Giovanni 20:19-29

Nuove forze, nuova energia...

Introduzione

La gloria della risurrezione del Signore e Salvatore Gesù Cristo è il contenuto dell’annuncio che risuona nelle chiese cristiane in questo periodo dell’anno. La risurrezione del Signore Gesù è una vibrante realtà che infonde coraggio ed energia a tutti i Suoi discepoli di ogni tempo e paese, discepoli di Gesù che proprio nella Risurrezione trovano il superamento degli stretti limiti delle prospettive che questo mondo offre, dei limiti dell’"umanamente possibile", dei limiti di logica e di razionalità tipici della concezione del mondo dominante.

La risurrezione del Signore Gesù, per i Suoi discepoli, è ciò che, pure a livello personale, infonde loro ciò che li fa superare depressione e paura, la tentazione dell’immobilismo pessimista e persino dei limiti delle proprie forze e conoscenze terrene. E’ l’esperienza dei primi discepoli di Gesù che, prima abbattuti, impauriti e depressi per l’apparente sconfitta del movimento cristiano in seguito all’assassinio di Gesù, trovano nella Sua risurrezione nuove forze, coraggio ed impeto, virtù prima loro persino sconosciute.

Avete voi bisogno di nuovo impeto, nuove forze, nuovo coraggio, nuova energia? Volete vincere rassegnazione e pessimismo, il sentimento dell’ineluttabilità del male e della morte, vincere il sentimento di chi dice "Non ne vale la pena, tanto...". Ebbene, impregnamoci dello spirito della Risurrezione di Cristo!

I testi biblici

Leggiamo due testi biblici. Il primo è il racconto dell’apparizione del Signore Gesù ai suoi discepoli secondo l’evangelista Giovanni. Eccolo.

"La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi». Detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti». Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò». Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»" (Giovanni 20:19-29).

Il secondo testo ci fa ritornare nell’Antico Testamento, a conferma che il carattere del Signore Iddio non cambia nel corso dei secoli e che la Sua potenza rimane immutata - ieri, oggi, e domani. Dal libro del profeta Isaia:

"«A chi dunque mi vorreste assomigliare, a chi sarei io uguale?» dice il Santo. Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non ne manca una. Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: «La mia via è occulta al SIGNORE e al mio diritto non bada il mio Dio?» Non lo sai tu? Non l'hai mai udito? Il SIGNORE è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel SIGNORE acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano" (Isaia 40:25-31).

Il popolo di Dio di sempre...

Andiamo per ordine. Cerchiamo prima di capire il contesto in cui il Signore ispira al Suo popolo, tramite il profeta Isaia, nuova fede, nuova speranza, nuova energia, nuovo entusiasmo.

Il popolo di Israele è stato portato in esilio in Babilonia. E’ una cocente delusione e sconfitta per un popolo che si vantava di essere il popolo eletto e benedetto da Dio e che ora ha il sentimento di essere stato abbandonato da Dio, anzi, peggio, che anche prima tutto non sia stato che un’illusione. Il popolo si lamenta e dice: "Il Dio che ci ha costituiti come Suo popolo e ci ha abbondantemente benedetto nel passato è forse diventato impotente? Ci ha forse ora abbandonato per qualche motivo?". Isaia afferma che quanto è successo non è casuale, tutto rientra in una precisa logica che il popolo deve comprendere (anzi, che avrebbe già dovuto comprendere). L’esilio del popolo di Dio in Babilonia verrà alla fine: tutta questa vicenda né è casuale, né mette in questione Dio, la Sua potenza o i Suoi progetti.

Il messaggio è chiaro: il popolo di Dio era stato portato in esilio a causa dei suoi peccati, della sua infedeltà all’impegno che aveva collettivamente contratto con Dio. L’esilio è espressione del giudizio di Dio. C’è un senso ben preciso per ciò che avviene perché: (1) Si tratta sia di un giusto giudizio ed è (2) una forma di restituzione per i danni che il popolo aveva fatto all’onorabilità di Dio disattendendo ai suoi precisi impegni. Israele e Giuda, infatti, non solo avevano abbandonato Jahweh, ma pure detratto dalla gloria Sua per darla a degli idoli. L’esilio sarebbe stato il tempo in cui il popolo avrebbe riflettuto su ciò che aveva fatto ed esso stesso il modo per riparare i danni compiuti al fine di essere ristabiliti nella comunione con Dio. Che cosa dice il testo a questa gente?

