Luca 17:7-10

La lotta per il rispetto dei diritti di Dio

Sintesi. Una delle caratteristiche del nostro tempo è l’accento molto forte che si pone sulla dignità e sui diritti della persona umana che devono essere onorati e per i quali bisogna battersi. Per quanto questo sia necessario, anche questa lotta risulterà (come ogni altra cosa in questo mondo) sempre inefficace e distorta fintanto che i nostri diritti non siano controbilanciati dalla diligenza nell’espletare i nostri doveri, come sono stabiliti e definiti dalla Legge morale di Dio; e soprattutto quando saranno sottoposti ai diritti di Dio stesso, che altrettanto bisogna onorare e per i quali bisogna battersi. È la prospettiva “impopolare” che viene espressa dal testo biblico della Parola di Dio (Luca 17:7-10) sul quale riflettiamo questa Domenica, una pericope che porta il titolo, altrettanto impopolare di “I doveri dei servi”. Esaminandola senza pregiudizi potremo scoprire la chiave della vera libertà.

Diritti e doveri

Una delle caratteristiche del nostro tempo è l’accento molto forte che si pone sulla dignità e sui diritti della persona umana. Dal tempo in cui è stata stilata la Carta dei Diritti Umani, si sono moltiplicate le dichiarazioni per l’affermazione e la difesa dei diritti delle categorie umane più diverse, ad esempio: i diritti dei lavoratori, i diritti della donna, i diritti del bambino, i diritti dei malati e degli invalidi, i diritti delle minoranze culturali, linguistiche, religiose, nazionali, razziali, sessuali, e così via.

Tutto questo è senza dubbio importante, perché la storia umana è costellata di ingiustizie, di soprusi, oppressione, prevaricazioni e sopraffazioni che causano un mare di sofferenze.

Bisogna però anche dire che il gran parlare che si fa sui diritti convive oggi con molta ipocrisia, perché queste dichiarazioni spesso rimangono solo sulla carta. Inoltre c’è pure la tendenza ad esagerare, tanto che, in diversi casi, viene ritenuta inammissibile anche la minima critica verso determinate categorie di persone, giungendo così a pregiudicare un altro diritto fondamentale, quello dell’espressione del proprio pensiero. Per non parlare, poi, anche di un altro problema: siamo molto forti a parlare di diritti, ma anche molto deboli per quanto riguarda l’affermazione e la pratica dei nostri doveri. Molto sensibili a difendere “i nostri diritti”, siamo meno pronti a riconoscere i nostri doveri.

Il testo biblico

I cristiani sono chiamato ad onorare e sostenere la lotta per il rispetto dei diritti della persona umana in quanto la sua dignità risiede nel fatto che l’essere umano è stato creato da Dio a Sua immagine e somiglianza e che quindi, onorando ogni vita umana (sin dal suo concepimento), onoriamo e rispettiamo Dio che l’ha creata. Questo, inoltre, lo dobbiamo fare nel rispetto e conformità alle leggi morali che regolano la nostra condotta, quelle che Dio ha sovranamente stabilite e rivelate, e che trovano nel Signore e Salvatore Gesù Cristo la loro espressione più alta e coerente.

Fondamento dei diritti umani, quindi, per noi è Dio stesso che li definisce e li regola, tanto che possiamo dire che questi diritti possono essere garantiti quando ad essere rispettati sono soprattutto i diritti di Dio - il rispetto della Sua Persona e dell’ordinamento che Egli ha stabilito. I diritti umani sono così per noi inscindibilmente legati ai nostri doveri verso Dio. Questo è, di fatto, ciò del quale oggi in genere dà più fastidio parlarne, è “indigesto”, e persino indigna, perché la società moderna sul trono mette l’essere umano come unico ed incontrastato sovrano, misura di sé stesso e legge a sé stesso, ed esclude Dio come un’astrazione che considera non solo irrilevante, ma addirittura dannosa!

Il testo biblico

È per questo che un testo biblico come quello sul quale vogliamo riflettere quest’oggi, per la mentalità corrente risulta piuttosto imbarazzante e sconveniente già nel titolo stesso in cui compare nelle bibbie, cioè “I doveri del servo”. Chi però riesce, per grazia di Dio, ad esaminarlo senza pregiudizi, scoprirà ben presto come non solo sia in linea con il messaggio dell’Evangelo, ma come sia autenticamente liberante, perché la nostra vera libertà la troviamo in Dio, e non contro di Lui!

