1 Pietro 1:3-9
Una speranza viva e producente
Sintesi: Sono tanti i motivi per i quali nella nostra vita possiamo sentirci scoraggiati, demotivati, frustrati… C’è però un modo potente ed efficace per vederci restituire coraggio e motivazione. Non consolazioni a buon mercato, ma una forza potente: guardare con fiducia alla risurrezione del Signore Gesù Cristo dai morti e lasciare che essa ispiri, sostenga, rafforzi e motivi la nostra vita. È ciò che Dio vuole comunicarci questa Domenica attraverso il testo biblico di 1 Pietro 1:3-9. Vediamo.
Introduzione
“Sono scoraggiato... sto perdendo ogni motivazione... chi me lo fa fare... non ne vale la pena...”: quante volte abbiamo sentito o pronunciato noi stessi queste frasi, afflitti perché il compito che ci è stato affidato ci è sembrato “un’impresa disperata” perché irto di difficoltà d’ogni genere? Forse abbiamo detto queste frasi come genitori, educatori, insegnanti o politici idealisti che si adoperano per il progresso della società in cui vivono. Come tali ci siamo sentiti impotenti di fronte alla rapida decadenza morale e civile della nostra società che frustra e vanifica ogni nostra migliore intenzione.
Anche però al di fuori dell’ambito della vocazione, alcuni dicono: “Sono scoraggiato... sto perdendo ogni motivazione... chi me lo fa fare... non ne vale la pena...” rispetto alla loro stessa vita perché delusi dal mondo, dagli altri, o forse anche da sé stessi.
A volte anche il cristiano, colui che ha investito la sua vita al seguito del Signore e Salvatore Gesù Cristo, può sentirsi scoraggiato e demotivato per tante ragioni. C’è però un modo potente ed efficace per restituirgli coraggio e motivazione, non solo per lui in quanto cristiano, ma anche per chi persegue una vocazione sociale e ...per chi vuol vivere una vita davvero significativa: guardare con fiducia alla risurrezione del Signore Gesù Cristo dai morti e lasciare che essa ispiri, sostenga, rafforzi e motivi la sua azione, la sua vita stessa.
Il testo biblico
Questo è il messaggio che traspare potente dal testo biblico che ci viene presentato quest’oggi, tratto dalla prima lettera dell’apostolo Pietro. Leggiamolo:
“Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi. Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. Benché non l'abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime. (1 Pi. 1:3-9).
Questo testo è una porzione della parte iniziale della lettera che l’apostolo Pietro scrive ai cristiani che erano dispersi in una vasta zona nel centro-nord di quella che ora è la Turchia. Erano cristiani isolati e perseguitati e potrei dire, con la tentazione allo scoraggiamento. Avevano bisogno di ricevere conferma e sostegno nella loro fede, ma anche di istruzione su come vivere la vita cristiana in un ambiente a loro ostile. A queste necessità vuole rispondere questa lettera dell’apostolo.
Essi risiedono in questi luoghi “come stranieri”. Non sono necessariamente dei rifugiati o dei fuggiaschi. Quando Cristo ci chiama a far parte del Suo popolo eletto, infatti, quando Cristo ci riscatta dalla corruzione di questo mondo, insegnandoci un nuovo modo di pensare e di vivere, non ci sentiamo più a nostro agio nell’andazzo di quaggiù, siamo come degli stranieri, con tutto il “disadattamento” e l’ostilità che questo comporta. Gesù disse infatti dei Suoi discepoli: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Giovanni 17:16).
La prima parte di questa lettera, quella di cui ci occupiamo quest’oggi, celebra così la grazia che ci ha chiamato a far parte del Suo popolo eletto, ringrazia Dio e conferma quali siano le basi della vocazione cristiana, ma soprattutto riafferma ciò che ci spinge a perseverare in essa, nonostante tutte le difficoltà che possiamo incontrare.
Il valore soggettivo della risurrezione di Cristo
Fondamento e causa efficiente di ciò che Dio ha compiuto, compie e compirà in noi, e che pure ci spinge e sostiene a perseverare nella fede vivendo in questa prospettiva e lottando per la causa dell’Evangelo è “il sangue di Gesù Cristo” (2b), cioè l’efficace Suo sacrificio per noi, ma soprattutto “la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (3).
