettonica in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e potere hanno ignorato vaste fasce dell'umanità - finanziariamente, creativamente e concettualmente - come se si ascoltasse e si parlasse una sola lingua. La storia dell'architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti”.