Sintesi
Le letture della quinta domenica di Quaresima ci anticipano il messaggio della risurrezione. Il Signore Gesù, con la risurrezione di Lazzaro (Giovanni 11:1-45), opera il segno miracoloso più grande manifestandosi Egli stesso come la risurrezione e la vita. Questo episodio rafforza la nostra prospettiva sulla vita e sulla morte e come tale deve essere annunciata, non solo in occasione di eventi luttuosi che ci toccano da vicino, ma costantemente, proprio perché la morte è “un leone ruggente” nascosto “dietro l’angolo”, sempre. In questa prospettiva, la morte che è affrontata per fede nella Persona ed opera del Signore Gesù Cristo, non deve essere temuta. Il cristiano può essere certo che la morte è nella volontà di Dio e che ha per scopo di arrecare gloria a Dio. Non si tratta però solo di prospettive ultraterrene. La potenza del "soffio" vivificante di Dio rimane tale da risvegliare coloro che sono morti dal punto di vista spirituale, come ci indica la visione di Ezechiele sulla valle delle ossa secche che riprendono vita (Ezechiele 37:1-14). Risvegliati spiritualmente, ora non concentriamo più la nostra attenzione nelle cose della carne ma in quelle dello Spirito (Romani 8:6-11).
Durante i 24 anni del mio ministero pastorale come pastore della Chiesa riformata in Svizzera, ho condotto innumerevoli funerali, centinaia forse - non ne ho tenuto il conto. Si trattava in gran parte di persone anziane vissute, per usare un’espressione biblica, “sazie di giorni”, come Abraamo di cui è scritto che: “spirò in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni, e fu riunito al suo popolo” (Genesi 25:8). Molto più difficile era condurre funerali, ad esempio, di persone giovani (e ne ho avute diverse), decedute, come si dice, prematuramente, strappate ai loro cari a causa di malattia o incidenti, madri o padri che sarebbero state necessarie ai loro figli piccoli o persone giovani e promettenti.
La mia funzione era prima di tutto quella di accompagnarne i famigliari nel processo del lutto, esprimendo loro solidarietà, ascoltandone il dolore “piangendo con loro”, consolandoli e conducendoli ad interpretare l’accadimento in modo sano e costruttivo. Il mio ruolo, però, non poteva solo essere, evidentemente, come quello di uno psicologo chiamato ad intervenire nei momenti di crisi, d’emergenza[1]. Come ministro cristiano io assumevo il ruolo, volente o nolente, di rappresentante ed interprete di Dio, il Dio a cui, soprattutto in quelle circostanze, si pongono molte domande e, non raramente, si esprime il proprio risentimento più o meno esplicito. A molte di quelle domande spesso non c’è risposta, ed allora il ministro di Dio spesso può solo essere una presenza silenziosa. Essenziale, però, era il compito promuovere e rafforzare la prospettiva cristiana sulla vita e sulla morte. Se è difficile è trovare il senso di ogni morte, è solo nella prospettiva biblica e cristiana che si comprendono “i fatti della vita” e della morte e si può fondare stabilmente la consolazione e la speranza. L’apostolo Paolo, infatti, scrive: "Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza" (1 Tessalonicesi 4:13). Essenziale, anche e soprattutto in queste circostanze era e rimane l’esplicito annuncio dell’Evangelo, quello che ci parla del valore della vita, morte e risurrezione del Signore e Salvatore Gesù Cristo per coloro che Lo abbracciano con fede. L’annuncio dell’Evangelo l’ho sempre considerato imprescindibile priorità[2] Quella è la sola base, come si dice, per “vivere e morire bene”, la sola base della nostra speranza,
Nel particolare contesto in cui mi trovano tutto questo non era sempre preso per scontato e spesso incontrava più o meno malcelata ostilità, e almeno per due motivi. Il primo era che gran parte della popolazione era cristiana solo per tradizione e non tanto per convinzione, e quindi[3] dalle idee piuttosto confuse ed anche errate a causa di gravi carenze di istruzione biblica, nonostante che appartenessero in gran parte ad una chiesa riformata. Il secondo era l’influenza deleteria di colleghi pastori di tendenza liberale che, relativizzavando e contestando l’autorità della Bibbia, quando predicavano ed insegnavano promuovevano non l’Evangelo biblico, ma solo un vago umanesimo religioso, di fatto ingannando ed illudendo la gente con concetti di grazia a buon mercato e salvezza universale. Oltre ai soliti luoghi comuni e banalità consolatorie, I funerali a cui la gente era abituata, di fatto contenevano praticamente solo la commemorazione della persona deceduta nell’ambito di una liturgia fatta di letture bibliche di circostanza. Era quindi una popolazione lasciata quasi completamente priva di un’autentica predicazione dell’Evangelo[4].