1. Voi non siete coscienti di chi sia Dio

Yahweh è unico nel senso che nulla che la mente umana abbia potuto immaginare può essere paragonato con Lui. Egli è il Creatore la cui potenza si rivela nell’immensità del cielo e nel numero delle stelle. I pagani divinizzavano le stelle e le costellazioni, ma esse pure sono opera di Dio.

"Levate in alto i vostri occhi e guardate: Chi ha creato queste cose?" (26a). Ultimamente, quando si diceva sarebbe apparsa una stella cometa, per curiosità anch’io scrutavo il cielo stellato. Non ho scorto la stella in questione, ma mi sono trovato a fare qualcosa che raramente facevo: contemplare l’immensità dello spazio e il numero altissimo dei corpi celesti ivi contenuti. I miei sentimenti? Timore, per la grandezza di quegli spazi; senso di piccolezza, non solo a livello personale, ma anche di quanto insignificante sia la terra di fronte a quelle distanze; stupefazione, per essere oggetto di tanto amore ed attenzione da parte di Dio, nonostante appunto la nostra piccolezza.

Il profeta dice ad Israele: "Credete forse che Dio, avendo fatto e sostenendo tutto questo, difetti forse di potenza e di sapienza, che abbia forse perduto il controllo sulla situazione?". E’ la stessa domanda che avrebbe potuto essere rivolta ai discepoli di Gesù dopo la Sua morte: "Voi ancora non conoscete Dio. Dalla vostra prospettiva limitata la crocifissione di Gesù vi sembra una cocente sconfitta. Dio però ha tutto sotto controllo. C’è un senso ben preciso in quello che è avvenuto, un senso che trova le sue radici negli eterni propositi di Dio. Quel Gesù ‘doveva’ morire, affinché una nuova realtà potesse sorgere anche per voi. Dio si prende gioco dell’arroganza dei nemici di Gesù.

Già, chi ha creato tutte le cose? Se tutto il quadro celeste è già immenso nella sua vastità e complessità, come deve essere Colui che tutto questo ha creato ed ordinato? Come non riconoscere ed adorare con timore una simile divina grandezza e potenza? Come dubitare di essa e pensare che essa possa essere sconfitta e frustrata nei suoi propositi?

"Colui che fa uscire il loro esercito in numero" (26b) dice il testo: come un generale convoca la sua armata in campo per darle i suoi ordini così Dio è in controllo delle costellazioni ...."e le chiama tutte per nome" (26c), come un padre o una madre chiama tutti i membri della sua famiglia. Come? "Per la grandezza del Suo vigore e la potenza della Sua forza" (26d) L’opera della creazione è certa ed evidente prova dell’infinita potenza di Dio. "nessuna manca" (26d) né di apparire quando Lui la chiama, né di compiere l’opera a cui Lui l’ha destinata. Davvero l’esilio dell’antico popolo di Dio è una sconfitta? Davvero la crocifissione di Gesù è la tragica fine ...di tutte le Sue illusioni?

2. Un preciso senso alle vicende correnti

L’antico popolo di Dio in esilio è scoraggiato. Si domanda se Dio davvero sia capace di stabilire la sua sovranità. Jahweh potrà ben essere il Creatore di cielo e terra, conoscere per nome ogni parte della Sua creazione, ritenere i giudici della terra responsabili verso di Lui, ma si interessa Egli veramente del Suo popolo? I discepoli di Gesù altresì dicevano: "Dov’è ora quel Regno di Dio invincibile di cui Gesù ci parlava? Dov’è il Suo trionfo?".

Il profeta Isaia afferma l’interesse di Jahweh per la loro situazione dirigendo la loro attenzione verso la Sua stessa natura divina. Egli è il Dio eterno, il Dio che con loro si è impegnato in un Patto, il Creatore di cielo e terra. Egli opera incessantemente per realizzare i Suoi propositi di salvezza per il Suo popolo. Il ristabilimento del popolo di Dio è fondato sulla Sua natura, la Sua indefettibile fedeltà agli impegni che Egli ha preso. Il popolo Suo potrà ben essere infedele, non così Dio! Egli rinnoverà la forza del Suo popolo, ma questo dipende dalla loro disponibilità a sottomettersi a Lui. Lo stesso per i discepoli di Gesù. "Non vi ricordate che Gesù da tempo vi aveva parlato di queste cose e persino della Sua risurrezione? Credevate che Egli parlasse per iperbole, in senso figurato?" Il problema per loro è lo stesso che per Tommaso: "Non essere incredulo, ma credente... Dio sa quel che sta facendo, la Sua potenza non è venuta meno né i Suoi propositi sono stati sconfitti".

