Un'immagine di disarmonia: l'attuale vista di Google Maps su Nicosia, capitale di Cipro, città storica e diversificata situata al centro del Mar Mediterraneo, al crocevia tra Europa, Asia e Africa.  Fondata  come città ideale nel 1567 per mediare il commercio tra Occidente e Oriente, dal 1974 una linea verde sorvegliata da truppe armate delle Nazioni Unite ne segna la frattura in due città quasi completamente isolate, con nomi, religioni, lingue, alfabeti e persino lati diversi da cui iniziare a scrivere. Differenze divenute divergenze, discordie, divaricanti divisioni: oggi Nicosia è l'unica capitale dimezzata del mondo.


Ad oggi (2023) il 57% della popolazione mondiale è inurbata, le Nazioni Unite prevedono che nel 2050 questa percentuale salirà al 68%; "le città stanno diventando sempre più grandi: entro il 2030 si prevede che ci saranno 43 megalopoli al mondo, ovvero città con una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti. Il probabile aumento della popolazione urbana presenta sfide significative per i governi e le comunità locali in termini di infrastrutture, servizi pubblici e sostenibilità ambientale [qui]." Eppure: Diritto alla città vs diritto alla ruralità? Analogamente come il cambiamento climatico, è un fenomeno da contrastare, da mitigare oppure ormai solo da assecondare? La mitigazione si concentra ad esempio sulla riduzione delle emissioni di gas serra per attenuare la gravità del cambiamento climatico, mentre l'adattamento significa adeguarsi agli impatti attuali o previsti del cambiamento climatico. La mitigazione mira ad affrontare la causa principale, mentre l'adattamento si occupa delle conseguenze. Dove dobbiamo fissare l'asticella dell'etica, e dove quella dell'efficacia, per decidere se e come agire?


What’s the city but people?” ci chiede Shakespeare [Shakespeare, W., (1607-8), The Tragedy of Coriolanus]. La città è l’immagine speculare della comunità che la vive, la personificazione del Bene Comune. Finché essa resta sana e sicura, genera relazioni, azioni comuni e cambiamenti che permettono di far emergere le energie dei suoi abitanti e portare a frutto creando percorsi sostenibili verso il futuro. In questo senso la pluralità di esperienze, di identità culturali, di sensibilità, di linguaggi formali ed estetici non sono affatto un problema, ma al contrario una ricchezza di risorse che permette e produce creatività, innovazione, sviluppo e resilienza. Di più, come dice Federico De Rosa, "senza diversità biologica nessun ecosisema potrebbe sopravvivere: il progresso si sostanzia nella maturazione di nuovi equilibri sempre più armonici via via che le diversità divengono più articolate".

Se firmitas (materia) e utilitas (forma + funzione) oggi si traducono nel binomio sostenibilità e resilienza, la venustas (progetto = idea + valori) è la bellezza basata sull’armonia sia tra le singole parti che tra esse e il contesto di cui fanno parte, prendendo come minima unità di misura quell’uomo vitruviano/leonardiano inscritto in un cerchio e in un quadrato a simboleggiare il valore dell’equilibrio tra la globale dimensione divina e la locale dimensione terrena (allora), e oggi tra la libertà e responsabilità delle proprie azioni individuali (significante estetico) e le conseguenze per l’intero pianeta (significato etico). La bellezza (parente della dignitas ciceroniana) non deve essere declinata in termini soggettivi di stile o sterile linguaggio fine a sé stesso, bensì in base al soddisfacimento delle esigenze relazionali (formulate in diritti e doveri, tra cui la cura, la tutela, l’assistenza, la sicurezza), e al rispetto dell’ambiente che le ospita, di cui deve essere la miglior possibile ‘custode’, nell’ottica del Bene Comune, magistralmente ridefinito dall’imperativo categorico del Principio di Responsabilità di Jonas: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra.”

Tutto ciò leaving no one behind, producendo zero waste e inquinamento e doing no significant harm al nostro pianeta e ai suoi abitanti, comprese le generazioni future. Una bellezza che aderisce ai principi dell’etica, dell’equità e della democratica distribuzione sociale dei benefici e degli oneri, rappresentati dai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Compito degli architetti (e di tutte e tutti i cittadini del mondo) è metterli in pratica perché le città e le comunità che le abitano diventino più sagge restando gioiose, belle ma sostenibili, adattative e conservative, accoglienti ma prudenti, seguaci di ideali e libertarie, accessibili ma riservate, solidali e oneste, dense ma pacifiche, ricche ed ecologiche, rigorose ma creative, comunicative e capaci di comuni azioni, sane e utili, animate ma sicure, durature e resilienti, coerenti ma innovative, leali e determinate, vivaci e vivibili, industriose ma biofile, decorose e generose, convenienti ma dignitose, eque ed equilibrate, educative e spensierate, umili ma suggestive, eterogenee e dialoganti, rispettose dei doveri e dei diritti e perciò rispettate, inclusive di differenze ma contrarie alle disuguaglianze, concrete ed elastiche, felici e fertili di energie sociali, attente al passato ma aperte al futuro, egregie (ex gregis, che spicca dal gregge) ed aggreganti, rilassanti ma interessanti, ordinate e munifiche, non avide e reciprocanti, passionali e compassionevoli, non omologate ma orgogliosamente diverse, uniche e rigenerabili, verdi e simbiotiche, responsabili e visionarie, mai banali e mai mediocri: “Il mediocre non ci interessa, il bello lo conosciamo, andiamo alla ricerca del sublime” (Carlo Scarpa).