Esodo 32

Il potere dell’intercessione

Presentazione. Impareremo mai a rivolgerci in preghiera a Dio come si conviene? “Insegnaci a pregare” è la richiesta dei discepoli di Gesù che guardavano l’intensa vita di preghiera del loro Maestro. Lasciamo stare per un attimo coloro che non hanno alcun rapporto con Dio, anzi, lo escludono dalla loro vita. Noi, però, che Cristo ci ha guadagnato un rapporto personale con Dio Padre, spesso non siamo all’altezza delle potenzialità della preghiera, che è uno dei modi attraverso i quali Dio opera. Oggi consideriamo l’esempio di Mosè che intercede, prega in favore di Israele in un momento in cui nemmeno esso lo meriterebbe, perché era degenerato nell’idolatria. Che cosa impariamo da Esodo 32?

La preghiera

Al centro della nostra attenzione quest’oggi c’è l’importanza ed il privilegio della preghiera, ed in modo particolare della preghiera di intercessione.

La preghiera: ecco una parola che dovrebbe essere dolce e desiderabile per il cristiano che, non solo ha ricevuto in Cristo la stupefacente possibilità di essere riconciliato ed in pace con Dio, ma pure il privilegio di considerarlo Padre e di potersi rivolgere a Lui con fiducia in un dialogo personale che proviene dal cuore. La dimora di Dio a volte ci sembra così lontana da noi: in realtà essa è solo "a distanza di voce". Se la lettura e la meditazione della Parola scritta di Dio potrebbe essere definita come "l’occhio attraverso il quale noi vediamo Dio", la preghiera potrebbe altresì essere considerata come "le ali con le quali la nostra anima vola in cielo" (Ambrogio).

La preghiera però non è solo il cuore del credente che si avvicina a Dio, in privato come in pubblico, per goderne la comunione e la provvidente cura, ma pure uno dei modi, e non secondari, per mostrare a Lui il nostro interesse specifico per il bene di altre creature umane, affinché per loro Egli intervenga. Qualcuno ha osservato come "E’ cosa grande parlare agli uomini per Dio, ma è cosa ancora più grande parlare a Dio per gli uomini" (E. M. Bounds). Intercedere significa "farsi da mediatore fra una persona e l’altra": la preghiera di intercessione significa presentare noi a Dio il caso di un’altra persona affinché per essa Egli operi in suo favore.

Il testo biblico

Nella Bibbia troviamo molti esempi istruttivi di preghiera di intercessione. Fra questi vorrei oggi citare l’intercessione operata da Mosè in favore del popolo di Israele, popolo che, nel caso considerato, meritava il severo giudizio da parte di Dio. Leggiamone il testo come riportato del libro dell’Esodo:

"Il SIGNORE disse a Mosè: "Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, l'hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"". Il SIGNORE disse ancora a Mosè: "Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Dunque, lascia che la mia ira s'infiammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione". Allora Mosè supplicò il SIGNORE, il suo Dio, e disse: "Perché, o SIGNORE, la tua ira s'infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!" Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre". E il SIGNORE si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo (Esodo 32).

Il contesto

A quale punto dell’esperienza storica di Israele questo testo fa riferimento? Siamo presso il monte Sinai, Mosè si assenta per salire sul monte e ricevere da Dio la rivelazione della Sua Legge in favore del Suo popolo. Passa parecchio tempo. Il popolo di Dio, che vede assentarsi per più di un mese il loro leader, si sente abbandonato e così commette un atto di idolatria prendendosi come dio e rendendo culto all’immagine fusa in oro di un vitello che si fanno fare da Aaronne (1-6).

Sono stanchi di aspettare. Si vedono privati del loro "canale di comunicazione" con Dio, di cui non hanno esperienza diretta (Mosè è l’uomo che parla "a tu per tu" con Dio) e si sentono allo sbaraglio. Hanno bisogno di una "divinità protettrice" immediatamente loro accessibile, di qualcosa che infonda loro sicurezza, quella che un tempo ricevevano dalla presenza e dalle parole rassicuranti di Mosè. Si rammentano così delle "sicurezze" che avevano gli egiziani e ne seguono l’esempio facendosi un idolo "che cammini davanti a loro". Mosè evidentemente è all’oscuro di questa situazione e così Dio ne informa Mosè minacciando il severo castigo della distruzione del popolo (7-10). Così Mosè intercede per loro in preghiera, chiedendo a Dio che Egli non disperda il popolo (11-13), e Dio "si pente del male che aveva detto di fare" (14). Esaminiamo così con attenzione questo testo traendone anche per noi le lezioni.

