Rossana

La telefonata l'aveva colta di sorpresa era da due anni che non aveva più notizie di Maurizio ed ora egli l'informava che era a Milano e aveva voglia di salutarla.

La loro storia, se di storia si poteva parlare, era durata quattro anni.

Si erano incontrati a Roma per un Congresso, a cui lei aveva partecipato, assunta dall'agenzia, come hostess nella visita alla città e nelle serate di gala.

Era all'epoca ancora studentessa e arrotondava le magre finanze familiari con quel lavoro occasionale, ma ben retribuito, in cui si richiedeva una bella presenza, e bella lo era, una discreta cultura, eleganza e una disponibilità all'ascolto. Solo a volte il sesso entrava nella prestazione del servizio. Rossana non si definiva una donna spregiudicata o immorale, solo libera.

Anche dopo il congresso si erano rivisti, lui la cercava e passavano insieme qualche serata o fine settimana, non si sentiva una prostituta. Non lo faceva per bisogno, ma per libera scelta.

Non aveva un protettore, né un uomo. Era contraria ai legami che implicano una forma di restrizione affettiva, un controllo inconscio delle attrazioni fisiche e mentali, oltre che un impegno relazionale e una molteplicità di compiti.

Con Maurizio aveva legato subito, erano simili. Il sesso, una buona cena, dell'ottima musica e nessuna domanda sul passato o sul futuro. Tutto si consumava e si esauriva in quel attimo di presente, senza echi di aspettative e di prospettive.

Egli gli aveva confessato che il suo lavoro di manager lo prendeva molto e non aveva tempo per intessere legami assillanti. Anzi odiava sentirsi stretto in un rapporto stabile, con tutte quelle sequenze di consuetudini e di rituali, da uomini mediocri, privi di fantasia.

Avevano cominciato a frequentarsi senza chiedersi nulla, erano come due vecchi amici distanti che, rivedendosi, riprendono il filo del discorso dal punto in cui sei mesi o due settimane prima lo avevano lasciato.

Da due anni non si era fatto più sentire e lei, presa da quello che ora era diventato il suo lavoro, non si era posta alcuna domanda.

Era sempre più bella, ancora più raffinata, al punto da potersi permettere di essere lei a scegliere il cliente, con cui stringeva una forma di legame che, a intervalli di tempo, lo facesse ritornare.

Tutto il suo tempo era prenotato.

Preferiva uomini di una certa età, come Maurizio, non perché più generosi, ma mentalmente più intriganti. Non si limitavano al semplice consumo del rapporto, ma sapevano trovare giustificazioni all'atto, caricandolo di un grande valenza estetica, che la faceva sentire la musa di tanta bellezza erotica.

Erano giochi di forme scultoree, di essenze pittoriche, di orgasmi vitali che davano il senso di potenza creatrice, di atto puro, privo di remore morali.

Spesso loro erano sposati, con mogli distratte o super impegnate e con figli indifferenti, mentre lei era una forma di consolazione, un rifugio psicologico, oltre che un bel biglietto da visita per una cena importante.

Aveva col tempo imparato a tenere sotto controllo la coscienza, ogni qual volta si guardava allo specchio e sentiva quella voce, nella nicchia più segreta; la zittiva con uno sguardo duro. A guardarla bene, negli occhi, si coglieva una cinica freddezza, che la rendeva, all'occhio accorto, spietata.

Ecco, - si disse, dopo quella telefonata, - alla fine ritornano tutti dalla cara Rossana! Sono tanti birilli che chiedono una palla che li faccia cadere, felici, nella cesta.

In alcuni momenti sentiva un senso di gelo totale, niente riusciva a sradicarla da una forma di vuoto esistenziale, a cui spesso rispondeva con un abito nuovo.

Aveva accumulato una discreta ricchezza e non si privava di nulla, del resto con lei erano generosi.

Nel profondo percepiva un senso velato di disprezzo per quegli uomini che creavano strane forme di dipendenza dalla sua calcolata sensualità.

Volendole dare una definizione, era una grande calcolatrice. Sapeva cogliere negli occhi dei differenti clienti il guizzo di soddisfazione per una frase, uno sguardo, un gesto e su quella lettura poi lavorava per tendere l'agguato, come una vedova nera, al suo maschio di turno.

Non svelava i suoi pensieri, ma raccontava solo ciò che a loro piaceva sentirsi dire. Non esprimeva opinioni, ma faceva in modo che essi comprendessero la sua condivisione su fatti e cose, di cui non aveva idea. Cercava in tutti i modi di essere seducente, modellandosi alle differenti aspettative.

Vigile a creare stati di rarefatte atmosfere.

Era il suo gioco un nascondersi nella nudità del corpo, che si poneva a vera maschera di sé. Era un'Eva rovesciata, si sentiva inadeguata se vestita.

Gli abiti le rivelavano le ombre di tutte le affettività negate, mentre il corpo in quelle posture scultoree, era l'esca del suo dominio. Per questo piaceva ma in tale sua maestria, sviluppava una impalpabile avversione per tutti quei compagni che si legavano, come Ulisse all'albero della nave, alla sua indifferenza.

Non si chiedeva per quanto sarebbe durata la cosa, si consolava dicendosi: - Un giorno mollo tutto e vado via!

Ma quell'andare via era rinviato di giorno in giorno, di mese in mese, mentre il suo tempo si consumava su quella giostra di cavalli.

Da un po' aveva sviluppato una forma di fobia che la portava a lavarsi continuamente le mani, ad avere avversione per spazi angusti e per persone che le si accostavano lungo la via con abiti modesti.

Aveva elaborato un'antipatia per i mendicanti che l'avrebbero potuta infettare di chi sa quale strana malattia e che per istinto giudicava come degli incapaci mentali, degni di sparire.

Stava, inconsapevolmente, elaborando una particolare visione a gabbie della vita che la faceva essere segregazionista nei confronti degli extracomunitari, degli zingari, delle persone semplici, spontanee, che definiva con un ghigno schifato sul volto che la imbruttiva. :

- Gente comune!

Si, era proprio così, aveva una paura folle di ciò che leggeva come la mediocrità e la povertà.

Strano, come si proiettino sugli altri, quelli che sono i privati vizi o virtù!

Ognuno legge, chi gli è di fronte, con le proprie lenti cognitive che fanno, con un'azione riflessa, emergere le strettoie ideologiche, etiche, sentimentali di quel sottofondo morale da cui emerge la scelta storica, scrollandosi il peso della coscienza.

Lei che in nome della libertà aveva fatto del suo corpo l'oggetto della compra-vendita, si sentiva su di un piedistallo, rispetto a chi accettando la povertà aveva fatto del proprio un luogo di dignità che non si piega al valore di una merce.



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