Anche e soprattutto in quelle circostanze, la mia determinazione era quindi di comunicare l’autentico Evangelo, così com’è annunciato nel Nuovo Testamento, l’appello al ravvedimento ed alla fede in Gesù Cristo. Per quanto attentamente calibrato, però, questo era percepito come largamente dissonante rispetto a ciò che la gente era abituata a sentire. Spesso era un annuncio tollerato “per cortesia”, ma non raramente accompagnato da mugugni e lamentele che si sarebbero manifestate in seguito. Per quanto banale ed irrilevante, molti avrebbero infatti preferito le consolazioni a buon mercato e le formalità dei “soliti funerali”.
Il testo biblico sottoposto oggi alla nostra attenzione, ci presenta la persona del Signore e Salvatore Gesù Cristo in rapporto ad una famiglia in lutto. Un uomo, Lazzaro di Betania, muore “nel fiore degli anni” lasciando un vuoto incolmabile. Non si tratta di una famiglia qualunque: erano infatti persone legate a Gesù da vincoli profondi. Come reagisce Gesù di fronte alla condizione umana che vede la morte sempre in agguato, come si dice “dietro ogni angolo”? Di fatto la morte, è davvero come un “leone ruggente”[5] pronto a “sbranare” chiunque gli capiti a tiro, “senza guardare in faccia nessuno”. Come reagisce Gesù quando questo “leone” sbrana una delle persone che in questo mondo aveva di più care? In che modo Egli conforta i superstiti e li accompagna nel loro lutto? In quel caso Egli lo in modo unico ed irripetibile: restituendo la vita a quell’uomo. Egli così’ particolarmente dimostra come a Gesù, il Cristo, davvero siano state date “le chiavi della morte e dell’Ades”[6] confermando la fiducia che quella famiglia aveva in Lui. Il testo che parla di questo avvenimento ci racconta di un fatto straordinario, che però è di grande valore anche nei fatti ordinari della nostra vita quando sofferenza e morte ci colpiscono da vicino. Potete stare certi che non si tratta di una consolazione a buon mercato.
