Forse abbiamo preso un po' troppo sul serio l'invito divino? O forse, senza inventarsi alcun intervento superiore, semplicemente "nulla è tremendo più dell'uomo"?

Faccio mio il 'suggerimento' di H. Jonas, per cui all'immagine bucolica del Paradiso di Cranach qui segue per contrappasso dantesco il tragico Coro dell'Antigone di Sofocle (vv. 332-375) del 442 a.C.:

"Molte ha la vita forze tremende; eppure più dell'uomo nulla, vedi, è tremendo. Va sul mare canuto nell'umido aspro vento, solcando turgidezze che s'affondano in gorghi sonori. E la suprema fra gli dèi, la Terra, d'anno in anno affatica egli d'aratri sovvertitori e di cavalli preme tutta sommovendola. E la famiglia lieve degli uccelli sereni insidia, insegue come le stirpi ferine, come il popolo subacqueo del mare, scaltro, spiegando le sue reti, l'uomo: e vince, con frodi, vaghe pei monti le fiere del bosco: stringe nel giogo, folta di criniera, la nuca del cavallo e il toro piega montano, infaticabile. Diede a sé la parola, il pensiero ch'è come il vento, il vivere civile, e i modi d'evitare gli assalti dei cieli aperti e l'umide tempeste nell'inospite gelo, a tutto armato l'uomo: che nulla inerme attende dal futuro. Ade soltanto non saprà mai fuggire, se pur medita sempre nuovi rifugi a non domati mali. Con ingegno che supera sempre l'immaginabile, ad ogni arte vigile, industre, egli si volge al male ora, ora al bene. " [dalla traduzione di Giuseppina Lombardo Radice de Le tragedie di Sofocle, Torino 1956]