Giosuè e Gesù

Giosuè e Gesù: più che una corrispondenza formale dei nomi

Sintesi. I nomi Gesù e Giosuè non hanno in ebraico una corrispondenza solo casuale. Come altri libri, personaggi e vicende dell’Antico Testamento, Giosuè ha un preciso valore tipologico: esso prefigura e preannuncia la persona e l’opera di Gesù Cristo e lo spirito che deve caratterizza e deve caratterizzare il popolo di Dio anche nel Nuovo Testamento. In questo articolo trattiamo sinteticamente di: (1) La significativa disposizione del libro di Giosuè nel Canone; (2) il significato spirituale del libro di Giosuè; (3) Giosuè come tipo del Cristo secondo cinque sue caratteristiche.

I nomi che in italiano sono resi come Gesù e Giosuè nella lingua ebraica sono corrispondenti. Gesù, in greco Ἰησοῦς (Iēsoús) è la traslitterazione del termine ebraico יְהוֺשֻׁעַ ("Yehoshua"/Jehoshua, contratto a "Joshua") che significa “Yahweh salva" (o "Yahweh è salvezza"). In Matteo 1:21 questo è il nome che l’angelo del Signore dice di dare al figlio di Maria: “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”[1]. Nel parallelo di Luca 1:31 similmente, è ciò che l’angelo comanda a Maria: “Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù[2]. Il nome Gesù corrisponde al nome Giosuè, successore di Mosè e figlio di Nun. Non si tratta, però, solo di una corrispondenza formale e occasionale. Nella Bibbia, Giosuè, il condottiero successore di Mosè che guida l’entrata del popolo di Isaele in Canaan, la terra che Dio aveva loro promesso, assume un valore tipologico. La persona e le vicende legate a Giosuè, cioè, prefigurano e preannunciano la persona ed il ministero del Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Disposizione del libro di Giosuè nel Canone

La disposizione stessa deI libro di Giosuè nell’Antico Testamento corrisponde a quella occupata dal libro degli Atti nel Nuovo Testamento. Entrambi seguono libri fondamentali nei rispettivi testamenti. Giosuè segue il Pentateuco, i cinque libri di Mosè, mentre Atti segue i quattro vangeli. Il Pentateuco racconta le vicende iniziali di Israele, mentre i Vangeli raccontano le vicende iniziali della Chiesa. Giosuè e Atti poi, raccontano rispettivamente come il popolo di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento ha portato avanti con successo la missione che Dio ha posto loro innanzi quando li ha messi a parte per sé. Per il popolo di Israele la missione era la conquista e l’occupazione di Canaan. Per la Chiesa la missione era iniziare l’evangelizzazione del mondo, la “conquista del mondo”. Da notare come non si tratti solo di “salvare anime”, ma di diffondere nel mondo lo stile di vita che Dio ci insegna nella sua legge: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente” (Matteo 28:18-20). Inoltre, che cosa insegna a noi cristiani l’attiva intraprendenza di Giosuè nel conquistare, un’attività in grado di produrre cambiamenti? Spesso, infatti, i cristiani, al contrario, tendono a ritirarsi dal mondo e ad assumere atteggiamenti vittimisti.

Significato spirituale del libro di Giosuè

Il libro di Giosuè svolge due temi: uno guarda all’indietro nel tempo, l’altro in avanti. In rapporto a tutto ciò che lo ha preceduto nel programma di Dio, Giosuè è il libro delle promesse compiute.

Per secoli, Dio aveva predetto che Israele avrebbe posseduto la terra di Canaan. Dio aveva rivelato il futuro dell’occupazione di quella terra ad Abraamo (Genesi 13:14-18; 15:13-21), ad Isacco (Genesi 26:1-5), Giacobbe (Genesi 35:10-12) e Mosè (Esodo 3:7-10). Nel libro di Giosuè troviamo il resoconto del modo in cui Dio ha realizzato quest’antica promessa.