"(1) C'era un ammalato, un certo Lazzaro di Betania, del villaggio di Maria e di Marta sua sorella. (2) Maria era quella che unse il Signore di olio profumato e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; Lazzaro, suo fratello, era malato. (3) Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». (4) Gesù, udito ciò, disse: «Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato». (5) Or Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro; (6) com'ebbe udito che egli era malato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dove si trovava. (7) Poi disse ai discepoli: «Torniamo in Giudea!» (8) I discepoli gli dissero: «Maestro, proprio adesso i Giudei cercavano di lapidarti, e tu vuoi tornare là?» (9) Gesù rispose: «Non vi sono dodici ore nel giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; (10) ma se uno cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». (11) Così parlò; poi disse loro: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma vado a svegliarlo». (12) Perciò i discepoli gli dissero: «Signore, se egli dorme, sarà salvo». (13) Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno. (14) Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto, (15) e per voi mi rallegro di non essere stato là, affinché crediate; ma ora, andiamo da lui!» (16) Allora Tommaso, detto Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi, per morire con lui!». (17) Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. (18) Or Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi, (19) e molti Giudei erano andati da Marta e Maria per consolarle del loro fratello. (20) Come Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa. (21) Marta dunque disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; (22) e anche adesso so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo darà». (23) Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». (24) Marta gli disse: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno». (25) Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; (26) e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?». (27) Ella gli disse: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo». (28) Detto questo, se ne andò, e chiamò di nascosto Maria, sua sorella, dicendole: «Il Maestro è qui, e ti chiama». (29) Ed ella, udito questo, si alzò in fretta e andò da lui. (30) Or Gesù non era ancora entrato nel villaggio, ma era sempre nel luogo dove Marta lo aveva incontrato. (31) Quando dunque i Giudei, che erano in casa con lei e la consolavano, videro che Maria si era alzata in fretta ed era uscita, la seguirono, supponendo che si recasse al sepolcro a piangere. (32) Appena Maria fu giunta dov'era Gesù e l'ebbe visto, gli si gettò ai piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». (33) Quando Gesù la vide piangere, e vide piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette nello spirito, si turbò e disse: (34) «Dove l'avete deposto?» Essi gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». (35) Gesù pianse. (36) Perciò i Giudei dicevano: «Guarda come l'amava!» (37) Ma alcuni di loro dicevano: «Non poteva, lui che ha aperto gli occhi al cieco, far sì che questi non morisse?». (38) Gesù dunque, fremendo di nuovo in se stesso, andò al sepolcro. Era una grotta, e una pietra era posta all'apertura. (39) Gesù disse: «Togliete la pietra!» Marta, la sorella del morto, gli disse: «Signore, egli puzza già, perché siamo al quarto giorno». (40) Gesù le disse: «Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?» (41) Tolsero dunque la pietra. Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. (42) Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato». (43) Detto questo, gridò ad alta voce: «Lazzaro, vieni fuori!» (44) Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». (45) Perciò molti Giudei, che erano venuti da Maria e avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui" (Giovanni 11:1-45).
Quando questi avvenimenti hanno luogo, Gesù si trovava in Perea, a circa 30 km dall’abitazione di Marta, Maria e Lazzaro a Betania[7]. È là che lo raggiunge la notizia che l’amico Lazzaro era gravemente ammalato: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato” (11:3). I vangeli testimoniano come Gesù fosse particolarmente legato a lui ed alla sua famiglia[8].
Dai dettagli del racconto si può supporre che quando Gli arriva questa notizia, Lazzaro era ormai deceduto. Nel messaggio che Maria e Marta fanno giungere a Gesù si rileva la loro evidente fede in Lui sia come Salvatore che come amico. Gesù viene semplicemente informato. Marta e Maria non Gli suggeriscono che cosa debba fare: esse erano persuase che Gesù avrebbe fatto quanto avrebbe ritenuto più opportuno. Di lui hanno completa fiducia e rispetto.
Indubbiamente, però, quel che Gesù fa in questa circostanza è sorprendente. Ci saremmo infatti magari aspettati che Lui avesse guarito (o risuscitato) Lazzaro a distanza, cosa che Egli aveva fatto in altre circostanze[9]. Il minimo che ci saremmo aspettati che Egli facesse è partire immediatamente per Betania. Gesù, però, decide di attendere ancora due giorni. Perché lo fa? Non certo perché la cosa non Gli importasse o che la ritenesse di secondaria importanza. Betania distava solo tre chilometri da Gerusalemme e i discepoli ritengono che Gesù non parta subito perché la cosa sarebbe stata pericolosa, essendo Lui stesso già stato seriamente minacciato più volte di morte[10]. La decisione di Gesù, però, non era dovuta a ragioni di sicurezza personale, ma aveva a che fare con lo scopo della morte di Lazzaro.
