Luca 21:25-36
Rimanere svegli per vedere le cose dalla prospettiva di Dio
Sintesi. La pretesa dell’ideologia laicista di “privatizzare la religione” e di far sparire dalle espressioni pubbliche della nostra società ogni riferimento esplicito alla fede cristiana è cosa che intendiamo sfidare senza farcene minimamente intimidire o lusingare da fallaci argomentazioni. Rimane nostro dovere proclamare apertamente che Gesù Cristo è il Salvatore del mondo anche e soprattutto nel periodo natalizio, uno dei bersagli favoriti dagli zeloti del laicismo. Le tradizioni inerenti l’Avvento e il Natale possono e devono essere restituite alla loro dimensione cristocentrica, ed è quello che vogliamo fare con le nostre predicazioni. Questa Domenica, prima di Avvento, il testo del vangelo ci ripropone un discorso apocalittico del Signore Gesù che ci scuote e ci chiama a rimanere ben svegli e con gli occhi aperti, perché certa è (nonostante le apparenze) la realizzazione di tutti i propositi di Dio in Cristo. Vediamolo nel testo di Luca 21:25-36.
La nostra sfida al laicismo
Il laicismo, che da noi si sta imponendo sempre di più, vorrebbe cancellare dalla nostra società ogni riferimento pubblico alla fede cristiana e le celebrazioni come quelle del Natale sembrano essere il suo bersaglio favorito. Non che la maggior parte della gente davvero vi celebrasse la nascita del Cristo, ma il semplice riferimento a Gesù di Nazareth sembra essere particolarmente offensivo agli zelanti custodi della laicità e del presunto “rispetto verso tutte le religioni”. Ragione di più, da parte nostra, per sfidarne l’arroganza e le pretese, parlando ancora più apertamente del Cristo, senza alcuna remora, annunciandolo ed esaltandolo, con l’esempio, con la parola ed anche con i simboli tradizionali, e questo anche e soprattutto a Natale - cosa che, comunque, è sempre nostro dovere di cristiani. [Sulla decristianizzazione vedasi articolo al termine di questa predicazione].
Valorizzare, così, il Natale in maniera cristocentrica, insieme alle quattro settimane di preparazione chiamate il periodo dell’Avvento, diventa oggi particolarmente rilevante. Sfidiamo, perciò, la “demenza senile” della nostra civiltà rammentando loro (e facendoli conoscere a chi ne è ignorante) gli elementi di cultura biblica propri al periodo dell’Avvento e del Natale, perché rimane vero che: “Noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato [Suo] Figlio [Gesù Cristo] per essere il Salvatore del mondo” (Giovanni 4:14). Della “correttezza politica” e dei “valori laici” proprio non ce ne potrebbe importare di meno.
Il discorso profetico di Gesù
Il testo del vangelo che il nostro lezionario riserva per questa domenica, prima di Avvento, è parte del discorso profetico di Gesù che troviamo in Luca al capitolo 21. Esso parla di avvenimenti apocalittici che si sarebbero compiuti nell’ambito di quella generazionei, in particolare dalla risposta che Gesù dà ai Suoi discepoli in questa stessa occasione. Si tratta di un discorso apocalittico che parla non solo di disastri nazionali, ma anche di sconvolgimenti cosmici, parole che si sono prestate, per altro, ad ogni sorta di speculazioni. Scopo ultimo del Suo discorso, però, è quello di proiettare i cristiani di ogni generazione a non lasciarsi confondere dai mali che imperversano in questo mondo e dalle pretese degli avversari di Dio e del Suo Cristo. Anzi, esso è teso a rendere sensibili i cristiani a scorgervi, ciononostante, i segni della presenza operante di Dio e del certo compimento di tutti i Suoi eterni propositi, quelli che culmineranno nel ritorno del Cristo.
“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde; gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo; poiché le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande. Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina». Disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutti gli alberi; quando cominciano a germogliare, voi, guardando, riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all'improvviso come un laccio; perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra. Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo» (Luca 21:25-36).