Giosuè, inoltre, dipinge il modo in cui un’altra promessa sarebbe stata adempiuta nel remoto futuro. Molto più antico di qualunque cosa Dio aveva detto ad Abraamo, Isacco e Giacobbe, è il Suo Decreto chiamato Proto-vangelo (Genesi 3:15), proclamato non molto tempo dopo la Creazione del mondo e reso più specifico quando è stato dichiarato ad Abraamo (Genesi 22:16-18). Dio disse che un giorno sarebbe nato un uomo che avrebbe sconfitto Satana e così portato benedizioni al mondo intero. Quell’uomo è venuto, e il Suo nome è Gesù, il Cristo. Diversi personaggi dell’Antico Testamento anticipano il Cristo con la parola e i fatti. Ci riferiamo ad essi come tipologie del Cristo. Il più importante dei successori di Mosè, Giosuè, è uno dei “tipi” di Cristo.

Giosuè come tipo di Cristo

Quali sono le prove che questo Giosuè sia una rappresentazione profetica di Gesù, il futuro vincitore su Satana?

1. Il nome Una prova evidente si trova nello stesso suo nome. In ebraico, come dicevamo all’inizio, Giosuè è Yehoshua, o Yeshua, lo stesso nome reso in italiano con Gesù. Nasce in Egitto al tempo della schiavitù degli Ebrei. Partecipa all'uscita dall'Egitto degli Ebrei sotto il comando di Mosè. Si distingue come comandante militare quando le tribù ebraiche sono attaccate dagli Amaleciti a Refidim (cfr. Esodo 17:8-16). Assiste Mosè e lo accompagna un tratto nella salita al Monte Sinai, dove Mosè riceve le tavole dei dieci comandamenti (cfr. Esodo 32,17). È uno dei dodici esploratori che Mosè manda a perlustrare il paese di Canaan. È in questa occasione prende il nome di Giosuè, chiamandosi in precedenza Osea (cfr. Numeri 13:16-17[3]).

2. La sua opera. Giosuè viene identificato come tipo di Gesù nel Nuovo Testamento. Di particolare rilievo è ciò che insegna Ebrei 4. Nel passare in rassegna l'esperienza di Israele come rammentata dal Salmo 95, l’autore la dipinge come figura di insensibilità verso l’Evangelo (v. 2). Molti israeliti erano morti nel deserto perché i loro cuori si erano induriti verso Dio. Sebbene avessero visto le Sue opere, essi non avevano riposto in Lui la loro fede e ubbidito ai Suoi comandamenti. Con la loro incredulità essi si erano pregiudicati l'ingresso nella terra promessa e non avrebbero trovato riposo dalle loro peregrinazioni. L’autore di Ebrei equipara questo caso a quello di coloro che, per la loro incredulità, respingono l’Evangelo e così non giungono alla salvezza e dice che Giosuè preannuncia il “riposo” futuro in Cristo (v. 11)[4].

Perché l'autore parla di salvezza come di un riposo? È “riposo” dalla fatica del tentativo di guadagnarsi la salvezza attraverso le proprie opere di giustizia, che di per sé sono impotenti per ottenere il perdono dei peccati (v. 10). La salvezza non dipende dalle nostre opere, ma ci giunge attraverso la fede nell’opera di Cristo, e il risultato di quella fede è il riposo.

Ne consegue che l’uomo che aveva condotto Israele nel riposo di Canaan aveva fatto un’opera parallela a quella compiuta dall’uomo che ci provvede riposo nella salvezza. Il primo uomo, quindi, è figura e precursore del secondo, vale a dire: Giosuè è tipo di Gesù Cristo.

Per riassumere, potremmo dire che proprio come Giosuè aveva dato riposo ad Israele da tutte le loro peregrinazioni, guidandoli in una terra di benedizioni, così Gesù ci dà riposo dalla futilità di una giustizia generata da noi stessi guidandoci in una vita di benedizioni, la vita cristiana.

3. L’attraversamento del Giordano. Questo parallelismo riguarda poi l’attraversamento del Giordano come paragonabile alla transizione dall’essere perduti all’essere salvati. Ne consegue che l’ingresso di Israele nella terra promessa è una figura della rinascita spirituale[5].

La via attraverso il fiume Giordano non ha portato Israele ad una vita facile. Per anni in quella terra sono stati in guerra contro popolazioni ostili. Neanche la vita cristiana è facile. Si deve lottare contro il mondo, la carne e Satana. Spesso i nostri nemici ci infliggono dolorose ferite. Però, dato che apparteniamo a Cristo, non siamo destinati alla sconfitta. In Cristo possiamo sempre riportare vittoria. Vinciamo le la nostra fede non viene meno, anzi, diventa più forte. “Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Giovanni 5:4).