“Gesù, udito ciò, disse: «Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato»” (11:4). Era espressamente volontà di Dio che Lazzaro morisse, e morisse davvero, nonostante che il Salvatore l’avesse potuto guarire persino a distanza. La cosa vi scandalizza?
Questo fatto contraddice ciò che oggi si sente spesso (anche nei funerali) che “Dio non c’entra” con la morte di qualcuno. Il fatto che la morte di Lazzaro fosse stata “intesa” non riguarda solo quel caso particolare. Se Dio davvero è Dio, infatti, qualsiasi cosa avviene, qualunque sia la nostra soggettiva valutazione dell’avvenimento, esso avviene perché così Egli ha disposto e serve per Suoi propositi ultimi. Nel mondo di Dio nulla avviene per caso o al di là del Suo controllo. Non esistono “fatti imponderabili” rispetto ai quali Egli non ci possa far nulla, magari per rispetto di una qualche logica “più grande di Lui” o di qualche essere Suo concorrente che “si diverte” a rovinare quanto di buono Egli fa. Non esiste nulla di più grande o di più potente di Dio a cui anch’Egli debba sottomettersi, nemmeno per concessione. Ogni avvenimento comporta due cause: una causa secondaria (quella di cui Dio ha disposto l’esistenza e l’agire) ed una causa primaria: la Sua precisa volontà. È impossibile che Dio sia veramente Dio e non sia di fatto la fonte ultima, la causa prima, di tutto ciò che avviene. Questo non vuol dire che Egli sia da ritenere responsabile di ogni male, ma che Dio ha disposto pure l’incorrere del male, della sofferenza e di quelle che per noi sono tragedie: tutto è stato determinato nei Suoi eterni propositi. Questo riguarda anche il peccato: Egli non causa il peccato, ma il fatto che il peccato esista vuol dire che Egli l’ha permesso, e si propone di farne uso per promuovere i Suoi obiettivi[11] e questo senza venire meno alla Sua santità e giustizia.
È così volontà immediata di Dio che Lazzaro muoia, ma Suo obiettivo ultimo e decreto è che egli viva (“Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà»” v. 24). È questa la ragione per la quale Gesù parla della sua temporanea condizione di morte come di un dormire, perché egli sarebbe stato ben presto risvegliato.
Proposito della morte di Lazzaro era quello di glorificare Dio attraverso la glorificazione di Suo Figlio (v. 4). Sebbene vi siano stati altri casi in cui Gesù richiama alla vita delle persone, questo avviene dopo che Lazzaro era già di fatto morto da quattro giorni. Sebbene altri siano stati risuscitati in luoghi decentrati[12], questo avviene nel cuore stesso della Giudea, a soli tre chilometri da Gerusalemme. La risurrezione di Lazzaro è il punto più alto del ministero di Gesù, quello che Lo proclama essere Egli stesso “la risurrezione e la vita” (v. 25).
Ecco così le parole di conforto che Gesù fa giungere a Marta e Maria: Lazzato è morto solo temporaneamente e, meglio ancora, la sua morte temporanea sarebbe stata usata per la gloria di Dio attraverso l’esaltazione del Figlio. Certo questo è un caso particolare, ma è pure qui che noi dobbiamo trovare il nostro conforto. Ogni qual volta un cristiano viene faccia a faccia con la morte, che sia la propria o quella di un familiare od amico, oppure quella di uno sconosciuto - salvato oppure no - dobbiamo trovare conforto nel fatto che questa morte, ogni morte, sia per la gloria di Dio. Quest’affermazione potrebbe persino indignare qualcuno ed essere persino considerata “mostruosa”, ma oggettivamente vi sono molte buone ragioni per cui la morte, ogni morte, si può dire che sia per la gloria di Dio.
