1 Corinzi 2:1-10

La predicazione: strumento debole ma privilegiato da Dio!

Solo una formalità?

Una volta, un fine settimana, parlando con un uomo, gli confidavo che la predicazione che stavo preparando per quella domenica la trovavo particolarmente impegnativa,difficile, e che quanto fino a quel momento avevo preparato non mi soddisfaceva del tutto. E lui, probabilmente per incoraggiarmi, mi dice: “Eh beh, non ti dare tanta pena: di’ poi qualcosa… tanto…”, come per dire: “Di’ poi una qualsiasi cosa tanto non ha nessuna importanza …tanto non ti stanno neanche a sentire!”. Non gli ho risposto, ma io ho preso questo quasi come un’offesa personale! Per me, infatti, la predicazione, la predicazione della Parola di Dio, è della massima importanza. È duro lavoro, lavoro che implica studio diligente, preghiera, riflessione, tempo, fatica…

Mi sembra ancora di vedere il volto di un altro uomo, che all’udire come una predica richieda almeno otto ore di lavoro, era rimasto incredulo ed allibito. In effetti, spesso richiede molto più che otto ore! Forse pensava che non ne valesse la pena, che ci siano altre cose più importanti da fare… Non li biasimo. La cultura contemporanea, detta postmoderna, relativizza, infatti, la parola, la svuota di significato, ne fa un vano esercizio retorico a buon mercato che si può anche scegliere di non ascoltare o che si può interpretare come si vuole, come certe canzoni moderne le cui parole non hanno senso alcuno e che sono messe lì solo per il suono che producono… Così oggi spesso la si considera “la predica”: una formalità, una vaga esortazione… Qualcuno, così, predica “per dire qualcosa”, mentre dovrebbe predicare solo se ha qualcosa da dire!

Non è così per la tradizione evangelica riformata, anzi, nell’insegnamento della Bibbia. Il famoso predicatore presbiteriano inglese Martin Lloyd Jones diceva: “Per me, l’opera della predicazione è la vocazione più alta e gloriosa alla quale una persona possa essere chiamata! Oggi, il più urgente bisogno della Chiesa cristiana, è quello di una predicazione autentica: e se questo è vero per la Chiesa, lo è altrettanto vero per il mondo contemporaneo” (1), ed ancora: “La predicazione della Parola di Dio rappresenta il compito principale della chiesa e del pastore in seno alla chiesa”, …e questo non perché lo diciamo noi, ma perché è comandata da Dio stesso ed è lo strumento che Egli ha scelto per chiamare alla salvezza.

La predicazione è indubbiamente “uno strumento debole” rispetto ai “potenti mezzi del mondo”, ma è quello che Dio ha scelto per realizzare i Suoi fini: trascurarla o “adattarla meglio ai tempi”, come si vorrebbe fare oggi, in realtà sarebbe il più grande errore che noi mai potremmo fare. Questo è ciò di cui si occupa il testo biblico proposto oggi alla nostra attenzione.

Il testo biblico

Si tratta, fra l’altro, di un testo che mi è molto caro perché definisce quale ho voluto che fosse, fin dall'inizio, “lo stile” del servizio cristiano che io svolgo come predicatore. Tant’è vero che ce l’ho anche incorniciato in casa. Evidentemente, però, esso riguarda pure ogni predicatore dell’Evangelo degno di questo nome: come potrebbe, infatti, essere altrimenti, se uno vuole veramente essere fedele alla vocazione originaria?

Leggiamo, così dalla prima lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani della città di Corinto, il capitolo 2, i primi dieci versetti.

“E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati; ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma com'è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano». A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Corinzi 2:1-10).

Nel capitolo precedente della sua lettera, l’Apostolo mostra come Iddio scelga, per far parte della comunità cristiana, prevalentemente persone che, agli occhi del mondo, “non contano”, “non valgono”, persone “da nulla”, cioè, come egli si esprime, “cose pazze”, “cose deboli”, “cose ignobili”, “cose disprezzate”, “cose che non sono”. Dio fa questo proprio per svergognare chi si ritiene forte, per denunciare e sovvertire i falsi valori che prevalgono in questo mondo.

Che l’Evangelo sovverta, sconvolga, e provocatoriamente si contrapponga all’attuale andazzo di questo mondo, si rivela pure nei mezzi, negli strumenti, che Dio usa per formare ed edificare la Sua chiesa. Uno di questi “strumenti deboli” che per il mondo sono “follia”, ma che Dio sceglie di privilegiare, è proprio la predicazione dell’Evangelo.

Consideriamo in dettaglio che cosa dice l’Apostolo in questo testo.