Quando infatti il cristiano guarda alla risurrezione di Cristo dai morti, egli non contempla semplicemente un fatto oggettivo avvenuto nella storia e che, pur non avendolo visto (8), crede e celebra. Non è un astratto articolo di fede, qualcosa di misterioso che non osa mettere in questione ma che rimane in un certo qual senso lontano dai suoi interessi immediati, laggiù all’orizzonte. Essa è un valore anche soggettivo per chi la abbraccia con fede, qualcosa che rende possibile la sua salvezza. Esso è pegno della sua eredità futura, ciò che di fatto gli permette di vivere con forza e speranza attraverso le difficoltà, le frustrazioni e le contraddizioni dell’attuale nostra vita. Di questo l’Apostolo se ne rallegra grandemente benedicendo e glorificando il nome di Dio (“Benedetto sia il Dio e Padre del Signore Gesù Cristo” 3a) e questo egli vuole comunicare ai suoi lettori che tanto ne abbisognano.
I cristiani a cui scrive l’apostolo Pietro stanno vivendo un momento particolarmente difficile: devono subire dure persecuzioni a causa della loro fede. Si domandano se tutto questo veramente ne valga la pena. “Abbiamo investito la nostra vita in un fumoso sogno, in un mito? Non ci converrebbe di più vivere come tutti gli altri?”. La risposta di Pietro è inequivocabile: “No di certo. Ne vale la pena perché Cristo, risorgendo dai morti ha conseguito per voi beni unici che non vi saranno più tolti e che fruttano e frutteranno alla gloria di Dio e per la vostra salvezza”.
Gli effetti della risurrezione di Cristo
Quali sono questi beni preziosi godibili oggi e che giungeranno a compimento al ritorno di Cristo? Sono il frutto della grande misericordia (3) di Dio verso la creatura umana: beni seminati nella morte sacrificale di Cristo in croce, che sono germogliati nella Sua tomba e che hanno fruttificato nella Sua risurrezione. Essi ci possono impartire non una pia illusione, ma una viva speranza. La risurrezione di Gesù Cristo dai morti ha reso per noi possibile:
a) la nostra rigenerazione (“ci ha fatti rinascere” o “ci ha rigenerati”, 3b). La Bibbia parla dell’essere umano nella condizione in cui ora si trova, come di una creatura spiritualmente morta, dei “morti che camminano”, “morti nei falli e nei peccati” (Efesini 2:1). Ci sorprende che da essa non se ne possa trarre nulla di buono? Ci sorprende che non produca e che anzi si corrompa sempre di più insieme alla sua società? Che ci si potrebbe attendere da “cadaveri spirituali”?
Grazie alla risurrezione di Cristo ed attraverso l’annuncio dell’Evangelo, la creatura umana può giungere ad una vera e propria rinascita, una rigenerazione. Dice Paolo: “Egli ha vivificato anche voi, che eravate morti nei falli e nei peccati, nei quali già camminaste, seguendo il corso di questo mondo... Ma Dio, che è ricco in misericordia per il suo grande amore con il quale ci ha amati, anche quando eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo...”. (Ef. 2.1-6).
Come Sue creature Dio ci dà l’essere naturale, ma pure vuole darci l’essere spirituale attraverso la nostra conversione a Cristo, miracolo della grazia di Dio non meno stupefacente che una risurrezione dai morti. Spiritualmente l’essere umano è come Lazzaro nella sua tomba. Quando però Gesù lo chiama ad uscire, il Suo appello è vivente ed efficace da suscitare in lui una risposta non altrimenti possibile. La generazione spirituale restituisce alla nostra natura corrotta compatibilità con il nostro Creatore. Tramite essa torniamo ad apprezzare ciò che è spirituale, santo e celeste, possiamo vedere, udire ed anelare le cose di Dio, vivere una vita di fede e di santità. Dio solo può essere la causa efficiente di questa rigenerazione. Promuovere questa rigenerazione spirituale concretamente possibile attraverso l’Evangelo della risurrezione è l’unica cosa che ci permetta di superare le frustrazioni del presente.