Il testo lo troviamo nel vangelo secondo Luca, al capitolo 17 dal versetto 7. Eccolo:

“Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a metterti a tavola"? Non gli dirà invece: "Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu"? Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: ‘Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare’” (Luca 17:7-10).

In che modo questo testo biblico ha rilevanza per il discorso che abbiamo iniziato a fare sui diritti? Andiamo per ordine e lo scopriremo.

In effetti, molte sono qui le cose che “non piacciono” alla mentalità corrente. In primo luogo perché ci ribelliamo all’idea che, rispetto a Dio, siamo considerati “servi”, dando noi valore alla personale nostra libertà di autodeterminazione. In secondo luogo ci ripugna la parola “obbligo”, il dovere di sottostare a comandi e il dovere ubbidire senza discussioni. Inoltre, questa parabola sembra giustificare uno “scriteriato” sfruttamento dei lavoratori da parte del padrone. Infine, appare persino profondamente ingiusta perché sembra negare che chi lavora abbia diritto ad un’adeguata ricompensa. Insomma: la schiavitù! Possibile che Gesù insegni cose simili o addirittura voglia che noi le prendiamo come esempio?

In realtà, in questa parabola, Gesù prende semplicemente la realtà di quel tempo, un’economia basata sulla schiavitù, non tanto per denunciarla (non almeno questa volta) e tanto meno per giustificarla, ma per far comprendere importanti principi evangelici. Poco importa se essi non piacciono! Gesù è il nostro Signore: non siamo qui per criticarlo, ma per ricevere con fiducia la Sua Parola. I principi di cui parla in questa parabola, infatti, non solo continuano oggi ad essere validi, ma ad essi ci dobbiamo convertire! Quali sono? Cerchiasmo di capire megli, senza pregiudizi e con fiducia.

Le nostre pretese

Dio è a nostro servizio? Prima mettevo in evidenza come la nostra generazione, in linea di massima, consideri “scandalosa” ed “offensiva” una parabola di questo genere. L’ho fatto di proposito, perché uno dei problemi della nostra generazione è la sua arroganza nei confronti di Dio. Noi pretendiamo che Dio sia a nostro servizio e ne siamo offesi se riteniamo che Egli non ci dia quello di cui pensiamo di averne diritto o non si comporti con noi come ci aspetteremmo. Secondo molti Dio “ci deve” vita, salute, benessere, protezione… Dio “deve” rispondere ad ogni nostro desiderio e preghiera, ...incondizionatamente, allo schiocco delle nostre dita! Se non lo fa, ...siamo pronti alle ritorsioni! Se non fa quel che diciamo o pensiamo di dover avere, allora ...gli sottraiamo la nostra fede, il nostro culto, oppure ritiriamo il nostro appoggio alla Chiesa! Tutto questo è ridicolo, puerile, ma anche tragico, perché questo atteggiamento è molto più comune di quanto molti siamo disposti ad ammettere!

Preferiremmo capovolgere la parabola. Se fosse per noi, capovolgeremmo la parabola e diremmo che piuttosto il servo ò Dio che, dopo aver lavorato per noi tutto il giorno, “finita la giornata di lavoro”, deve continuare a servirci,, Non gli dobbiamo alcun grazie e non abbiamo alcun obbligo verso di lui: deve solo e sempre essere al nostro incondizionato servizio! Per alcuni il suo compito è esserci utile, perdonarci, benedirci, salvarci… Semmai ogni tanto gli diamo qualche “contentino”, come chi ritiene di dover andare ogni tanto in chiesa, la domenica (quando, naturalmente, non abbiamo “di meglio” da fare) sia “fargli un piacere”!

Ci rendiamo conto di chi sia Dio? Un simile atteggiamento è così rivoltante e blasfemo che esito persino nel descriverlo! ...ma chi pensiamo di essere? Evidentemente non ci rtendiamo conto di chi sia Dio e di chi siamo noi! “Il Signore è grande e degno di lode eccelsa, e la sua grandezza non la si può misurare” (Salmo 145:3). “Tu sei degno, Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create ed esistono” (Apocalisse 4:11). “Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli. Amen” (Apocalisse 7:12). Sì, il Signore Iddio è degno della nostra più incondizionata fiducia ed ubbidienza, lode e ringraziamento: tutto ciò che siamo ed abbiamo, tutto ciò che facciamo ed anche la nostra volontà e forza che abbiamo per compierlo, è Suo e dipende da Lui. Egli non “ci deve” proprio nulla e noi, a lui, tutto dobbiamo!

