E' già passato circa metà del tempo previsto per realizzare gli impegni dell’Agenda 2030, 8 anni spesi quasi inutilmente in molti casi, dopo un certo entusiasmo iniziale.


[Riprendo dal Rapporto ASviS sul 2023 SDG Summit dell’Onu (18-19 settembre 2023) per verificare lo stato di applicazione dell’Agenda 2030]

Secondo l’ONU, guardando ai Target dell’Agenda 2030 per cui sono disponibili dati affidabili, solo nel 12% dei casi si è sulla buona strada per raggiungere i valori obiettivo. Più della metà, invece, nonostante qualche progresso, sono “moderatamente o gravemente fuori strada” e circa il 30% non ha fatto registrare alcun avanzamento o si trova oggi in una condizione peggiore di quella del 2015. Di questo passo, nel 2030 vivranno ancora in povertà estrema oltre mezzo miliardo di persone; oltre 80 milioni di bambine e bambini non andranno a scuola e 300 milioni non saranno in grado di leggere e scrivere; le emissioni di gas climalteranti continueranno a crescere e i danni da cambiamenti climatici, che stanno accelerando rispetto alle valutazioni di pochi anni fa, saranno sempre più elevati in tutte le parti del mondo; la temperatura media, già aumentata di 1,1°C rispetto ai livelli preindustriali, raggiungerà il limite di 1,5° previsto dagli Accordi di Parigi nel 2034, non più nel 2050, e continuerà a crescere; nel 2030 circa 660 milioni di persone saranno ancora senza elettricità e quasi due miliardi fanno ancora affidamento su combustibili fossili e altre pratiche inquinanti; potrebbero volerci almeno 25 anni per fermare la deforestazione, mentre almeno un milione di specie, su otto milioni oggi conosciute, rischia l’estinzione.


Il Sustainble Development Report del 2025 purtroppo sancisce che "nessuno dei 17 SDG sarà raggiunto entro il 2030. A livello globale, l'SDG 2 (Fame zero), l'SDG 11 (Città e comunità e sostenibili), l'SDG 14 (Vita sott'acqua), l'SDG 15 (Vita sulla terra) e l'SDG 16 (Pace, giustizia e istituzioni efficaci) mostrano progressi molto limitati dal 2015. Anche i progressi relativi all'SDG 17 (Partnership per gli obiettivi) sono molto limitati, in parte a causa dell'incapacità globale di affrontare le persistenti disparità nell'accesso ai finanziamenti per i paesi in via di sviluppo e le forti disparità nel sostegno dei paesi al multilateralismo basato sulle Nazioni Unite.

Meno del 20% degli obiettivi SDG è sulla buona strada per essere raggiunto a livello globale (16,7%)."


Questa slide presta il fianco all'accusa di generare ecoansia?


[Riprendo un recente articolo del Post] L’ecoansia è un problema diverso, ha detto al New York Times Rebecca Weston, un’assistente sociale che lavora a New York, perché le persone preoccupate per il cambiamento climatico spesso vivono un’esperienza che ha motivazioni opposte rispetto al classico disturbo d’ansia. Le loro preoccupazioni non sono infondate: sono razionali e basate sull’evidenza scientifica, ma questa reazione emotiva provoca isolamento e frustrazione perché avviene all’interno di una società che tende a rimuovere quelle preoccupazioni.

Diversi specialisti concordano sul fatto che l’ansia sia una risposta inevitabile e persino salutare, in una certa misura, a fronte del rischio esistenziale posto dal cambiamento climatico per gli esseri umani e per le altre specie viventi. «Non sono le persone ecoansiose a dover essere curate, ma il cambiamento climatico a essere contrastato», disse ad aprile al quotidiano Le Monde la psichiatra infantile Laelia Benoit, ricercatrice franco-brasiliana della Yale University e dell’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica francese (INSERM), che si è occupata dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute mentale di bambini e adolescenti.

Medicalizzare l’ecoansia cercando un rimedio o addirittura una cura, secondo Benoit, rischia di rendere individuale un problema che invece alla sua radice è collettivo: «l’equazione in realtà è abbastanza semplice: nessun cambiamento climatico, nessuna ecoansia». Escludendo i bambini che provengono da contesti estremamente svantaggiati e non hanno idea del cambiamento climatico, disse Benoit, tutti i bambini e gli adolescenti si preoccupano una volta che apprendono del problema, perlopiù a scuola. Ma l’ansia non è la loro unica reazione: vogliono trovare soluzioni e sono spesso felici di essere coinvolti in attività di responsabilizzazione, perché ciascuno di loro desidera fare la propria parte.

Discutere con bambini e adolescenti di cosa gli adulti stiano facendo per mitigare il cambiamento climatico, secondo Benoit, può fornire rassicurazione e ispirare comportamenti prosociali e investimenti emotivi appropriati e proporzionati rispetto al problema collettivo che bisogna affrontare. Per questa ragione sminuire le preoccupazioni dei giovani riguardo al cambiamento climatico è un comportamento generalmente sconsigliato dagli specialisti, che considerano il dialogo intergenerazionale e il sostegno da parte degli adulti un modo migliore per ridurre l’ecoansia.

«Molti bambini sono colpiti dalle informazioni che ricevono dai media e dalle scuole, ma anche dai commenti che pensiamo che non ascoltino», disse al País la psicologa infantile spagnola Nuria Casanovas, che ha avuto in cura 12 bambini turbati da pensieri riconducibili all’ecoansia. Per quanto critica possa essere una situazione, secondo Casanovas, è necessario fare attenzione a non incentivare in bambini e adolescenti sentimenti di impotenza e frustrazione, e fornire loro modelli di comportamento e tecniche di autocontrollo in grado di favorire lo sviluppo della loro intelligenza emotiva.