In primo luogo, la morte rivela che Dio è santo e giusto. Egli è un Dio che non tratta il peccato alla leggera: la giustizia di Dio implica che esso debba essere punito. Con Adamo ed Eva Dio aveva chiaramente stabilito: "...ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai" (Genesi 2:17). L’apostolo Paolo scrive: “Il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Contrariamente a ciò che ne dice una popolare opinione, la morte non rende Dio cattivo ed ingiusto. La morte manifesta quanto offensivo per Dio sia il peccato. La morte rivela la santità e la giustizia di Dio proprio nel fatto che Egli lo sanzioni così severamente. Il fatto che ogni creatura umana muoia rivela come Dio sia assolutamente coerente ed inflessibile nel Suo giudizio sul peccato. In secondo luogo, la morte porta gloria a Dio nel fatto che essa è “l’ultimo nemico” sulla quale prevarrà il Signore Gesù Cristo. Nella Sua vittoria sulla morte Egli manifesta la Sua signoria sopra ogni cosa[13].
In terzo luogo, la morte è designata portare gloria a Dio attraverso la testimonianza vittoriosa dei Suoi santi di fronte alla morte stessa. Il mondo ne teme ed evita ogni menzione. Il cristiano non se ne rallegra, perché gli rammenta l’orrore del peccato, ma non la teme, anzi, la considera un nemico sconfitto. Per il cristiano, la morte è il passo necessario per entrare alla presenza del Dio vivente[14] Il cristiano trova conforto nel fatto che la morte sia parte del proposito e progetto di Dio per glorificare Sé stesso, ma nel nostro testo c’è qualcos’altro ancora: la profondità dell’amicizia ed amore che c’era fra Gesù e Lazzaro e le su due sorelle: “Or Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (v. 5). Questo fatto è fortemente sottolineato in tutto il testo: l’amore di Gesù per questa famiglia. È qui che sta il principio di maggior conforto per rafforzarci e confortarci di fronte alla morte: i propositi di Dio non sono mai separati dall’amore che Egli ha per coloro che Gli appartengono. Spesso coloro che poggiano saldamente i loro piedi sulla verità della sovranità di Dio, come noi facciamo, tendono in qualche modo a mettere in secondo piano l’amore di Dio: i propositi di Dio non sacrificano mai i migliori interessi di coloro che Gli appartengono. Nel perseguire i Suoi propositi, l’amore non viene mai sacrificato. Le due cose vanno mano nella mano. In questa verità troviamo grande conforto.
La vera preoccupazione dei discepoli di Gesù non aveva a che fare con la morte di Lazzaro (perché ancora non sapevano che fosse morto), ma sulla possibilità, anzi, probabilità della propria morte violenta, se fossero tornati in Giudea. Tornare in Giudea, per loro equivaleva ad un vero e proprio suicidio (v. 8). È a questo punto che Gesù stabilisce, per i cristiani di ogni generazione, un altro principio al riguardo del pericolo al servizio del Maestro. “Gesù rispose: «Non vi sono dodici ore nel giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se uno cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui»” (v. 9-10).
Gesù aveva già mostrato d’essere la Luce del mondo[15]. Se la Luce del mondo è in noi (così com’essa sicuramente è presente quando siamo impegnati nel Suo servizio), allora non c’è pericolo alcuno di subire danni o ingiurie al di fuori della volontà di Dio. S’inciampa solo in assenza della Luce. I discepoli non devono temere danno fisico perché la Luce del mondo è con loro. Il princìpio allora è questo: Nell’adempimento dei compiti che Dio ci ha affidato non incorriamo in alcun pericolo, ma solo quando li trascuriamo. Quando ci impegniamo a fare la volontà di Dio non dobbiamo temere nulla. Ci mettiamo in autentico pericolo solo quando ci allontaniamo dal nostro dovere divino per perseguire i nostri desideri egoistici. Molti sono coloro che hanno sofferto e sono morti al servizio del Re (com’è pure avvenuto al nostro Signore), ma quando questo è avvenuto, esso era proposito e progetto di Dio per loro. Non importa quanto possa apparire grande il pericolo, esso è semplice illusione quando siamo impegnati in ciò che Dio ci comanda di fare. Fintanto che Dio ha del lavoro da farci fare e noi siamo impegnati a svolgerlo, noi siamo indistruttibili.