"Perché dici, o Giacobbe, e tu Israele, dichiari..." (27a). Il popolo di Dio così - nell’Antico Testamento come nel Nuovo! - viene rimproverato per la loro incredulità e mancanza di fiducia in Dio. Devono rammentarsi di aver preso il nome di Giacobbe e di Israele, da uno cioè che fece esperienza della fedeltà di Dio in tutte le sue personali vicende.

Il popolo di Dio aveva preso il nome di Israele perché doveva essere caratterizzato proprio dall’esperienza di Giacobbe che viene "rigenerato" spiritualmente, dopo aver lottato con Dio, diventando appunto Israele. Come popolo Suo, siamo noi stati "rigenerati" spiritualmente ad un nuovo modo di vedere le cose, di pensare, di parlare, di vivere? Siamo noi ancora come Giacobbe o anche noi siamo diventati Israele?

Molte preoccupazioni e paure sparirebbero se si ricercassero le cause delle loro e nostre difficoltà: la nostra incredulità, la nostra "logica difettosa". E’ male permettere alla nostra mente di intrattenere pensieri cattivi, peggio ancora trasformare questi pensieri in parole. Quel che essi avevano conosciuto e udito sarebbe stato sufficiente a far tacere tutte queste paure e mancanza di fiducia.

Laddove Dio aveva iniziato un’opera di grazia, Egli l’avrebbe portata a termine. "Perché, o Israele permetti ai tuoi pensieri di manifestare una tale gelosia nei confronti del tuo Dio, la cui infinita potenza, sapienza e bontà sono dimostrazioni evidenti, date all’umanità ed a te in maniera così singolare? Perché proprio voi che avete accompagnato, visto ed udito Gesù durante il Suo ministero, ancora non comprendete? Perché Tommaso, non vuoi credere?".

Isaia riprende le protesta del popolo che dice: "La mia vita è nascosta all’Eterno" (27b) il corso e la condizione della mia vita. Dice: "Egli non si cura delle mie preghiere e delle mie lacrime, delle sofferenze che ho a causa del suo nome, e permette ai miei nemici di farmi del male a loro piacimento, e Lui non tenta nulla per liberarmi dalle loro mani. Dio ha trascurato di sostenere i miei diritti, di rendermi giustizia contro i miei nemici, come ha fatto in passato; "e trascurato dal mio Dio?" (27d), Si, "Dio non se ne occupa, e mi ha lasciato nelle mani dei miei nemici ed ora il caso è così disperato che Dio non può aiutarmi". E i discepoli di Gesù: "Eccoci qui ora abbandonati, pieni di paura perché forse i nemici di Gesù verranno a prendere anche noi. Che faremo? Abbiamo perso tutto. Che ne sarà di noi?". Sembra di udire il grido di Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".

Il nostro testo di Isaia risponde: "Non lo sai forse, non l’hai udito? Il Dio di eternità, l’Eterno, il creatore dei confini della terra" (28a) di tutta la terra e dei suoi abitanti da un capo all’altro, come se "i confini" potrebbero sembrare al di là della Sua capacità di occuparsene. L’argomentazione è chiara e forte: Dio, che ha fatto ogni cosa, anche le zone più desolate e barbare della terra e che di conseguenza pure se ne prende cura, non trascurerà la Sua terra e popolo. Egli "non si affatica e non si stanca" (28b), non è che Lui per l’età o per il duro lavoro è diventato incapace di aiutare il Suo popolo come fanno gli uomini. "la Sua intelligenza è imperscrutabile" (28c) i Suoi propositi, con i quali governa il mondo, ed in modo particolare la tua vita, sono molto al di là della tua capacità di comprensione, e quindi è ingiusto e folle ritenere che un Dio immensamente saggio e potente in qualche modo ti trascuri.