b) Un’eredità. Sostiene poi la vita del credente il pensiero che per la stessa grazia di Dio gli è assicurata “un’eredità incorruttibile, incontaminata, immarcescibile... nei cieli” (4). C’è un’immagine proverbiale di un ricco possidente che facendo contemplare al figlio la vastità dei terreni che possiede, gli dice: “Tutto questo un giorno sarà tuo”. L’erede riceve così tutto questo per diritto naturale. Che ci piaccia o no, non deve guadagnarselo, né meritarselo. I
l credente, adottato per grazia di Dio come figlio Suo, diventa coerede con Cristo dei beni celesti: è un suo “diritto acquisito” in qualità di figlio, sia pure adottivo. Quest’eredità è libera essa stessa dalla corruzione, non è deteriorabile come i beni di questo mondo. Non la si può perdere per incuria o alienare a causa del nostro peccato perché noi pure come eredi acquisirà una natura incorruttibile. Essa è “incontaminata”, cioè per natura pura e santa, libera dalla contaminazione del peccato.
Uno potrebbe dire: se quest’eredità la riceveremo, troveremo sicuramente il modo di rovinarla, conoscendoci... Invece no, essa verrà acquisita solo da persone purificate con il sangue di Cristo. Essa è “immarcescibile”, cioè non come il mondo, la sua gloria e possedimenti. La sua consistenza sarà durevole, il suo godimento senza fine e inalterabile. Esso è per tutti coloro che sono stati eletti secondo la prescienza di Dio, per coloro che sono stati rigenerati, lontano per sempre da mani avide, invidiose e distruttrici. Il solo pensare a quest’eredità che presto riceveremo ci dovrebbe incoraggiare e sopportare quaggiù ogni penuria senza disperare.
(c) La Sua custodia. La risurrezione di Cristo ci sarà di incoraggiamento e di forza perché, avendo noi affidato a Lui la nostra vita possiamo godere della Sua “custodia”. Dice il testo: “dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi” (5). L’Evangelo ci affida nelle sicure mani di Cristo: con Lui non dobbiamo aver più paura di nulla. Colui che è risorto è potente e fedele da proteggerci. Scelti da Lui e rigenerati, assicurati della certezza della nostra eredità celeste, abbiamo la gioia di sapere che siamo custoditi quaggiù fra mille trappole e difficoltà per giungere con sicurezza alla meta.
Posti nelle mani di Cristo, dalle quali nessuno ci potrà strappar via, come in una fortezza, siamo custoditi nell’amore di Dio, legati da un patto di sangue e di grazia che Iddio onorerà. Ormai giustificati dal sangue di Cristo non saremo più passibili di condanna. Siamo stati inseriti nella famiglia di Dio, come figli e non servi. In stato di grazia e santità, nel timore di Dio, nella fede di Cristo, sul cammino della verità, siamo preservati a che la nostra debole natura non ci allontani da Lui.
Il peccato sempre ci tenterà e talvolta purtroppo cadremo, ma Cristo sarà vicino a noi per rialzarci. Potremo cadere magari nel dubbio ma la fede di Cristo non fallirà. Siamo custoditi non dalla nostra forza, ma dalla potenza di Dio; come circondati dall’accampamento di angeli, da un muro di fuoco alle loro spalle come l’antico. Di questo siamo sicuri per fede.
Per avere questa certezza dovremo però sempre guardare a Cristo ed alla Sua vittoria sul mondo e su ogni altro nemico, senza lasciarci intimidire. La salvezza che Cristo ci ha ottenuto un giorno certamente la possederemo quando Egli tornerà: il sangue da Lui per noi versato ne è garanzia.
