Agnese

L'editore le aveva chiesto un incontro, era interessato al suo ultimo lavoro sulla topologia del pensiero complesso, in una mente multi-proiettiva.

Sa, - egli aveva scritto – oggi tutti parlano di pensiero, è quasi una moda, ma sono sempre le stesse idee che vengono rimescolate in una trama che non ha nulla di nuovo. La sua visione di un pensiero a spugna, che si presta ad essere espanso in relazione a molteplici occhi di lettura con una difformità di forme, è molto interessante. - Seguivano altre riflessioni e infine i saluti.

Agnese rilesse più volte quella lettera, non credendo che sarebbe mai arrivata, aveva molto sofferto per le tante porte che le erano state sbattute in faccia, tanto che aveva cominciato a distaccarsi dalle sue stesse parole, come se fossero una vecchia macchina da cambiare per la troppa usura.

Ricordò la sua cara AX azzurra, l'aveva sognata proprio di quel colore e quando andò in agenzia scopri che pur essendo un colore non di serie, giusto per quel Natale avevano creato un'eccezione.

- Eh, guarda il caso, il concessionario ne aveva commissionata una, per regalarla giusto a sua moglie!

Quella mattina, con quel suo azzurro carta da zucchero, era lì di fronte che si faceva riconoscere dal suo occhio. L'uomo fu lieto di vendergliela, scordandosi subito della consorte.

Agnese aveva uno strano rapporto con i sogni, le sue realtà oniriche spesso prendevano corpo reale e gli amici la consideravano una quasi aliena. Ma di alieno in Agnese c'era ben poco.

Era solo una mente più affinata, un orecchio più sottile.

Percepiva, come era solita dire, l'eco dei campi storici. Sentiva il respiro della vita, il dolore della storia e la gioia dell'essere un tutto in equilibrio sul quel vuoto quantistico che gioca a nascondino con tutti quei reali.

Aveva nel tempo sviluppato la capacità a distinguere il sogno presagio da quello puramente ordinativo della memoria. Solo quando si svegliava all'improvviso, avendo una visione nitida, sapeva che era un'apertura di un'altra dimensione temporale che le anticipava un frammento di futuro, come quando, tre giorni prima che accadesse, aveva sognato la frattura del femore di suo padre, giusto al lato destro, e quando, a distanza, le telefonarono per avvisarla, sapeva già tutto.

Aveva parlato di questa sua sensibilità onirica anche ad Enrico credendo che , come esperto di campi, onde e particelle, lui avrebbe potuto darle una giustificazione, ma si era limitato a dirle, come un distratto psicologo, che erano stati d'ansia poco gestiti. Egli poneva sempre la ragione in primo piano, come se tutta la complessità della vita si potesse racchiudere in quattro regole o in una manciata di equazioni complicate, appena sufficienti a spiegare i moti dei pianeti.

Ella aveva imparato a tacere.

Rinunciando a polemizzare aveva tagliato corto, essendosi sentita giudicata da tutta quella razionalità che non dava spiragli al sogno e alla illogicità del cuore.

Certo lui amava la poesia, ma la sua mente era incapace di trasformare le parole in rime, similitudini e analogie. Era come un musico, senza musica. Un poeta senza sillabe. In tali vuoti di echi era un semplice cultore di sinfonie e di metriche, ma certo non di quelle di Agnese che non aveva i titoli adeguati di uno Chopin o di un Goethe.

Agnese aveva autonomamente sviluppato la sua visione, come un geniale e sapiente artigiano che intarsia un legno per farne una seggiola d'autore.

Se la stessa scienza - si era detta - è il risultato di un accoppiamento osservatore-osservato, allora ogni occhio lettore, interfacciandosi con il campo, può elaborare autonomamente la sua lente-carta di lettura e ogni carte è una singolarità che dà una sfaccettatura altra alla realtà. E ogni faccia un riflesso di verità. E ogni verità un'apertura di dignità.

Ecco, - si disse - il mio compito è dare dignità al tutto della vita!

Enrico era stata la porta più dura, sulla sua faccia, col tutto quel silenzio umiliante che le aveva fatto tirare, come a Ciampa la corda della pazzia. In quella scenata che ne nacque, lei lo inchiodò, come un cristo sulla croce, alle sue strettoie concettuali che gli impedivano d'intravedere il nuovo che come un virgulto di vite emergeva da quel vuoto, di cui si sentiva un esperto.

C'è nel rapporto con la parola una duale posizione, chi la racchiude in un senso finito e chi invece la apre ad un indirizzo nuovo.

Enrico era maestro nel racchiudere il significato, limitandone il valore in una gabbia di senso comune; mentre Agnese era pronta ad aprire una finestra per un volo inconsueto in un'altra direzione, in tale apertura al lato nuovo della vita tutto finiva per trovava una collocazione e nulla veniva sprecato o dichiarato superfluo o considerato inutile.

Erano due occhi differenti.

L'uomo isolava il negativo, la donna il positivo, in tale contrasto di notte/giorno era impossibile per loro un'alba o un tramonto d'equilibrio.

Rise, ricordando la scena. Poi scrollò le spalle, come a voler buttar via la polvere di quella incomprensione, infondo non aveva nulla da ricordare, dato che il silenzio non ha eco.

Ritorno alla lettera e in uno slancio d'affetto la baciò, come se fosse l'icona della Madonna delle Grazie, mentre mentalmente visualizzava quel nuovo incontro che apriva una nuova cresta nella sua di storia.



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