La modalità di un annunzio

Paolo scrive: “E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza” (1). Com’era nata la comunità cristiana di Corinto? L’apostolo Paolo era giunto in quella città e si era recato nella piazza principale, là dove si svolgeva il mercato e dove la gente si incontrava per chiacchierare e per udire e commentare le ultime notizie. Monta su una cassetta di legno o su un rialzamento di pietra di un edificio, là dove può essere visto da tutti e, alzando la voce dice: “Potrei avere, per favore, la vostra attenzione? Ho delle comunicazioni da fare!”. Quando poi, comincia a farsi silenzio e la gente si chiede incuriosita che cosa avrà mai da dire quello straniero, Paolo dice loro: “Vorrei parlarvi di un uomo di nome Gesù vissuto in Palestina fino a qualche anno fa e che…”. Comincia così a raccontare la vicenda ed il messaggio di Gesù di Nazareth fino alla Sua morte ed alla Sua risurrezione ed il significato che tutto questo ha per la vita di ogni essere umano, in particolare per quella gente che lo stava ad ascoltare.

Paolo chiama questo “la testimonianza di Dio”, cioè le evidenze di come Dio, il Creatore del cielo e della terra, si sia fatto conoscere attraverso Gesù ed abbia così manifestato il Suo amore teso a salvare uomini e donne da ciò che guasta e rovina la vita umana.

Quando così Paolo giunge per la prima volta nella città di Corinto per portarvi il messaggio dell’Evangelo, egli, così, si presenta loro non come avrebbe fatto un grande oratore [oggi diremmo “uno stimato conferenziere”] che fa sfoggio di grande eloquenza e conoscenza, e neanche con le argomentazioni e le speculazioni filosofiche dei “grandi intellettuali” che anche a quel tempo erano altamente stimate. Paolo, semplicemente, parla loro di Gesù. Infatti, dice,

Il contenuto dell’annunzio

“…poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso” (2). Non è che Paolo fosse stato “a corto di argomenti” e non sapesse dire nient’altro che la storia di Gesù, quel racconto che oggi alcuni considerano “le solite cose” o, peggio, “una favola per bambini”! Paolo si era fatto consapevolmente il proposito, aveva avuto la precisa determinazione, di non dire altro, nei suoi discorsi, che ciò che riguarda Gesù e la Sua crocifissione!

Paolo avrebbe potuto fare “di meglio”. Lui stesso era un intellettuale molto erudito.Avrebbe potuto, per esempio, fare dotte argomentazioni sulle leggi civili, religiose e morali del popolo di Israele, di cui era esperto. Avrebbe potuto fare discorsi di etica e di politica molto interessanti. Avrebbe potuto fare confronti fra le religioni, gli usi ed i costumi dei popoli. Avrebbe potuto fare discorsi di arte e di letteratura. Avrebbe potuto fare speculazioni sul simbolismo della ricchissima mitologia greca e sulle favole di Esopo.

Paolo avrebbe anche potuto raccontare delle sue straordinarie esperienze spirituali e lasciare tutti affascinati ed a bocca aperta. Egli, infatti, in un’altra sua lettera, scrive delle visioni e delle rivelazioni che il Signore gli aveva concesso. Dice di essere stato “rapito fino al terzo cielo … in paradiso … se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa” dove aveva udito: “parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunziare” (2 Corinzi 12:1-7), ma se ne astiene! Sì, Paolo di cose da dire ne avrebbe avute molte, tanto da soddisfare “il prurito d’udire” (2) di molta gente come un bravo intrattenitore da “talk show”. La gente avrebbe potuto dirgli: “Paolo, parlaci di queste cose, e ti staremo ad ascoltare … non vogliamo sentire di questo Gesù… è noioso!”. Egli, però, risponde: “Io non sono venuto per intrattenervi. Io vi voglio parlare di Gesù ed insistere solo e sempre su di Lui, fintanto che vi metterete una buona volta intesta che Egli è di vitale importanza per voi. È l’unica cosa che conta! Tutto il resto, per quanto interessante è tempo sprecato!”.

Paolo era perfettamente cosciente che parlare di Cristo e della Sua crocifissione era sgradito e persino “di cattivo gusto”. Egli scrive, infatti, “Noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia” (1 Co. 1:23). Egli l’avrebbe fatto, anche al costo dell’impopolarità perché questo è di vitale importanza, è “questione di vita e di morte” e …non si perde tempo a raccontare favole, barzellette e belle teorie quando il tempo è breve e bisogna dire alla gente in che modo possono essere salvati dall’ira di Dio che pende sulla loro testa!