Dopo aver stabilito questo principio, Gesù procede a spiegare che Lazzaro era fisicamente morto e che questa morte era destinata, in parte, a rafforzare la loro fede in Cristo. I discepoli non comprendono del tutto queste parole del Signore, ma Tommaso, come loro portavoce afferma: «Andiamo anche noi, per morire con lui!» (v. 16). Essi sono pronti a morire con Lui piuttosto che vivere senza di Lui. Questi uomini non avevano tanto paura di morire per il Salvatore ma erano incerti su come potessero viverere per Lui.
Quali sono i fattori significativi che hanno portato conforto a Marta e Maria in presenza della morte di Lazzaro? La Sua presenza, la Sua promessa, e la Sua persona.
1. Conforto in presenza di Gesù. Quello che maggiormente aveva afflitto Maria e Marta era l’assenza di Gesù al tempo della morte di Lazzaro. È qualcosa che esprimono entrambe le sorelle. “Se solo tu fossi stato qui…” (v. 21, 32). La presenza stessa di Gesù era sufficiente per calmare i cuori afflitti di queste donne che piangevano la morte del loro fratello Lazzaro. Era nella Sua presenza fisica che Egli manifestava il Suo profondo interesse e partecipazione nella sofferenza dei Suoi. Gesù piange (v. 35) e “freme nello spirito” (vv. 33, 38). Gesù qui esprime non solo in quanto uomo, ma anche come Dio, quanto Egli fosse profondamente toccato dal dolore e dalla sofferenza dei Suoi. La compassione è un attributo di Dio, e molto più che un attributo umano. Dio è profondamente toccato dalla nostra sofferenza. A portare il Signore alle lacrime non era l’orrore del peccato, la consapevolezza della Sua imminente morte o l’ipocrisia di coloro che stavano lì attorno, ma Gesù era profondamente toccato dal dolore di coloro che Egli amava (v. 33). Quanto noi soffriamo, il nostro Signore ne è profondamente toccato. Quando dovremo affrontare la brutta realtà della morte, fin da oggi possiamo avere la certezza di trovare conforto nella presenza del nostro Signore.
2. Conforto nella promessa di Cristo. Secondo fondamento di conforto alla presenza della morte è la promessa di Gesù quando dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai” (v. 25,26). La promessa che Gesù aveva fatto a queste due sorelle, fin dal messaggio che Gli avevano mandato, era che la malattia di Lazzaro non sarebbe terminata nella sua morte (v. 3. 4). La promessa del Maestro era fonte di grande conforto, anche in Sua assenza. Per noi, però, quella promessa è per sempre garantita quando il Signore Gesù stesso risorge trionfante dalla tomba. Se la morte non Lo poteva trattenere, essa nemmeno può frapporsi fra noi e Lui. La nostra speranza di vita “oltre la tomba” è fondata nella Sua promessa, e la Sua promessa è certa a causa della Sua potenza di prevalere sulla morte, morte che non ci potrà trattenere (Cfr. 1 Corinzi 15:12ss).
3. Conforto nella persona del nostro Signore. Maria e Marta trovano conforto non solo nella Sua presenza e nella Sua promessa, ma a anche nella Sua persona. Gesù dice loro: “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Coloro che in Gesù trovano solo un buon uomo o un famoso maestro, non troveranno conforto in Lui al tempo della sofferenza e della morte. La confessione di fede che Marta esprime è forse più grande ancora di quella di Pietro, perché persino in un momento di grande prova, le poteva fare questa affermazione di fede nella persona di Cristo: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo” (v. 27).