Come peccatori non meritiamo nulla! Se poi ci rendiamo conto di quanto gravemente in difetto noi siamo nei confronti di Dio, di quanto grandi, offensivi e rivoltanti siano i nostri peccati verso di lui, la nostra ribellione, la nostra arrogante empietà, la nostra miseria morale e spirituale, certo non oseremmo pretendere da lui alcunché, se non il nostro giusto, ben meritato e severo castigo!

Gesù sente tutto l’orrore del peccato. Quando il Salvatore Gesù Cristo, santo ed innocente, prende, nella sua compassione ed amore, il posto del peccatore sulla croce (quel peccatore a cui Dio ha deciso, già dall’eternità, di fare oggetto della grazia della salvezza, immeritata), pagando lui il prezzo della sua salvezza, Egli prova su di sé tutto lo spaventoso peso del peccato e delle sue conseguenze. Fa la drammatica esperienza dell’abbandono da parte di Dio Padre, che Lui se ne sta lontano senza soccorrerlo e che lo rende oggetto della sua giusta ira. Gesù sente tutto il peso del silenzio dio Dio che non dà ascolto alle parole dei suoi gemiti e non risponde, e sa che questo è solo giusto. Si rende conto di non meritare nulla se non l’inferno, ‘perché nulla meno di questo merita il peccatore. Egli afferma: “Ma io sono un verme e non un uomo, l'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo” (Salmo 22:6).

Riconoscere e confessare. Se questa parabola di Gesù vi scandalizza, ancora non avete capito o non volete capire chi è Dio e chi siamo noi. Il messaggio dell’Evangelo vuole che noi ce ne rendiamo conto, prima che sia troppo tardi. Sarebbe allora quanto mai appropriata per noi la preghiera di confessione del profeta Daniele che si era disposto alla preghiera con suppliche e digiuno “con sacco e cenere”.

"O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e serbi la misericordia verso quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo operato malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni. Non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in nome tuo ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia in questo giorno, agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi (...). O SIGNORE, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri prìncipi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te. Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono; poiché noi ci siamo ribellati a lui e non abbiamo ascoltato la voce del SIGNORE, del nostro Dio, per camminare secondo le sue leggi che egli ci aveva date mediante i profeti suoi servi. Sì, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce. Così su di noi sono riversate le maledizioni e le imprecazioni che sono scritte nella legge di Mosè, servo di Dio, perché noi abbiamo peccato contro di lui. Egli ha messo in pratica le parole che aveva pronunciate contro di noi e contro i nostri governanti, facendo venire su di noi un male così grande, che sotto il cielo non è mai accaduto nulla di simile (...) Come sta scritto nella legge di Mosè, questo disastro ci è piombato addosso; tuttavia, non abbiamo implorato il favore del SIGNORE, del nostro Dio. Non ci siamo ritirati dalla nostra iniquità e non siamo stati attenti alla sua verità. Il SIGNORE ha vigilato su questa calamità e ce l'ha fatta venire addosso; perché il SIGNORE, il nostro Dio, è giusto in tutto quello che ha fatto, ma noi non abbiamo ubbidito alla sua voce. Ora, o Signore nostro Dio, che conducesti il tuo popolo fuori dal paese d'Egitto con mano potente e ti facesti una fama che hai ancora oggi, noi abbiamo peccato e abbiamo agito malvagiamente. (...). Ora, o Dio nostro, ascolta la preghiera e le suppliche del tuo servo; per amor tuo, Signore, fa' risplendere il tuo volto sul tuo santuario che è desolato! O mio Dio, inclina il tuo orecchio e ascolta! Apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni, guarda la città sulla quale è invocato il tuo nome; poiché non ti supplichiamo fondandoci sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo" (Daniele 9:4-10).

Un servizio dovuto

Vedete, allora che, in questa prospettiva si possono capire meglio i principi esposti da Gesù nella sua parabola.

Solo a Dio la gloria. I discepoli di Gesù avevano ricevuto dei compiti da svolgere nel mondo ed anche la capacità straordinaria per adempierli. Ecco, così, che Gesù li esorta a non vantarsene come se fosse loro merito e dovessero, per questo, riceverne la gloria, né a considerare queste opere come “un servizio retribuito”. Essi dovranno operare in modo riconoscente dando, in quello che fanno, a Dio soltanto la gloria.

