Bene comune & azione comune
Nel Medioevo il riferimento alla venustas-dignitas si spostò dall'idealizzazione dell'Impero Romano o della Repubblica di Roma al concetto di Bene Comune, magistralmente raffigurato negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (ne riprendo l'immagine). Teorizzato da Platone, Aristotele, Tommaso d'Aquino e altri, il bene comune “è il principio che costituisce la società umana e l'obiettivo verso cui la società e ogni diritto devono tendere” per il perseguimento del benessere di una comunità; basato sull'osservanza concordante delle leggi per garantire la sicurezza sociale e la prosperità economica, esso si contrappone al bene individuale del despota che impone con l'oppressione e la violenza la soddisfazione dei propri interessi particolari e di quelli della propria fazione, depredando la comunità e seminando devastazione e isolamento, mentre il bene comune permette la costruzione di relazioni e degli ambienti che le facilitano, le accolgono e le custodiscono con cura. Il concetto di venustas offerto da Vitruvio fornisce l'orizzonte del bello e del bene comune a una società attraverso la sua implementazione architettonica, urbana e territoriale. In altre parole, la bellezza non è un ornamento ma una via di salvezza e allo stesso tempo una categoria morale: è il bene comune reso visibile e concreto. La parola “comune” in tutte le lingue neolatine significa ciò che NON è posseduto da un individuo; inizia dove finisce la proprietà privata o particolare. L'etimologia deriva da cum munus, nel duplice significato sociale di officium (ufficio, posizione, impiego, onore ma anche dovere, onere) e donum (dono). Munus è l'obbligo che si ha verso un altro o verso la comunità che sollecita e impone un adeguato disobbligo; è la gratitudine che richiede una nuova donazione. Munificus (munifico) è colui che manifesta la sua grazia (il suo rendere grazia) restituendo ciò che, essendo oggetto di comune scambio, egli non possiede più completamente e non può tenere completamente per sé [Sposito R., (1998), Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi]. Ciò che prevale nel munus è quindi la reciprocità o la mutualità, «un dare senza perdere e un ricevere senza togliere» [Zamagni, S. (2007), L’economia del bene comune, Città Nuova Editrice]. Ne consegue che una communitas è la totalità delle persone che condividono responsabilmente non solo beni materiali e immateriali (i beni comuni), ma soprattutto un obbligo e un dovere, un impegno, poiché sono doni da custodire e restituire con gratitudine agli altri. Viceversa, le società per persistere nel tempo e non sfaldarsi rapidamente in modo entropico hanno bisogno di beni e legami condivisi.
La prova per assurdo è fornita dalla dicotomia COMUNE-IMMUNE: nessuno di noi può pretendere di essere immune da tale dovere o necessità, se non mostrando ingratitudine ed autoescludendosi dalla società umana (facile qui giocare con il termine privato = escluso). La parola comunicazione deriva da communis actio: non è un processo statico o passivo, ma un movimento che coinvolge attivamente le parti interessate e ha effetto quando l'espressione viene compresa e diventa un patrimonio condiviso per la costruzione di una discussione, una conoscenza, una cultura e infine un'azione comune. La comunicazione, nel senso di offrire un dono, porta la persona che lo riceve a sentire l'obbligo di ricambiare l'attenzione ricevuta. Una sorta di baratto, uno scambio di interesse reciproco, la condivisione di valori socialmente utili.
Anche la città è un esempio di communis actio che nasce dalla collaborazione volontaria e solidale per realizzare desideri e aspirazioni e soddisfare bisogni e proiezioni che non possono essere soddisfatti individualmente, come ad esempio quelli di sicurezza, cura e qualità della vita, allocando risorse collettive allo scopo di costruire un progetto di cittadinanza (e non solo di pianificazione urbana) su una porzione definita di territorio riorganizzato dall'uomo e quindi sottratto, ma non esentato, dalle regole della Natura. La città è la forma concreta e dinamica della comunità che la abita (predisposta da quella che l'ha abitata, e che a sua volta darà impronta a quella che l'abiterà). È sempre stata il luogo dell'incontro e dello scambio (commerciale, intellettuale, genetico) che non è mai predeterminato: è quindi l'ambiente in cui si sviluppano la negoziazione, l'innovazione e la trasformazione creativa, ma anche l'imprevisto e l'esperienza che nasce dal tentativo e dall'errore. Le sue strade e piazze sono il teatro della socialità (fatta di accoglienza, rispetto, fiducia, solidarietà e responsabilità verso l'Altro), dove le differenze sono sempre vantaggio e moneta di scambio. È la scuola e la palestra della vita civica in cui la comunità si allena e mantiene in forma i propri legami e il proprio senso di appartenenza, preserva e rinnova la memoria storica, tutela i diritti di tutti i suoi membri, compresi quelli alla partecipazione, alla conoscenza, alla felicità e alla bellezza: cioè "ogni civile effetto, utile, necessario e di diletto" (vedi testo della Canzone qui in alto).