Nel contesto del capitolo 21 di Luca, dopo aver osservato una povera vedova che aveva messo nella cassetta delle offerte del tempio “appena” due monetine e spiegato ai Suoi discepoli perché proprio lei aveva donato più di chiunque altro, Gesù e i Suoi discepoli escono dall’area del Tempio e poi la contemplano da lontano. Quel magnifico tempio era l’orgoglio degli israeliti e gli stessi discepoli di Gesù condividono quell’entusiasmo. Quell’entusiasmo, però, era malriposto, infatti esso viene subito spento da Gesù, che afferma che ben presto i quel tempio non ne sarebbe rimasta in piedi pietra su pietra. Ad altro doveva rivolgersi il loro entusiasmo!
Per Gesù, quella diventa l’occasione, così, di un discorso profetico che preannuncia l’imminente catastrofe nazionale della distruzione del tempio di Gerusalemme, della città e della stessa intera nazione israelita. Quando esattamente quei fatti sarebbero avvenuti, Gesù non lo vuole rivelare ai Suoi discepoli che pure Lo interrogano al riguardo. Con una lezione di autentico realismo, Gesù attrae la loro attenzione su una diversa prospettiva che essi dovevano assumere sul presente e sul futuro, la prospettiva di Dio.
È l’atteggiamento di costante vigilanza quel che Gesù vuole promuovere: questo non sarebbe stato possibile con una conoscenza esatta, quella che Gesù avrebbe pure ben potuto impartire ai Suoi discepoli. Lo stesso doveva essere per la data del Suo ritorno: un fatto certo la cui attesa sarebbe stata confermata dalla loro attenta osservazione dei segni premonitori. Degli sconvolgimenti di portata cosmica avrebbero certo terrorizzato chi, in questo mondo, si sente sicuro, scuotendo le sue certezze, la sua sicumera, ma, al contrario, quei fatti sarebbero stati di incoraggiamento ai Suoi discepoli. Consideriamo questo testo punto per punto
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“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde; gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo; poiché le potenze dei cieli saranno scrollate” (25-26).
La prima cosa che vediamo in questo testo è che Gesù dice che, prima del Suo ritorno, il creato stesso sarebbe stato scosso come da un violento sussulto di un animale ferito prima della sua morte.
L’ordinamento naturale previsto da Dio è stato compromesso, posto in grave squilibrio dal fatto stesso che la creatura umana si sia sottratta a questo ordinamento. Questa ferita mortale, questo squilibrio è suggerito nella Genesi stessa, quando Dio preannuncia le conseguenze di quella ribellione: “Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi” (Genesi 3:17-18). L’apostolo Paolo lo precisa quando scrive: “Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio” (Romani 8:19-22).
Il punto che Gesù vuole evidenziare è rammentare ai Suoi discepoli l’instabilità della natura come attualmente la vediamo, il suo fondamentale squilibrio, ad ogni livello, e la sua causa. Il peccato, infatti, è essenzialmente un sottrarsi all’ordinamento divino e “scombussolare” ogni cosa. Quando Gesù qui parla di questi avvenimenti cataclismici, Egli non si riferiva ad un singolo avvenimento, ma a qualcosa che si svilupperà gradualmente nel corso del tempo fino alla sua crisi finale. Egli diceva ai Suoi discepoli ed a noi di aprire gli occhi e di guardare alla distruzione che il nostro peccato ha causato e continua a causare tutt’attraverso il creato.
All’inizio, Dio aveva affidato alle creature umane la gestione (il “dominio”) del creato, la responsabilità di prendersene cura. Con l’eccezione, forse, dei maggiori avvenimenti atmosferici, consideriamo noi mai il creato? Lo osserviamo? Certo, dobbiamo contemplarne le meraviglie e vedervi la mano creatrice di Dio. Non lasciamoci ingannare, però, dobbiamo pure vedervi che in esso pure c’é “qualcosa che non va”! Avete voi considerato quanto “disturbato” sia il creato? Ci ispira mai di mostrare la condizione del creato e di dire agli altri che è pure disfunzionale, ferito, e, soprattutto, dire loro quale sia la Via per il suo ristabilimento?
Non possiamo sempre associare avvenimenti specifici con peccati specifici di particolari gruppi di persone, ma degli sconvolgimenti ci dovrebbero far pensare all’imminente ritorno di Cristo e alla necessità di annunciare l’Evangelo della grazia di Dio attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo Gesù.