Un grato servizio. Gesù stesso dice loro: “Guarite gli ammalati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Matteo 10:8).ù

Quando gli apostoli guariscono un infermo nel nome di Cristo, Pietro ritiene importante dire a chi gliene chiede conto: “se oggi siamo esaminati a proposito di un beneficio fatto a un uomo infermo, per sapere com'è che quest'uomo è stato guarito, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele che questo è stato fatto nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, che voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti; è per la sua virtù che quest'uomo compare guarito, in presenza vostra” (Atti 4:9-10).

Quando l’apostolo Paolo è accusato di fare quel che fa per un qualche suo profitto personale, Egli risponde: “Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunciando il vangelo, io offra il vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il vangelo mi dà” (1 Corinzi 9:18).

Tutto per sola grazia. Quel che riceviamo da Dio è per sola grazia: nulla ci è dovuto, dai molti privilegi che abbiamo alla salvezza stessa: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio” (Efesini 2:8); “infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13); “...se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” (Romani 11:6). Anche il bene che facciamo è opera sua: “infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10). Che i discepoli di Gesù, così, non immaginino di poter pretendere alcunché dalle mani di Dio, immaginando di aversi guadagnato dei meriti, perché è tutto per grazia.

Non sarebbe mai abbastanza quel che facciamo nel servizio di Dio. Essi pure sono esortati a svolgere un dovere dopo l’altro senza pensare di aver fatto mai abbastanza, o più di quello che era loro dovere di fare. Esiste un momento in cui potremmo dire di non aver fatto abbastanza di Dio, di averlo “ripagato”? No, se lo pensiamo, non ci rendiamo conto dell’immensità di quanto noi otteniamo in Cristo. Nella parabola di Gesù, il padrone non ritiene che i suoi servi abbiamo per quel giorno fatto ormai abbastanza, ma che solo sia loro dovere continuare a servirlo. Dato che Dio può giustamente pretendere per Sé sia la nostra persona sia tutto ciò che ci appartiene, Egli non può in alcun modo essere considerato nostro debitore, per quanto noi si abbia lavorato duramente per tutta la vita; infatti: Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato?” (v. 9).

Quel che facciamo “è il minimo”! Quel che il servo fa, non è un favore rispetto al quale possa sentirsi obbligato di ricompensarlo, lodarlo o ringraziarlo. Ubbidirgli diligentemente “è il minimo” che noi si possa fare, non solo visto ciò che Dio è, ma pure per quanto ha fatto per noi.

È assurdo pensare ad una ricompensa! Non ha dunque senso parlare di voler avere “una ricompensa” per la nostra ubbidienza al Signore. Quale ricompensa vorremmo avere dopo aver già ricevuto tutto dal Signore, per grazia Sua? Ecco il senso della frase: “Così, quando avrete fatto tutto ciò che vi era stato comandato, dite: ‘Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare” (v. 10). Più che “servi inutili” qui bisognerebbe tradurre: “Servi che non possono pretendere un utile sulla base del loro servizio” visto che già sono oggetto di tanta grazia. L’apostolo dice: “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32).

Lavorare diligentemente. I discepoli di Cristo sono esortati, in questa parabola, sia come ministri che come singoli credenti, ad essere altrettanto laboriosi di chi ara nei campi o si prende ogni giorno cura del suo bestiame. Dovere dei ministri di Dio è quello di ricevere e di ritrasmettere la Parola di Dio, amministrare i sacramenti e svolgere tutti gli altri doveri del ministero. Ogni singolo credente, altresì, deve impegnarsi nel servizio della grazia, nell’opera della fede, nella fatica dell’amore, della pazienza e della speranza; come pure deve assolvere ai propri doveri verso sé stesso, la famiglia, la chiesa ed il mondo.

Un servizio permanente. Come servitori essi devono essere sempre all’opera, e quando un compito è svolto, devono mettere mano ad un altro, così come il compito del genitore non è mai finito. Potrebbe forse un genitore dire: “Ho fatto le mie otto ore di genitore, e ora non ci penso più”? No. Il servizio cristiano è “un servizio permanente” animato dall’amore e dalla riconoscenza verso Dio. I cristiani sempre credono, sperano, servono, amano, fanno buone opere, allo stesso modo in cui non cessano di rendere culto a Dio. I cristiani non possono “andare in vacanza” dall’essere cristiani. Sarebbe assurdo, se hanno capito che cosa vuol dire essere cristiani.