Quando Paolo dipinge l’armatura del credente contro i dardi infuocati del diavolo, qual è lo scudo? La fede (Efesini 6:16). Non c’è attacco che noi non si possa contrastare scegliendo di confidare e di credere in Dio. La differenza fra l’Israele nel deserto e l’Israele in Canaan dimostra che l’attraversamento del Giordano rappresenta la salvezza. Nel deserto, Israele era una nazione sconfitta. Dopo essersi rifiutati di entrare nella terra promessa ed avere udito dei severi castighi che Dio aveva loro imposto, essi cambiano idea e si affrettano a combattere i cananiti. I cananiti, però, li respingono e hanno la meglio su di loro. In Canaan, Israele sconfigge, però, tutti i suoi nemici. Solo una volta perdono una battaglia: la ragione era un peccato inconfessato nell’accampamento. L’esperienza di Israele nel deserto mostra la condizione di sconfitta dell’uomo ribelle irrigenerato, mentre l’esperienza della nazione quando seguono Giosuè mostra la condizione di vittoria del cristiano.

Nel deserto, tutti gli adulti che avevano abbandonato l’Egitto, ad eccezione dci Giosuè e Caleb, cadono sotto la condanna di Dio e muoiono. Molti erano caduti in gravi peccati, costringendo Dio a togliere loro la vita con un atto diretto di giudizio. Pure il resto muore, perché Dio li considera, anche il migliore fra di loro, incluso lo stesso Mosè, troppo in difetto per poter entrare la terra che sta oltre il Giordano. Eppure, dopo che Giosuè conduce Israele in Canaan, Dio cessa di punire la nazione con piaghe e calamità. Il deserto, quindi, corrisponde ad una vita vissuta in disubbidienza a Dio - una vita il cui salario è solo la morte. Canaan, però, corrisponde alla vita cristiana, laddove si può sfuggire dall’ira di Dio. Il cristiano non deve temere la morte come una condanna, perché conoscerà la morte solo come vittoria.

Solo una volta Israele oltre il Giordano deve rimuovervi un ribelle. Ordina l’esecuzione di Acan e della sua famiglia quando essi si accaparrano del bottino di Gerico, contrariamente a ciò che Dio aveva ben comandato. È un severo ammonimento atto a preservare gli eletti dal commettere il peccato che conduce alla morte (1 Pietro 5:16).

Se Giosuè è un tipo di Gesù, che cosa rappresenta Mosè? Mosè rappresenta la Legge, perché Mosè era il legislatore. Il popolo non poteva entrare in Canaan sotto la sua conduzione. In altre parole, il cercare di ubbidire alla legge come via di salvezza non funziona. Si può essere salvati solo grazie all’opera di Cristo e associandoci a Lui seguendolo. È così che Israele entra nella terra promessa sotto la guida dell’uomo che rappresenta Gesù.

Proprio come Mosè non poteva condurre Israele in Canaan, così pure i suoi due figli non l’avevano potuto fare. Nessuno dei due era stato in grado di succedergli. Il suo figlio più vecchio, Gershom, è menzionato quattro volte nella Bibbia, ed il suo secondo figlio, Eliezer, ne è menzionato solo due volte (Esodo 2:22; 4:24-26; 18:1-5; 1 Cronache 223:15ss). In questi riferimenti non troviamo alcuna indicazione che essi siano stati accusati di una qualche colpa. Evidentemente lavoravano come Leviti nel Tabernacolo. Eppure nessuno dei due si dimostra tanto eminente di carattere e capacità da prendere il posto del loro padre. Né il legislatore né i suoi figli potevano condurre Israele nel suo riposo.

4. L’irreprensibilità di Giosuè. Giosuè è un tipo molto appropriato di Gesù nel fatto che egli è uno dei pochi maggiori personaggi della Bibbia che non siano affetti da maggiori colpe. La Bibbia non lo risparmia, però, di critiche. Una volta nella sua gioventù il suo zelo per Dio l’aveva condotto troppo avanti, fino al punto dell’indiscrezione (Numeri 11:27-29). Una volta, come leader, egli aveva agito con troppa fretta, quando aveva stipulato un trattato con i cananiti che abitavano a Gibeon, ma le sue motivazioni non ne erano state disonorevoli (Giosuè 9:3-15). La sua quasi-perfezione risalta rispetto alla madornale imperfezione di Mosè. Come giovane principe Mosè commette un omicidio. Come fuggiasco dimenticato Mosè resiste alla vocazione che Dio gli rivolge. Come leader al tramonto della sua carriera egli si rende colpevole di condotte che lo squalificano dall’entrare nella Terra promessa.