Rialzarci ed alzare il capo
“Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande. Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina” (27-28).
In questo testo, poi, Gesù fa qualcosa di specifico: quando la sofferenza del Creato è compiuta, Gesù, il “Figlio dell’uomo” verrà “sulle nuvole” con gran potenza e gloria, e l’intero mondo lo vedrà: “infatti, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo” (Matteo 24:27).
Gesù riprende la visione del profeta Daniele: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14). Quando Gesù ritornerà, tutti sapranno che ogni cosa appartiene a Lui.
Gesù non dice queste parole per mettere paura a coloro che credono in Lui, tutti coloro che ripongono in Lui soltanto la fede per la propria salvezza. Essi saranno accolti da Lui nel Suo regno: ecco perché Gesù dice loro che quando Lo vedranno - quando noi credenti Lo vedremo che “viene sulle nuvole”, la nostra finale redenzione sarà prossima.
La purificazione ed il ristabilimento del creato - cosa che terrorizzerà il resto del mondo nell’assistere al ritorno di Gesù - per noi sarà di conforto e di sicurezza. Significherà la vera, perfetta e completa redenzione del popolo di Dio - degli Eletti che Egli ha scelto.
Egli dice loro di esserne pronti, di alzare il capo verso l’alto, diritti, fieri dell’Evangelo - quando cominceranno a vedere queste cose che capitano nel modo, quando riconosceranno che quei disastri avvengono a causa del peccato e che la loro unica Speranza è Gesù Cristo. Dobbiamo alzarci in piedi con dignità, senza vergogna, non solo per aver notato quelle cose, ma per essere noi stessiu notati a causa dell’Evangelo nel testimoniare il modo di vivere insegnatoci da CRisto, in vista del pieno ristabilimento alla fine dei tempi.
Guardate gli alberi
“Disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutti gli alberi; quando cominciano a germogliare, voi, guardando, riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (29-33).
Fino a quel giorno Gesù dice ai Suoi discepoli di vegliare - e per far questo, racconta loro una parabola a proposito di un fico, anzi, propone loro di guardare ad ogni albero. Quando gli alberi cominciano a germogliare, si capisce che l’estate è vicina. Allo stesso modo, quando essi assisteranno agli avvenimenti di cui ha parlato - guerre, rumori di guerre, sconvolgimenti nel creato - allora essi si renderanno conto che il Regno di Dio è vicino. In che modo questo ci aiuta?
In questa parabola Gesù incoraggia la Sua chiesa. Durante l’inverno, gli alberi sono rigidi - la loro linfa è stata risucchiata dentro, le loro foglie sono cadute, la loro energia è preservata per l’estate che viene. Quando arriva la primavera, la linfa e gli elementi nutritivi tornano a scorrere nei rami ed essi diventano più flessibili, producono foglie e crescono. Gesù sapeva che sarebbe venuto il tempo della grande tribolazione della Chiesa e che la Chiesa era debole e fragile, come un albero che stava appena germogliando. Ma Egli vuole incoraggiare loro - e tutti noi che li seguiamo - che la debolezza e la fragilità della Chiesa non è un segno di fallimento - perché la nostra forza è in Gesù soltanto. Attraverso la tribolazione noi resisteremo, come scrive Paolo: “Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Corinzi 4:16). Anche se siamo deboli e soggetti alla devastazione della tribolazione, alla fin fine la nostra forza è in Cristo soltanto, e Lui ci rinnova di giorno in giorno e ci farà risorgere indistruttibili.
La grande tribolazione è iniziata, per la Chiesa, nel primo secolo, perseguitata da Giudei e Romani, e continua oggi in tutto il mondo. La chiesa di Cristo soffre in tutto il mondo sotto ogni regime ad essa avverso e spesso costretta ad agire nella clandestinità. Quello, però, non è segno della sua condizione terminale, ma è segno che la sua redenzione si sta avvicinando.
E poi quando Gesù dice loro che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute, Egli garantisce questa promessa dicendo che il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno - perché Egli è Dio, non può mentire e non cambierà.