Cercate prima… Il vero servitore di Cristo serve Lui in primo luogo, cerca< prima lòa Sua giustizia e il Suo regno, il Suo onore, credendo che tutto il resto gli sarà poi sopraggiuynto. Quando hanno fatto tutto ciò che gli era stato comandato, non devono pensare che il loro servizio meriti necessariamente plauso, profitto o riconoscenza.

Il privilegio sta nel servire! Se il servizio è la predicazione della Parola, il predicatore deve essere riconoscente di potere così servire, che ha esercitato quei doni che gli sono stati dati, che il suo lavoro è stato utile, che Dio si è avvalso di lui, che ha fatto il bene degli altri, che ha così contribuito alla gloria ed all’onore di Dio. Non deve aspettarsi che Dio lo ringrazi per aver diligentemente e fedelmente compiuto la sua opera, o immaginare di essersi accumulato chissà quali meriti! Se il nostro compito è di ricevere la Parola, dovremmo essere riconoscenti a Dio per avere il privilegio di udirla, di ricevere i sacramenti, di potersi avvalere di ministri, per avere avuto l’onore di servire Dio, di averne avuto del bene, un profitto, un vantaggio, un guadagno. Non deve pensare che Dio abbia obbligo alcuno di ringraziarlo per averlo fatto, o che meriti ringraziamenti o favori per quello. Se il compito fatto è la preghiera, un uomo deve necessariamente essere riconoscente di averne avuta la possibilità, che essa è salita presso il Suo trono, che ne ha avuto l’esaudimento e la benedizione. Non deve però mai indulgere nel pensare che Dio sia in obbligo ora per lui per quelle preghiere o che debba ringraziarlo. Se l’opera è fare del bene con quanto possediamo, dovremmo solo essere riconoscenti a Dio per averle ottenute e che è stato loro possibile usarle, e non concluderne che ne abbia acquisito meriti o guadagni.

Espressione di riconoscenza. Tutto ciò che ci è comandato, come ricevere la Parola o trasmetterla, o pregare, o un qualsiasi altro atto di culto, qualsiasi atto di giustizia o di benevolenza, ogni dovere fatto in risposta e nel modo che Dio ci comanda nella Sua Parola, è un dovere ed un’espressione di riconoscenza per quello che Dio è ed ha già operato nella nostra vita. Se siamo stati “utili” al Signore, questo è stato possibile per la volontà, forza e grazia che Dio ci ha accordato. Noi non possiamo dare a Dio nulla che Egli già non abbia, o che non sia nostro dovere. Dio non ha alcun obbligo verso di noi, né deve riconoscerne merito. Chi parla di “guadagnarsi il paradiso” non ha capito nulla dell’Evangelo di Gesù Cristo.

La necessità dell’umiltà. Per cui, per quanto la diligenza sia del tutto appropriata e ragionevole compierla nell’opera del Signore, è necessaria l’umiltà. Non dobbiamo arrogarci ciò che non ci spetta, o vantarci dell’opera che abbiamo fatto, dato che anche quando abbiamo fatto il meglio o il massimo, abbiamo solo fatto quel che dovevamo, quello di cui avevamo l’obbligo, e certamente in modo limitato e non ancora ottimale.

Conclusione

Vedete, allora che, proprio noi che pretendiamo che “siano rispettati i nostri diritti”, di “avere la giusta ricompensa” per i nostri sforzi; noi che diciamo, persino ai nostri familiari quando ci chiedono qualcosa: “Ehi, non sono mica tuo servo! Arrangiati tu!”, ecco, noi confessiamo essere nostro Signore Colui che disse: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:27). Avevano forse diritto ad essere serviti da Gesù i Suoi discepoli o le persone che Egli beneficava? Certamente no. Così, però, Egli manifesta il Suo amore gratuito, la Sua grazia, e così Egli si aspetta che i Suoi discepoli si comportino. Dopo aver lavato loro i piedi, Gesù dice ai Suoi discepoli: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Giovanni 143:14-17).

Lottare affinché siano rispettati i diritti umani è importante (nella misura in cui sono conformi a quanto la Scrittura ci insegna), lottare perché siano rispettati i diritti di Dio è ancora più importante, per quanto raro ed inusitato appaia oggi essere. Ci si accorgerà ben presto, però, che facendolo, anche tutto il resto “andrà a posto” perché sarà quello che era inteso essere fin dall’inizio, qualcosa di buono, anzi ottimo.

Paolo Castellina, 26 settembre 2016. Rielaborazione della predicazione del 20 gennaio 2005.