5. Giosuè come condottiero. È nelle sue specifiche virtù che lo qualificano come condottiero, leader, che Giosuè mostra come egli possa rispecchiare Cristo.

Il libro di Giosuè può essere considerato un manuale del leader, del conduttore. Afferma ed illustra molti dei principi che un leader deve osservare se vuole avere successo secondo i criteri di Dio. Noi dovremmo studiare bene quali siano questi criteri perché, sebbene non tutti fra noi possono essere dei leader, molti fra noi scelgono dei leader. Che cosa insegnano ad una donna che voglia scegliersi un marito? Che cosa insegnano ad una comunità cristiana che sia chiamata a scegliersi il suo pastore? Che cosa ci insegnano quando siamo chiamati a sceglierci i nostri leader politici?

5.1 Disposto ad essere subordinato. Giosuè si distingue come un subordinato di valore ad un altro uomo, il leader Mosè. Mosè tanto ben considerava Giosuè da affidarli importanti responsabilità (Esodo 17:8-16). Poco tempo dopo aver lasciato l’Egitto, le sbandate moltitudini di Israele erano attaccate da bande di amalechiti. Mosè istruisce Giosuè ad organizzare una forza militare per combattere quei predoni. Lo fa, e dopo un’aspra battaglia ne consegue la vittoria. Si dimostra fedele e diligente nel mettere in atto la volontà del suo padrone. Gesù è stato completamente devoto e fedele alla volontà di Suo Padre e l’ha compita fino all’ultimo dettaglio. Egli poteva dire di aver fatto sempre e soltanto la volontà del Padre (Giovanni 6:38).

Oggi, allo stesso modo, il primo tratto che distingue un uomo qualificato ad essere leader è la sua capacità a seguire un altro buon leader. Dio non si aspetta che nella chiesa i credenti seguano la conduzione dei Farisei, perché essi sono ciechi guide di ciechi (Matteo 15:14), o la conduzione di gente stupida ed inetta. Si leggano gli ammonimenti di Paolo rivolti a chi aveva accolto dei falsi apostoli (2 Corinzi 11:19-21). Bisogna fare molta attenzione quando si sceglie un leader. Se egli ci mette fuori strada, anche noi ne saremo considerati responsabili. Nel Cristianesimo non vi è alcun principio assoluto di conduzione. La maggior parte dei santi martiri attraverso la storia ha sofferto la morte per essersi rifiutata di piegarsi ad un imperatore o ad un papa. Un uomo, però, che non si sottometta ad un leader fedele al Signore, è incompetente a diventare leader egli stesso. Dio aveva esaltato Giosuè sopra il popolo di Dio solo dopo che egli aveva servito fedelmente l’apprendistato presso Mosè. Eliseo aveva diligentemente fatto l’apprendista presso Elia prima che Dio lo elevasse. Samuele aveva lavorato per Levi, e l’intero gruppo di 12 discepoli aveva iniziato la loro carriera come seguaci di gesù.

5.2 Disposto ad assumere posizioni impopolari. Giosuè era stato disposto a prendere una posizione impopolare nella volontà di Dio. Delle 12 spie che avevano viaggiato attraverso Canaan e che avevano fatto rapporto alla nazione su quanto vi avevano scoperto, solo lui e Caleb avevano raccomandato che il popolo seguisse i comandi di Dio di entrare in quel territorio (Numeri 13:17-14:10). Gli altri dieci avevano temuto i cananei ed avevano detto al popolo di Israele che non avrebbero potuto prevalere contro di loro. E l’intera assemblea del popolo aveva creduto alle dieci spie ed aveva respinto ciò che avevano loro detto Giosuè e Caleb. Non sarebbe stato facile per loro opporsi alla resistenza opposta loro da una grande quantità di persone della loro gente. immaginate di resistere voi stessi e di non lasciarvi intimidire di fronte ad una moltitudine di persone arrabbiate e vocianti che vorrebbe farvi la pelle. Quella moltitudine li avrebbe persino lapidati se la gloria di Dio non fosse apparsa improvvisamente nel tempio (14:10).