Come dobbiamo comprendere la frase “questa generazione”? Forse che Gesù stava promettendo a coloro che allora Lo stavano ascoltando, che essi avrebbero visto queste cose durante lo spazio della loro vita terrena? Gesù stava forse parlando degli Israeliti, che essi non sarebbero scomparsi dalla terra fintanto che queste cose sarebbero avvenute? Oppure intendeva qualcos’altro?
Un’opzione che possiamo scartare è che i discepoli di Gesù del prmo secolo sarebbero vissuti per vedere il Suo ritorno. Gesù non è ancora tornato, e non si trattava di un errore o di un abbaglio da parte sua. Sappiamo, inoltre che alcune delle cose che Gesù aveva profetizzato, di fatto sono avvenute nel primo secolo: nell’anno 70 A. D. Gerusalemme è stata distrutta, il suo Tempio è andato distrutto e Israele è stato trasformato praticamente in un deserto. Quelli sono i segni che si sono realizzati per quella generazione - forse sotto gli occhi di tutti coloro ai quali Gesù stava parlando.
Considerate, però, la parabola detta da Gesù. Guardate il fico e tutti gli alberi; quando cominciano a germogliare, voi, guardando, riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina. Nel contesto della parabola sembra che Gesù stia dicendo che quella generazione non passerà fintanto che i segni della prossimità della venuta del Regno non siano comparsi. Se guardiamo a questa frase nel contesto della parabola, allora possiamo interpretarla come riguardante le persone stesse alle quali allora Gesù stava parlando, perché di fatto essi hanno veduto Gesù essere messo a morte, poi risorto e poi dare inizio al Suo regno sulla terra - per non parlare della distruzione di Gerusalemme, del tempo e di tutto Israele.
Naturalmente, la pienezza della promessa - il ritorno di Gesù ed il regno di Dio che appare in tutto il suo splendore, non è ancora giunta. È per questo che siamo chiamati oggi a vegliare, allo stare attenti ai segni premonitori, non per cercare di stabilirne la data ma per riconoscere i segni della progressione del Regno ed essere pronti in qualsiasi momento per il ritorno di Gesù.
Che cosa vuol dire “vegliare”?
“Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all'improvviso come un laccio; perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra. Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo»” (34-36).
Gesù dice loro - come lo dice a noi - di non accontentarci di essere intorpiditi dai narcotici di questo mondo - sovraccaricandone i nostri sensi. Qualunque cosa io e voi scegliamo di usare per sfuggire dalla realtà, non funzionerà mai. La Scrittura di dice: “La sanguisuga ha due figlie che dicono: «Dammi, dammi!». Ci sono tre cose che non si saziano mai, anzi quattro, che non dicono mai: «Basta!». Il soggiorno dei morti, il grembo sterile, la terra che non si sazia d'acqua, e il fuoco che non dice mai: «Basta!»” (Proverbi 30:15-16). Non potremo mai trovare soddisfazione nelle cose di questo mondo contaminato dal peccato: sono tutte cose corrotte che avranno l’unico effetto di appesantirci.
Al contrario, Gesù ci dice di vegliare, di stare svegli, pienamente coscienti, per meditare, cioè pensare intensamente e cercare di capire che cosa sia la vita ottimale come Dio stesso la definisce nella Sua Parola. Dobbiamo vivere guardando sempre nella direzione del Regno che viene e discernerne “i germogli”. Dobbiamo passare tempo in preghiera chiedendo a Dio che venga il Suo Regno - che Cristo ritorni. Dobbiamo trovare il nostro conforto nel guardare a questo mondo che si corrompe e muore e che non sarà sempre così - non saemplicemente che sfuggiremo dalle prove e dalle tribolazioni della nostra vita, ma che vedremo il nostro Dio, il Dio vero e vivente, ed il Salvatore e che Egli sarà glorificato nel portare a compimento la Sua volontà in questo mondo.