Coloro che hanno riposto la loro fede in Gesù Cristo come il Figlio di Dio venuto nel mondo per salvare dei peccatori, Colui che è la risurrezione e la vita, non devono temere in presenza della morte. Coloro che confidano nella Sua persona vengono assicurati della Sua presenza: “perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò»” (Ebrei 13:5) e possono riposare nelle Sue promesse.
La caratteristica più stupefacente del miracolo della risurrezione di Lazzaro è la sua brevità e semplicità. Gesù semplicemente ordina che la pietra sia rimossa e, ad alta voce, ordina a Lazzaro di uscire dalla tomba. Anche dopo quattro giorni nella tomba senza più alcuna speranza di venire a capo della situazione, Lazzaro esce dalla tomba. Noi avremmo magari desiderato maggiori dettagli sull’esperienza di questo Lazzaro. Avremmo desiderato di sapere delle conversazioni fra i protagonisti una volta riuniti, ma senza alcun commento, Giovanni passa oltre. Questo miracolo per lui era un segno. La preghiera di Gesù è fatta in funzione di coloro che lo stavano ad ascoltare. La cosa più importante qui per Giovanni à la risposta della gente, dopo che è avvenuto il miracolo. Per alcuni, il miracolo li costringe a riconoscere Gesù come il Messia che attendevano, così come Marta aveva precedentemente affermato. La risurrezione di Lazzaro per loro sarebbe stata un segno che non avrebbero potuto ignorare. Molti, così, vengono alla fede in Cristo. Anche per coloro che esprimono la loro persistente avversione per Cristo, nonostante ciò che avevano assistito, il miracolo è pure qualcosa che non possono ignorare, ma si rivelerà a loro vergogna, mettendo in evidenza le loro intenzioni omicide verso Gesù che mette in questione tutto ciò che sono e che fanno, non intendendo abbandonare il loro atteggiamento di persistente ostilità verso la luce ed il loro amore per le tenebre.
La risurrezione di Lazzaro costituisce così il punto più alto della rivelazione che il Signore fa di Sé stesso nel Suo ministero terreno. Dal punto di vista umano non c’era più speranza. Eppure, al punto della più assoluta mancanza di speranza ed impotenza, Gesù restituisce la vita a chi era morto. Il parallelo spirituale è ovvio. Tutti, infatti, sono “morti nelle colpe e nei peccati”: "Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d'ira, come gli altri" (Efesini 2:1-3). Quando giungiamo al punto più alto della mancanza di speranza e della fiducia in noi stessi, troviamo che non avremmo mai potuto meritare quella vita eterna che Dio ci ha provveduto come dono in Cristo[16]. Gesù Cristo è venuto non per aiutarci nel nostro sforzo di elevarci verso il cielo, ma per dare vita a coloro che sono morti.
Come dunque vedete, il racconto evangelico sulla risurrezione di Lazzaro è ricchissimo di insegnamenti. Noi non ne abbiamo toccati che alcuni soltanto. Era un fatto straordinario che dà una nuova prospettiva ai nostri “fatti ordinari”.
Quanto avviene in questo episodio evangelico rafforza la nostra prospettiva sulla vita e sulla morte e come tale deve essere annunciata, non solo in occasione di eventi luttuosi che ci toccano da vicino, ma costantemente. Essa è da insegnare in ogni fase della nostra vita, proprio perché la morte è “un leone ruggente” nascosto “dietro l’angolo”, sempre. In questa prospettiva, la morte che è affrontata per fede nella Persona ed opera del Signore Gesù Cristo, non deve essere temuta, perché Egli è la risurrezione e la vita. Se riponiamo in Lui la nostra fede come l’eterno Figlio di Dio venuto per salvarci dal peccato e dalle sue conseguenze, come ha fatto Marta, allora non dobbiamo temere che la tomba sia un’orribile prigione. Il cristiano può essere certo che la morte è nella volontà di Dio e che ha per scopo di arrecare gloria a Dio. Nella terminologia cristiana la morte è di fatto solo un dormire, una condizione temporanea che terminerà quando Cristo chiamerà a Sé coloro che Gli appartengono. Sebbene rimanga l’afflizione del lutto, essa è molto diversa da coloro che sono privi di speranza. Rammentate sempre l’Apostolo quando scrive: "Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza" (1 Tessalonicesi 4:13), e studiamo bene che cosa egli ci voglia insegnare.