5.3 Fedele e perseverante. Nella costanza e fedele perseveranza alla verità Giosuè era come Gesù stesso. Per poter acquisire per noi la salvezza, Gesù ha accettato di essere disprezzato e respinto (Isaia 53:3). Al culmine della sua carriera Egli era stato abbandonato persino dai suoi più cari discepoli (Marco 14:50). Ancora oggi, essere disposti a resistere anche da soli è una virtù grandemente apprezzata ed amminata in un leader cristiano. Senza di essa, egli non avrebbe avuto il coraggio morale respingere convenienza e compromesso.

Un leader è sempre tentato a raggiungere il successo seguendo l’esempio di altre persone di successo. Come misuriamo, però, il successo? È possibile mettersi una grande comunità cristiana facendo uso di mezzi carnali, riempiendo il culto di intrattenimento, umorismo, e aneddoti, discussioni senza senso al posto dell’insegnamento fedele, sostituendo alla preghiera dei programmi. Una chiesa che edificata su tali fondamenta è spiritualmente vuota. Quando sarà messa alla prova del fuoco nel giorno del Giudizio, essa brucerà come legno e paglia (1 Corinzi 3:11-15).

5.4 Coltiva la comunione con Dio. La formula di un successo autentico è quella di servire Dio in primo e solo luogo, non importa quel che faranno gli altri. Egli prosperava nella comunione con Dio e coglieva ogni opportunità per essere alla presenza di Dio. Era asceso al Sinai con Mosè (Esodo 24:13). Vi si era fermato il più a lungo possibile nel tabernacolo (Esodo 33:11). Allo stesso modo, Gesù si assentava frequentemente dalle folle per pregare e recarsi un un luogo solitario per potere meglio pregare ed essere in comunione con il Padre. Oggi, così, è essenziale che un leader cristiano si nutra della presenza stessa di Dio. L’ultima virtù è di fatto il fondamento delle prime due. Fintanto che un uomo non abbia conoscenza personale di Dio ed intima familiarità con la Parola di Dio, egli non potrà avere l’abnegazione necessaria per portare avanti la volontà di Dio di una più grande autorità per sé stesso né, quando eserciterà la conduzione, potrà avere la sapienza e la fibra spirituale necessaria per resistere da solo a fare ciò che è giusto.

P.C. 23/2/2017

[1] “τέξεται δὲ υἱόν, καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν· αὐτὸς γὰρ σώσει τὸν λαὸν αὐτοῦ ἀπὸ τῶν ἁμαρτιῶν αὐτῶν”.

[2] “καὶ ἰδοὺ συλλήμψῃ ἐν γαστρὶ καὶ τέξῃ υἱὸν καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν”·

[3] “Questi sono i nomi degli uomini che Mosè mandò a esplorare il paese. E Mosè diede a Osea, figlio di Nun, il nome di Giosuè. Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Canaan, e disse loro: «Andate su di qua per il mezzogiorno; poi salirete sui monti” (Numeri 13:16-17).

[4] “Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d'un altro giorno. Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue. Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza” (Ebrei 4:8-11).

[5] Qualcuno potrebbe obiettare che di solito nell’innologia evangelica la traversata del Giordano abbia sempte un altro significato. La fonte remota di questi inno è probabilmente dovuto all’inflenza del “Pellegrinaggio di Cristiano” di John Bunyan. L’ultimo ostacolo di cristiano prima di entrare nella Città Celeste era il profondo e turbolento fiume Giordano. Nell’immaginario di quest’opera, il fiume Giordano rappresenta la morte e Canaan rappresenta il Paradiso, che raggiungiamo dopo aver confidato in Gesù. Egli è nostra guida attraverso il Giordano nel senso che Egli, con la Sua morte in croce, ci ha assicurato un’eredità eterna. Questo modo di considerare il Giordano e Canaan, però, non ha base alcuna nella Bibbia e comporta una seria difficoltà. Che cosa ha fatto Israele dopo essere entrato in Canaan? Ha forse trovato immediatamente il paradiso ed una vita libera da preoccupazioni terrene e guai? No, ha trovato nemici da ogni parte e città ostili da conquistare. È quindi ovvio che la Bibbia vuole che consideriamo l’attraversamento del Giordano non come la morte ma come la conversione che ci conduce alle lotte che caratterizzano la vita cristiana.