Non abbiamo tempo per metterci comodi ignorando i segni che si susseguono intorno a noi - e neanche abbiamo tempo per indicare quei segni che non ci sono…
Una lezione per i cristiani di ogni tempo
Iniziando questo periodo di Avvento, rammentiamoci, così, ciò che Gesù dice ai Suoi discepoli:
Il mondo è stato corrotto dal peccato - l’intero creato è stato corrotto dal peccato - ed è solo quando comprendiamo la cattiva notizia - quando comprendiamo bene la cattiva notizia - allora possiamo comprendere ed intendere - per grazia di Dio - la Buona Notizia che quel bimbo la cui nascita celebriamo a Natale è Dio stesso venuto nella carne con una precisa missione da compiere, quella che ha compiuto e compirà in modo certo e sicuro.
Il peccato e le sue conseguenze sono sconfitte da Dio nella persona di Gesù che vive una vita di perfetta giustizia (conformità alla volontà di Dio) e che muore per pagare il prezzo della salvezza di coloro ai quali Dio ha deciso di concedere la Sua Grazia. Gesù è risorto fisicamente dai morti e un giorno - ritornando in gloria e potenza - porterà a compimento la pienezza del Regno con Lui nella pienezza della nostra redenzione - il ristabilimento del creato e la risurrezione del nostro corpo.
Oggi, durante la nostra vita sulla terra, siamo chiamati a riconoscerne i segni e dobbiamo essere in grado di mostrarli agli altri affinché anche altri possano comprendere l’Evangelo - l’unica Speranza che ha la creatura umana. La corruzione è fra noi, ma pure l’irrompere del Regno, tanto da poterlo indicare ad altri facendo loro conoscere l’Evangelo.
Dobbiamo avere coraggio - soprattutto in questo difficile tempo - consapevoli che la salvezza in Cristo è assicurata, che il Regno sta giungendo e che Gesù ritornerà. Abbiamo ogni ragione di sperare e giammai mollare.
Dobbiamo poi, infine, stare in guardia, vegliare, stare con gli occhi aperti e la mente sveglia. È così facile rinunciare alla lotta e “metterci a dormire”, pensare a fare solo “gli affari nostri” ed il resto non importa. Il nostro Dio e Salvatore ci ha chiamati, come Suoi figli e figlie, a conoscere ciò che Egli ha detto, a credere a ciò che Egli ha detto, ad ubbidire a ciò che Egli ha detto, ed essere pronti a resistere - perché il Figlio dell’uomo è alle porte - basta solo guardare al fico.
Preghiamo: Onnipotente Iddio, ci lasciamo troppo facilmente coinvolgere in controversie su segni e simboli e su come interpretare le profezie, ma trascuriamo la Tua chiara Parola della Tua Scrittura. Cerchiamo di complicare la Tua Parola come se fosse un qualche codice segreto, quando Tu ci hai solo detto di tenere gli occhi aperti per vedere la realtà che va oltre alle apparenze - per vedere il peccato, per ravvedercene, per odiarlo, per sfuggire dalle tentazione e rimanere focalizzati sul Tuo Regno, sulla Tua Parola, sul Tuo Ritorno. Signore, aprimi gli occhi per poter vedere ciò che Tu vedi, per poter scorgere i segni del Tuo Regno che giunge proprio nel mezzo di questo mondo decaduto e desiderarlo fortemente. Impediscici di rimanere impantanati con le cose che ci conducono a peccare e con le cose che non hanno importabza. Fa’ si che la nostra bocca si riempia dell’Evangelo, alla Tua Gloria. Te lo chiediamo in nome di Gesù. Amen.
Paolo Castellina, 24 novembre 2015
L’incipiente decristianizzazione
Il laicismo, che da noi si sta imponendo sempre di più, vorrebbe cancellare dalla nostra società ogni riferimento pubblico alla fede cristiana e le celebrazioni come quelle del Natale sembrano essere il suo bersaglio favorito. Non che la maggior parte della gente davvero vi celebrasse la nascita del Cristo, ma il semplice riferimento a Gesù di Nazareth sembra essere particolarmente offensivo agli zelanti custodi della laicità. Ragione di più, da parte nostra, per sfidarne l’arroganza e le pretese, parlando apertamente del Cristo, annunciandolo ed esaltandolo, anche e soprattutto a Natale - farlo, comunque, è sempre nostro dovere di cristiani. Valorizzare, così, il Natale in maniera cristocentrica, insieme alle quattro settimane di preparazione chiamate il periodo dell’Avvento, diventa oggi particolarmente rilevante. Sfidiamo, perciò, la “demenza senile” della nostra civiltà rammentando loro (e facendoli conoscere a chi ne è ignorante) gli elementi di cultura biblica propri al periodo dell’Avvento e del Natale, perché rimane vero che: “Noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato [Suo] Figlio [Gesù Cristo] per essere il Salvatore del mondo” (Giovanni 4:14). Della “correttezza politica” proprio non ce ne potrebbe importare di meno.
