Il termine comunic-azione (sia l'Allegoria che Jungle Nama sono una combin-azione di immagine e testo) deriva da communis actio e ha autentico significato se è davvero seguita da una azione comune.
AGENDA 2030 non a caso è il nome scelto per riunire "i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile che prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – e mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l‘ineguaglianza, ad affrontare i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani".
AGENDA è la forma gerundiva neutra del verbo latino agĕre che si traduce in 'spingere con forza, mettere in movimento, condurre, guidare, incalzare': visto che siamo già a metà percorso, ma ancora ben lontani dagli obiettivi fissati, non sarebbe meglio ribattezzarla URGENDA2030?
E l'obiettivo 13 dell’AGENDA 2030 per la CLIMATE ACTION non incita forse ad una actio communis?
La comunicazione in quanto azione comune è fondamentalmente dialogo e segue le regole interattive di domanda e risposta. Qui cito un eccezionale esempio di giocosa educativa azione comune: LA CITTÀ SOSTENIBILE - Giocando tra le Città di Italo Calvino - Laboratorio di didattica ludica in classe per comprendere, riflettere e immaginare un futuro sostenibile, ispirato a Le città invisibili: "D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.“
La riflessione sul bene comune, pur in antitesi al perseguimento dei propri interessi e del cieco individualismo, non vuole assolutamente porsi contro l'iniziativa e l'ambizione personale.
[Riprendo da Treccani et al] ambizióne s. f. [dal lat. Ambitio -onis, composto da ambi inteso come "tutte le direzioni", e itum participo passato del verbo ire «andare»,; quindi il desiderio di voler andare dappertutto, inteso come "voglia di ottenere nuove cose" – Sentimento di chi ambisce, desiderio vivo, aspirazione a qualcosa. In senso negativo, desiderio di potere, di dominio, di grandezza; vanità, orgoglio smisurato: insana, folle, vana a.; un uomo dominato, accecato dall’a.; la sua a. lo ha rovinato; è una ragazza piena di ambizione. Insomma l'eccessiva ambizione può diventare tracotanza (hybris ὕβρις). In senso positivo, desiderio legittimo di eccellere, di migliorare la propria posizione sociale o professionale: è un ragazzo che ha dell’a.; spec. al plur.: è un uomo privo di ambizioni; non ho mai avuto ambizioni nella mia vita. Anche, l’oggetto a cui si aspira, la cosa ambita: il potere era la sua unica a.; ha sempre avuto l’a. di un riconoscimento pubblico.
Gaio Sallustio Crispo: “L’ambizione guida molti uomini alla falsità: avere un pensiero chiuso nel cuore, e un altro pronto sulla lingua. – Ma, tra tutti i vizi umani, è quella che assomiglia maggiormente a una virtù.” Per Sallustio l’ambizione è negativa se volta all’esclusivo raggiungimento del proprio fine (il proprio interesse “particulare”, personale o di parte), ma diventa positiva quando l’obiettivo prefisso comprende anche e soprattutto il bene degli altri e dello Stato.
Anche Guicciardini affronta il tema in maniera analoga: chi non si pone degli obiettivi da raggiungere è portato all’apatia e a non fare nulla di utile nella vita, quindi l’ambizione non è non è da biasimare o condannare, anzi è stimolo necessario a realizzare imprese degne di memoria. Il politico deve possedere la virtù della discrezione (discernimento), che significa separare e distinguere il momento per agire. Tale discrezione deve essere funzionale al particulare (la finalità che l’uomo ha come obiettivo) e temperata dal concetto dell’onore e della lealtà verso gli altri; perseguendo il particulare l’uomo ha la possibilità di realizzare sé stesso attraverso l’affermazione della propria dignità, quando il raggiungimento del bene privato coincide con il bene comune.
Un passo dei Quaderni del carcere (1° ed 1948-51) di Antonio Gramsci compare come esergo all’inizio del film Berlinguer. La grande ambizione (2024):
Quaderno 6 § (97)
“Può esistere politica, cioè storia in atto, senza ambizione? «L’ambizione» ha assunto un significato deteriore e spregevole per due ragioni principali: 1) perché è stata confusa l’ambizione (grande) con le piccole ambizioni; 2) perché l’ambizione ha troppo spesso condotto al più basso opportunismo, al tradimento dei vecchi principii e delle vecchie formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento.
In fondo anche questo secondo motivo si può ridurre al primo: si tratta di piccole ambizioni, poiché hanno fretta e non vogliono aver da superare soverchie difficoltà o troppo grandi difficoltà, [o correre troppo grandi pericoli].
È nel carattere di ogni capo di essere ambizioso, cioè di aspirare con ogni sua forza all’esercizio del potere statale. Un capo non ambizioso non è un capo, ed è un elemento pericoloso per i suoi seguaci: egli è un inetto o un vigliacco. Ricordare l’affermazione di Arturo Vella: «Il nostro partito non sarà mai un partito di governo», cioè sarà sempre partito di opposizione: ma che significa proporsi di stare sempre all’opposizione? Significa preparare i peggiori disastri, perché se l’essere all’opposizione è comodo per gli oppositori, non è «comodo» [(a seconda, naturalmente, delle forze oppositrici e della loro natura)] per i dirigenti del governo, i quali a un certo punto dovranno porsi il problema di spezzare e spazzare l’opposizione. La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’«ambizioso» si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato [consapevolmente] dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.
Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (del proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo). Queste osservazioni sull’ambizione possono e devono essere collegate con altre sulla così detta demagogia. Demagogia vuol dire parecchie cose: nel senso deteriore significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni (il parlamentarismo e l’elezionismo offrono un terreno propizio per questa forma particolare di demagogia, che culmina nel cesarismo e nel bonapartismo coi suoi regimi plebiscitari). Ma se il capo non considera le masse umane come uno strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi buttar via, ma tende a raggiungere fini politici organici di cui queste masse sono il necessario protagonista storico, se il capo svolge opera «costituente» costruttiva, allora si ha una «demagogia» superiore; le masse non possono non essere aiutate a elevarsi attraverso l’elevarsi di singoli individui e di interi strati «culturali». Il «demagogo» deteriore pone se stesso come insostituibile, crea il deserto intorno a sé, sistematicamente schiaccia ed elimina i possibili concorrenti, vuole entrare in rapporto con le masse direttamente (plebiscito, ecc., grande oratoria, colpi di scena, apparato coreografico fantasmagorico: si tratta di ciò che il Michels ha chiamato «capo carismatico»). Il capo politico dalla grande ambizione invece tende a suscitare uno strato intermedio tra sé e la massa, a suscitare possibili «concorrenti» ed eguali, a elevare il livello di capacità delle masse, a creare elementi che possano sostituirlo nella funzione di capo. Egli pensa secondo gli interessi della massa e questi vogliono che un apparecchio di conquista [o di dominio] non si sfasci per la morte o il venir meno del singolo capo, ripiombando la massa nel caos e nell’impotenza primitiva. Se è vero che ogni partito è partito di una sola classe, il capo deve poggiare su di questa ed elaborare uno stato maggiore e tutta una gerarchia; se il capo è di origine «carismatica», deve rinnegare la sua origine e lavorare a rendere organica la funzione della direzione, organica e coi caratteri della permanenza e continuità.”