Come l’antico popolo di Dio che doveva comprendere come l’esilio non era che la logica conseguenza del suo peccato e della sua infedeltà, anche i discepoli di Gesù dovevano comprendere che quanto con Gesù era avvenuto rientrava nella logica e nei propositi di Dio. Il messaggio è chiaro: Gesù era morto sulla croce ed aveva preso così volontariamente su di Sé il castigo che avrebbero meritato i Suoi eletti. La morte di Gesù pagava così il prezzo della salvezza per tutti coloro che a Lui si sarebbero affidati per essere salvati: una grande, immensa forma di amore, amore vero e totale. Non solo questo, ma il sacrificio di Gesù sulla croce era una forma di "restituzione" che avrebbe soddisfatto le esigenze della giustizia di Dio. Dio è amore, ma è anche giusto. Se avesse soprasseduto alla giustizia della Sua legge che prevedeva la condanna del colpevole, avrebbe contraddetto il Suo stesso carattere. Ora però in Cristo Dio avrebbe pagato Egli stesso le conseguenze penali delle nostre trasgressioni. I discepoli di Gesù - e noi con loro - avrebbero così dovuto comprendere finalmente quello che pure Gesù aveva preannunziato. Compiuta l’espiazione dei peccati, Gesù si sarebbe dovuto sedere come trionfatore "alla destra di Dio", sarebbe dovuto risorgere dai morti ed entrare nella dimensione del nuovo cielo e della nuova terra, primizia di una condizione in cui sarebbero poi entrati tutti coloro che a Lui appartengono.

Accogliendo il messaggio di Isaia, l’antico popolo di Dio aveva compreso il senso delle sue vicende e acquistato nuova fede, nuova speranza, nuove forze. I discepoli di Gesù, facendo esperienza della Risurrezione non solo avrebbero compreso il senso di quanto era avvenuto a Gesù, ma avrebbero ricevuto nuova forza ed entusiasmo per adempiere al grande mandato missionario di Gesù. Per questo il messaggio dell’Evangelo è potuto giungere fino a noi oggi.

Nuovo vigore

Comprendete ora la rilevanza del messaggio di Isaia, letto attraverso la risurrezione di Cristo: "Egli dà forza allo stanco ed accresce il vigore allo spossato" (29) Egli ha forza non solo per Sé stesso, ma per tutti, persino per la creatura più debole, che può facilmente fortificare per portare i propri fardelli, e vincere tutti i suoi oppressori. La risurrezione di cristo è pegno e garanzia per noi che la nostra opera per Lui, la nostra fede, il nostro attivismo, entusiasmo e speranza, non sono vani e fatica sprecata. La vittoria appartiene a Dio ed a tutti coloro che si inseriscono nei Suoi propositi di salvezza.

Oggi viviamo in tempi privi di ideali, in tempi di disillusione, di amarezza e di disperazione, tempi in cui anche coloro che sono nel fior fiore delle loro forze perdono il loro impulso giovanile e lo sprecano in futilità o peggio. Il testo dice: "I giovani si affaticano e si stancano, i giovani scelti certamente inciampano e cadono" (30). Se però gli ideali di questo mondo deludono, non così per chi si affida oggi al Signore Gesù, i quali possono essere certi che il loro entusiasmo non sarà mal riposto. Il nostro testo afferma: "....ma quelli che sperano nell’Eterno, acquistano nuove forze, s’innalzano con ali come di aquile, corrono senza stancarsi e camminano senza affaticarsi" (31).

Coloro che confidano nel Signore per aver la forza necessaria per sopportare i loro fardelli e per essere liberati a tempo opportuno, diventeranno sempre più forti nella fede, pazienza e fortezza, per cui saranno più che vincitori sui loro nemici ed avversari. Come aquile voleranno più velocemente e agilmente in alto, fuori da ogni pericolo. Saranno messi in grado di camminare o di correre con facilità, senza pesantezza. Questo non vuol dire che il cristiano non abbia occasione di scoraggiarsi. Egli però potrà rinnovare la sua fede, la sua speranza ed il suo entusiasmo, continuando a tenere lo sguardo fisso sul Signore Gesù, il quale è risorto, è vincitore e trionfatore.

Proprio nel contesto di un capitolo sulla risurrezione di Gesù, l’apostolo Paolo afferma: "Quest'uomo che va in corruzione, deve infatti rivestirsi di una vita che non si corrompe, e quest'uomo che muore, deve rivestirsi di una vita che non muore. E quando quest'uomo che va in corruzione si sarà rivestito di una vita che non si corrompe, e quest'uomo che muore si sarà rivestito di una vita che non muore, allora si compirà quel che dice la Bibbia: La morte è distrutta! la vittoria è completa! O morte, do v'è la tua vittoria? O morte, dov'è la tua forza che uccide? ... Rendiamo grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così, fratelli miei, siate saldi, incrollabili. Impegnatevi sempre più nell'opera del Signore, sapendo che, grazie al Signore, il vostro lavoro non va perduto" (1 Corinzi 15:56-58).

Operiamo dunque come cristiani nello spirito della risurrezione di Cristo: non ne saremo delusi.

Paolo Castellina, una mia predicazione del 12 aprile 1996.