Dopo secoli, anzi, millenni, di “cristianizzazione” della nostra società occidentale (per quanto spesso portata avanti con metodi discutibili e non conformi alla volontà di Dio), stiamo così assistendo oggi ad un incipientente “de-cristianizzazione”. L’ideologia laicista dominante sta imponendo, infatti, la “privatizzazione” delle religioni. Intendendo togliere ogni potere politico ed influenza (e persino visibilità) alle religioni organizzate, considerate fondamentalmente negative e pericolose “per il progresso”, perché basate, secondo il laicismo, su “mitologie primitive”. Le religioni possono essere al massimo “tollerate”, ma solo se “domate” e depotenziate, di fatto asservite all’ideologia dominante agnostica ed ai suoi propri “valori”. Fondamentalmente ignorante di religione e privo di discernimento, nella sua smania egualitaristica, il laicismo vorrebbe mettere tutte le religioni sullo stesso piano. Non dimentichiamoci, però che, sotto il pretesto dell’uguaglianza e della libertà per tutti (entro i limiti che esso stabilisce), il laicismo è comunque, non meno di altre, una forza ideologica che impone “religiosamente” i propri princìpi. È vero che vi sono anche molti cristiani che considerano il laicismo la forma “più conveniente” di governo, soprattutto per tenere a bada le religioni più aggressive, ma non si rendono conto del prezzo: quello della privatizzazione della propria fede, della sua irrilevanza e della sua conciliazione (di fatto corruzione ed assorbimento) ai “valori laici”.
La convenienza dei politici e l’eccessivo zelo di molti cristiani
La “convenienza” del “politico illuminato” è l’ingannevole sapienza che aveva portato, nell’antico Impero romano a far cessare le persecuzioni contro l’emergente cristianesimo per metterlo al servizio del proprio potere e “logica amministrativa”. Dopo secoli di persecuzioni (a successive ondate) dei cristiani, il 30 aprile del 311, a Nicomedia, anche a nome di Costantino, Galerio pubblica un editto con il quale si concede ai cristiani, purché essi rispettino le leggi, la libertà di culto e la riedificazione delle chiese. Il 313 d.C. è l'anno dell'Editto di Milano, con il quale il Cristianesimo ottiene la libertà di culto. L'imperatore Costantino (detto Costantino I il Grande)., inoltre, ordina la restituzione ai cristiani dei beni confiscati. Costantino così crede opportuno di non negare a nessuno la facoltà di libera professione religiosa tanto per i Cristiani che per tutti gli altri, qualunque fosse il loro culto. E concludeva dicendo che aveva ritenuto opportuno abrogare le precedenti leggi contro i cristiani perché le riteneva odiose e del tutto contrarie alla sua mansuetudine, lasciando così liberamente e semplicemente a tutti quelli che volevano seguire la nuova fede di praticarla senza molestie o impedimento alcuno. In questo editto si ordinava, inoltre, la restituzione ai cristiani dei beni loro confiscati, e il Cristianesimo veniva messo alla pari delle altre religioni. Nell'editto, inoltre, c'era un' implicita professione di fede monoteistica, parlando di Divinità anziché di Dèi, a questa Divinità si invocava il favore per i monarchi e per i sudditi.