(d) La Sua gioia. Dono di Dio attraverso la risurrezione di Cristo sarà la gioia. Due volte nel nostro testo si parla del dono della gioia. “...a motivo di questo voi gioite, anche se...” (6a), “...voi esultate di una gioia ineffabile e gloriosa” (8b). E’ la gioia che il credente ha nel cuore quando comprende ciò che Cristo ha operato per lui. E’ la gioia per essere stato prescelto, rigenerato, lavorato, gioia per le certe promesse del Signore a lui rivolte di realtà presenti e future.
Il ruolo delle difficoltà
Nella prospettiva della risurrezione di Cristo, che impartisce rigenerazione, un’eredità celeste, sicura custodia e gioia ineffabile, le difficoltà presenti assumeranno per noi un valore diverso. Consideratele, dice l’apostolo, una prova della vostra fede. Queste prove contribuiranno a raffinare (7b), valorizzare la vostra fede (bene prezioso), a renderla matura ed a contribuire alla gloria del Signore Gesù.
L’apostolo Paolo, considerando le sue prove in questa prospettiva, scriveva: “siamo... come castigati, ma pure non messi a morte; come contristati, eppure sempre allegri; come poveri eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo tutto” (2 Corinzi 6:9,10).
Pur non avendolo visto...
Animato dallo spirito della risurrezione il cristiano è chiamato ad operare fra le difficoltà di questo mondo con vigore, speranza, certezza, gioia e serenità, guardando avanti al certo compimento delle promesse di Dio. Vivendo in questo modo diventerà sorprendente per molti che ci osservano dicendo: Voi dite di seguire Cristo: “pur non avendolo visto, voi amate e, credendo in lui anche se ora non lo vedete, voi esultate di una gioia ineffabile e gloriosa” (8): com’è possibile?
Davanti allo scettico Tommaso, Gesù risorto aveva detto: “Perché mi hai visto Tommaso, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Giovanni 20:29). Si, noi amiamo il Signore Gesù per quanto ha compiuto e compie per noi, pur non avendolo visto con occhi fisici. Ci è stato fatto conoscere attraverso la predicazione dell’Evangelo, Lo abbiamo ricevuto ed abbracciato; Lo abbiamo fatto oggetto del nostro amore dopo aver compreso quanto grande fosse stato il Suo amore per noi. Lo abbiamo amato per l’eccellenza delle Sue perfezioni; per la pienezza di grazia che era in Lui; per ciò che ha compiuto per noi e per noi è stato; per il Suo ministero continuo in nostro favore; Lo amiamo più di ogni altra cosa o persona, con tutto il cuore e sinceramente; su Lui ci appoggiamo come nostro Salvatore e Redentore, da Lui tutto aspettandoci ed investendo in Lui ogni cosa.
“Lontano dagli occhi: lontano dal cuore”? No, l’amore che è nato in noi è spirituale: lo vediamo con gli occhi della fede e ciò che ha cominciato a compiere in noi sarà completato un giorno al Suo ritorno.
Conclusione
Abbiamo così udito e forse anche noi detto: “Sono scoraggiato... sto perdendo ogni motivazione... chi me lo fa fare... non ne vale la pena...”. se questo è il caso, siamo chiamati a riscoprire e a vivere lo spirito della risurrezione, a riscoprire la potente efficacia del Risorto nella nostra vita. Allora vivremo non con una pia e ingannevole speranza, ma con una speranza viva e producente.
Questo dono si accompagna alla rigenerazione, è risultato dell’opera del Cristo vivente, la Sua persona, sacrificio, giustizia. Essa non è la speranza di un peccatore spiritualmente morto, di un ipocrita senza vita, di un cristiano solo di nome che ha nome di vivere ma che invece è morto, ma di un credente vivente, qualcuno che davvero sia stato vivificato dallo spirito di Cristo. In noi questa speranza sarà vivente esercizio, qualcosa di durevole e che giammai perderemo. Il Signore, attraverso il Suo Evangelo, ci rigenera e ci permette di “rialzare la testa” e di tenere in ogni circostanza della nostra vita, il nostro sguardo, il nostro interesse ultimo, ben fisso a ciò che Cristo ha compiuto, compie e compirà.
Paolo Castellina, 23 aprile 2017, riproposizione della predicazione del 6 aprile 1997.