Lo spirito dell’annunzio

In che modo Paolo aveva parlato ai Corinzi? Dice: “Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore” (3). Paolo avrebbe magari anche voluto dire tutte le “cose interessanti” che egli poteva loro dire e che avrebbero senz’altro riscosso successo. Gli avrebbero dato piacere ed avrebbero solleticato il suo umano orgoglio. Si presenta loro, però, con “argomenti deboli”, eppure egli si arrischia a dire “queste cose”, decisamente “impopolari”. Egli è anche timoroso a farlo. Sa bene che, così facendo, infatti, lo avrebbero deriso, lo avrebbero fischiato, gli avrebbero magari tirato addossi ortaggi e pomodori marci (visto che erano sulla piazza del mercato)! Si trovava al centro della magnifica cultura greca ed avrebbe potuto egli stesso ben competere con i filosofi più insigni: sarebbe stato persino eccitante! Egli, però, di fronte agli splendori della cultura greca, intende presentare loro “solo” il semplice Evangelo che parla di un “oscuro palestinese” per altro condannato, “senza neanche sapersi difendere”, a morire della morte infamante degli schiavi: inchiodato nudo su una croce! “Ma che razza di salvatore è mai questo?”. Che poi quest’uomo sia risorto dai morti, è “la favola più stupida e ridicola che si possa immaginare”, così avrebbero detto molti. Vi sorprende che Paolo avesse proclamato queste cose con gran tremore? Ne avreste voi avuto il coraggio? Egli l’avrebbe però continuato a fare per la gloria di Dio (non la sua, quella di Paolo), per denunciare i falsi valori di questo mondo e per coloro che Dio ha eletto alla salvezza.

Questi, infatti, lo avrebbero ascoltato con attenzione, gli avrebbero chiesto ulteriori precisazioni, e sarebbero venuti a Cristo con fede, ravvedendosi dai loro peccati, facendosi battezzare e formando, così, la prima comunità cristiana in quella città.

La potenza dell’annuncio

Ecco così che, ripete l’Apostolo, ”la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza” (4). Nulla quindi di immediatamente persuasivo era il discorso di Paolo, anzi, di per sé stesso non era persuasivo per nulla! Gli oratori del tempo, giocando con le parole, erano certamente più persuasivi. Si sarebbe potuto pensare che Paolo avesse voluto “adattare” il messaggio dell’Evangelo per renderlo più “convincente”, più “attraente”, ma non lo fa. Egli dice che la sua predicazione era “dimostrazione di Spirito e di potenza”. Che cosa intende?

Paolo, per essere efficace, non dipendeva dalle proprie capacità oratorie e risorse, dalle “tecniche di persuasione” che usava, ma dipendeva completamente dallo Spirito del Dio vivente che avrebbe operato attraverso la fedele predicazione della Parola di Dio come, quando e dove avrebbe deciso causando, sorprendentemente, la conversione di molte persone. La potenza non era la sua, ma quella di Dio! Come può un messaggio debole e poco convincente trasformare delle vite? È un miracolo! Sì, è un miracolo della potente grazia sovrana di Dio. Dio opera la trasformazione di creature umane in ed attraverso la parola che annuncia Cristo crocifisso, e così svergogna la sapienza di questo mondo. È un altro dei paradossi di Dio.

Ai Romani Paolo scrive: “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunzi? E come annunzieranno se non sono mandati? (…) Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?». Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Romani 10:14-17). La fede viene dall'ascolto della Parola di Cristo perché lo Spirito di Dio chiama efficacemente alla salvezza coloro che Egli vuole attraverso la Parola predicata.

Certo, le parole degli apostoli erano appoggiate dai miracoli che avvenivano tramite loro. Erano i “segni dell’apostolo”, com'è scritto: “…con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito Santo. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria ho predicato dappertutto il vangelo di Cristo” (Romani 15:19), ed anche: “Certo, i segni dell'apostolo sono stati compiuti tra di voi, in una pazienza a tutta prova, nei miracoli, nei prodigi e nelle opere potenti” (2 Co. 2:12), ma il più grande miracolo, prodigio ed opera potente erano le vite trasformate di coloro che avevano accolto la Parola di Cristo. Perché avviene, allora il paradosso della persuasione e della conversione attraverso la Parola della croce e non attraverso le tecniche della sapienza umana? Lo dice Paolo nel versetto 5: ”Affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.