La “lungimiranza” di questi “politici illuminati”, però, non termina qui. L’imperatore Teodosio, il 27 febbraio del 380, emana il celebre editto di Tessalonica, in cui ordina ai popoli a lui sottomessi di abbracciare la fede che era stata un tempo dell'apostolo Pietro, e li esorta a riconoscere la massima autorità nelle figure del vescovo di Roma, l’ortodosso Dàmaso e del vescovo di Alessandria Pietro. L'intento di Teodosio è sicuramente di natura politica, intuendo egli quanto inammissibile e pericoloso si rivelasse il continuare delle divisioni religiose in oriente fra ariani ed antiariani (due tendenze teologiche che emergono contrapponendosi fra i cristiani). Questa è la linea che il vescovo di Milano, Ambrogio, aveva sempre cercato di perseguire fin dalla sua elezione all'episcopato nel 374: una consonanza di posizioni. Un simile editto viene ripetuto da Teodosio nel 381. L'editto di Tessalonica, firmato anche dagli imperatori Graziano e Valentiniano II, dichiara il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e proibisce i culti pagani. Contro gli eretici, egli esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. Il suo testo viene preparato dalla cancelleria di Teodosio I.
Successivamente venne incluso nel codice Teodosiano da Teodosio II. Nel 391-392, nuovi decreti ("Decreti teodosiani") inaspriscono le proibizioni verso i culti pagani e i loro aderenti, dando il via a una vera e propria persecuzione del Paganesimo. Vengono distrutti molti templi e vengono avallati atti di violenza contro il paganesimo: uno dei più tragici è la distruzione, nel 392 circa, del Serapeum di Alessandria, ad opera del vescovo di Alessandria Teofilo che, alla guida di un esercito di monaci, provoca l'uccisione di numerosi pagani che erano intenti alle loro funzioni sacre. Inoltre L'arcivescovo Giovanni Crisostomo organizza una spedizione ad Antiochia per demolire i templi e far uccidere gli idolatri, mentre il vescovo Porfirio di Gaza fa radere al suolo il famoso tempio di Marnas. Nel 416 un editto dell'imperatore romano d'Oriente Teodosio II stabilì che soltanto i cristiani potevano svolgere la funzione di giudice, rivestire cariche pubbliche ed arruolarsi nell'esercito. Tutti i giudici, impiegati pubblici e ufficiali dell'esercito non cristiani avrebbero dovuto dimettersi. Nel 423 Teodosio II dichiara che tutte le religioni pagane non erano altro che "culto del demonio" ed ordinò per tutti coloro che persistevano a praticarle, punizioni quali il carcere e la tortura.
In seguito, l'imperatore Valentiniano III emana (17 luglio 445) un editto che contribuisce in maniera determinante all'affermazione dell'autorità e del primato della sede vescovile di Roma in Occidente. Questo editto, che non era valido nella parte orientale dell'Impero, riconosceva pienamente il primato giurisdizionale del papato, perché «Nulla deve essere fatto contro o senza l'autorità della Chiesa romana». In molti casi, la politica degli imperatori successivi si basava sul presupposto che l'unità dell'impero richiedesse anche un'unità religiosa. Così Giustiniano impose pesanti restrizioni a tutte le religioni non cristiane. Nel 527 tutti gli eretici e i pagani perdono le cariche statali, i titoli onorifici, l'abilitazione all'insegnamento e gli stipendi pubblici. Nel 529 è imposta di fatto la chiusura della scuola filosofica di Atene, ultimo centro di eccellenza ancora attivo della cultura pagana, e a Costantinopoli e in Asia Minore i pagani, ancora numerosi, furono costretti al battesimo. L'editto di Tessalonica è ritenuto importante dagli storici in quanto dà inizio a un processo in base al quale «per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato».
Questa era e rimane la “lungimiranza” dei politici (increduli) che credevano così di sistemare “la questione religiosa”. Così credono di poter fare oggi con il laicismo: una falsa soluzione dalla quale ci dobbiamo allontanare. Come cristiani non solo dobbiamo testimoniare (con l’esempio e l’annuncio) “lo stile di vita cristiano” ed i principi che lo informano, come il più desiderabile per la società umana, ma non dobbiamo temere di stabilire (nella società in cui viviamo) quegli stessi principi in modo conforme alla volontà di Dio espressa dalle Scritture. Non dobbiamo aver timore di “imporre” la fede cristiana (con metodi legittimi) rifiutando come ingannevole e deleterio l’egualitarismo laicista. Questo sarebbe compromettere la nostra fede e assoggettarla a principi e “signori” diversi. Uno solo è il nostro Signore!