Vi è pre molto da apprendere sulla questione della sofferenza del cristiano. Dio non si propone che coloro che Gli appartengono non soffrano, perché persino Suo Figlio aveva dovuto passare per un’indicibile agonia. Lo scopo di Dio nella sofferenza è quello di rafforzarci spiritualmente, di rafforzare la nostra fede. Spesso quei cristiani che resistono alla possibilità di soffrire suppongono che il proposito più alto di Dio sia quello di renderci privi del dolore, mentre egli si propone di edificare la nostra fede attraverso le prove (Giacomo 1:2-4). Lo scopo della predicazione cristiana nell’ambito di un funerale non è così quella di difendere e giustificare Dio come se la morte fosse un Suo errore o negligenza, o qualcosa rispetto al quale “non ci poteva fare nulla”. Non è come se dovesse dire: “Dio non intendeva che le cose andassero come sono andate e gli dispiace moltissimo”. No.
Il nostro testo ci informa che i propositi di Dio e la Sua potenza non sono separati dal Suo eterno amore per coloro che Gli appartengono. “Gesù pianse”. È il versetto del quale dobbiamo maggiormente ricordarci, perché è suggello del Suo grande amore, un amore smisurato motivato nel proposito insondabile di utilizzare la sofferenza per glorificare Sé stesso e rafforzare la fede di coloro che Gli appartengono. Non cerchiamo di trovare delle scuse per le azioni di Dio, sia di dolore come di piacere, perché esse sono per la Sua gloria.
Paolo Castellina, 4 aprile 2014
[2] “...poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo” (1 Corinzi 9:16).
[3] A parte casi di incredulità e di agnosticismo.
[4] La cosa era persino più evidente nei funerali di cattolici-romani (il funerale era sempre un avvenimento pubblico a cui partecipava gran parte della popolazione). I sacerdoti cattolici-romani, ai luoghi comuni dell’umanesimo religioso, aggiungevano l’aggravante di concezioni sacramentaliste e lungaggini liturgiche, come pure le concezioni spurie che sottostanno alle cosiddette “messe di suffragio”. Messa in suffragio, nella teologia cattolica, è una Celebrazione Eucaristica in cui vi è l'applicazione di preghiere, indulgenze, opere buone alle anime del Purgatorio, per ottenere da Dio la remissione della pena temporale loro inflitta in sconto dei peccati commessi durante la vita terrena.
[5] "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare" (1 Pietro 5:8). Qui il riferimento è al diavolo, ma potrebbe benissimo adattarsi alla morte che, fra l'altro è obiettivo di questo omicida.
[6] "Non temere, io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell'Ades" (Apocalisse 1:17).
[7] “Gesù se ne andò di nuovo oltre il Giordano, dove Giovanni da principio battezzava, e là si trattenne” (Giovanni 10:40).
[8] Maria e Marta ci sono note da quanto ci dice l’evangelista Luca in 10:38-42. Nel cap. 12 di Giovanni troviamo l’episodio di Maria che unge i piedi di Gesù con prezioso olio profumato e li asciuga con i suoi capelli.
[9] Matteo 8:5-13.
[10] Giovanni 8:59; 10:39.
[11] “Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso” (Genesi 50:20).
[13] 1 Corinzi 15:20-28.
[14] Cfr. 1 Corinzi 15:50-58; Filippesi 1:19-24; 2 Corinzi 5:1-8.
[15] Giovanni 8:12; 9:5.