La sapienza dell’annuncio

Possiamo dunque concluderne che il messaggio dell’Evangelo sia “semplice”, “infantile”, “poco profondo”, alieno dalla sapienza che si insegna “all’università” (per così dire)? Possiamo dire che l’Evangelo sia “anti-intellettuale”? No di certo! Una volta svergognata la falsa sapienza e la cosiddetta scienza, nella rivelazione di Dio c’è una sapienza ed una tale profondità che non ci basterebbe tutta la vita per sondarla tutta. L’apostolo, infatti, dice: “Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati” (6).

Paolo esorta il discepolo Timoteo dicendogli: "Custodisci il deposito; evita i discorsi vuoti e profani e le obiezioni di quella che falsamente si chiama scienza" (1 Timoteo 6:20). Poi, però, egli, insieme ad ogni persona che sia stata convertita a Cristo, dovrà crescere, maturare, sia attraverso le esperienze del discepolato che attraverso lo studio diligente dell’intera rivelazione di Dio. L’apostolo parla spesso del “mistero di Cristo”: “Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui” (Efesini 3:5). Poi dice: “A me (…) è stata data questa grazia di annunziare (…) le insondabili ricchezze di Cristo e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il Creatore di tutte le cose; affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio” (8-10). La sapienza rivelata di Dio è grande e profonda.

La profondità dell’annuncio

Per comprendere, di fatto, le profondissime verità della rivelazione di Dio è necessaria maturità, quella maturità spirituale che il mondo è lungi dal possedere. Non cercate questa sapienza e questa maturità nelle accademie e nelle università che non conoscono Cristo, e che anzi Lo disprezzano e se ne sentono superiori! Difatti, l’Apostolo aggiunge:

“…ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (7,8). Sì, il mondo, se la conoscesse, certamente non respingerebbe l’eterna Parola di Dio, l’eterna Sapienza di Dio, il Signore Gesù Cristo. Se potesse, il mondo ancora oggi crocifiggerebbe Cristo!

Qui in effetti è come se l’Apostolo dicesse: “Fondate scuole cristiane di discepolato e facoltà teologiche che, fedeli alle Sacre Scritture ed alla rivelazione di Dio in Cristo, non cerchino di scimmiottare le accademie di questo mondo, ma insegnino la sapienza rivelata di Dio. Poi partecipate volentieri a queste scuole e ambite ad una sempre più grande maturità cristiana! Nessuno possiede questa sapienza e questa maturità all’inizio del suo percorso di fede. Quello è un punto di partenza dopo il quale bisogna crescere.

Questa maturità il credente deve pian piano acquisirla con grande diligenza. L’apostolo Pietro esorta, infatti: “Crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pietro 3:18). Stiamo crescendo noi nella grazia e nella conoscenza come cristiani? Ci avvaliamo di tutti gli strumenti a nostra disposizione per crescere in questo senso? È nostro dovere e responsabilità, ma anche nostra gioia e privilegio.

Alcuni stentano a credere a che nell’Evangelo di Cristo vi sia una sapienza profondissima da sondare. L’Apostolo dice, però, “Ma com'è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano»” (9). Sì, queste cose sono state preparate per coloro che l’amano. Chi ama Dio e la Sua rivelazione si rallegra grandemente di investigare ciò che Dio ha rivelato nella Sua Parola per mezzo del Suo Spirito: “A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (10). Scrutare le profondità di Dio non è arroganza se lo si fa nell'ambito di ciò che Dio ha rivelato, ed è la base stessa per comprendere tante cose “misteriose” di questo mondo. Provare per credere!

Conclusione

La predicazione è dunque sicuramente uno strumento “debole” agli occhi del mondo, disprezzato, poco persuasivo, non solo oggi, ma anche allora. Una certa mentalità pragmatica ed efficentista potrebbe dire: abbandoniamo la predicazione “tradizionale”, non serve, è tempo sprecato, non è pratica… ci sono altre cose più importanti nel ministero cristiano. Oppure: modifichiamola adattandola alle tecniche di persuasione e di comunicazione che oggi si ritengono più efficaci. Fare così, però, sarebbe un grave errore, perché la predicazione dell’Evangelo rimane lo strumento che Dio ha scelto per chiamare alla salvezza in Cristo. Con l’esempio, il contenuto, lo spirito, la potenza, e la sapienza della predicazione apostolica dobbiamo perseverare non presumendo di essere più intelligenti di loro o di Dio stesso credendo di fare meglio altrimenti!

Che cosa diceva l’Apostolo nel primo capitolo? Riascoltiamolo: “La predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio (...) Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. (...) Noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati (...) predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Co. 1:18-25).

Paolo Castellina, venerdì 13 gennaio 2006.

Note

(1) Martin Lloyd Jones, Predicazione e predicatori, Passaggio, Mantova, 2002.

(2) Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie“ (1 Tmoteo 4:3).