Gli elementi della situazione

A. Alienazione. "Il SIGNORE disse a Mosè: "Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto" (7). Notate le parole del Signore. Egli parla e riferisce a Mosè ciò che riguarda "il tuo" popolo", quello che "tu", Mosè, hai fatto uscire dall’Egitto. Dio è come se ora prendesse le distanze dal popolo di Israele, lo ripudiasse. Perché? "si è tirato addosso una rovina, ha agito rovinosamente, si è messo nei guai", in modo specifico si è pregiudicato ciò che aveva acquisito, ha commesso qualcosa di grave e di vergognoso che va a sua e Mia vergogna, dice il Signore.

Il peccato, e il peccato più grave, cioè l’alienazione umana da Dio ha il potere di corrompere radicalmente l’essere umano e di allontanarlo da ciò che era destinato ad essere. Coloro che corrompono loro stessi non solo fanno vergogna a loro stessi, ma fanno sì che persino Dio si vergogni di loro e della Sua disponibilità verso di loro. E’ la condizione umana, forse la tua condizione: sei nel fango, fai disonore a Dio ed a te stesso. Dio "si vergogna" di avere una creatura come te che pure era destinata alla gloria .

La descrizione che Dio fa della condizione del popolo è precisa ed impietosa:

B. La gloria di Dio ad altri. "Si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, l'hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"" (8).

"Hanno lasciato la via loro mostrata, hanno smesso di seguirmi, si sono distanziati da me, mi hanno voltato le spalle, mi hanno tradito". L’onore e la gloria dovuta al Dio vero e vivente è venuta meno nel loro cuore ed hanno elevato a loro presunto protettore e liberatore un simulacro menzognero! Hanno dato ad altri la gloria che spetta all’unico vero e vivente Iddio. Mancare di dare gloria a Dio è nella Bibbia forse il peccato più grave che esista.

Il peccato potrebbe pure essere descritto come lo sviarsi dalla retta via per incamminarsi su una falsa scorciatoia. Quei peccati che sono celati agli occhi di chi ci governa, sono ben presenti agli occhi di Colui che tutto vede. Quante provocazioni ed insulti contro la Sua santa persona Dio vede ogni giorno, e per i quali, il più delle volte, sta zitto!

C. Ostinazione. "Il SIGNORE disse ancora a Mosè: "Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro" (9). Il giusto Iddio non solo vede ciò che facciamo, ma pure ciò che siamo. "E’ un popolo intrattabile, ostinato, incorreggibile dai miei giudizi, ingovernabile da me o da qualsiasi legge". "Collo duro" nella Bibbia è una metafora per quelle bestie che non intendono piegare la testa per ricevere il giogo o le briglie del loro padrone. Forse qualcuno potrebbe dire di non avere alcuna intenzione di piegare il collo davanti a chicchessia per vedersi imposto un giogo! Proprio qui sta il problema: l’arroganza umana che non intende essere quello che è, una creatura di Dio sopra la quale sta un legittimo Signore a cui si deve obbedienza! Per questo il peccato è considerato dalla Bibbia una colpevole ribellione.

Si tratta però anche della "testa dura" di chi, dopo aver visto le grandi opere del Signore in suo favore, ancora non comprende, oppure dimentica quello che sembrava avere imparato. "Dopo tutto quel che ho fatto per loro, è possibile che ancora non intendano?". La cecità del cuore umano, del nostro cuore, è spesso del tutto sorprendente. Davanti a tutto questo la giustizia di Dio deve fare il suo corso, e così il Signore dice:

D. Una giustizia da eseguire. "Dunque, lascia che la mia ira s'infiammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione"" (11). Si, quasi ad anticipare la reazione di Mosè che - pur scandalizzato dal comportamento del suo popolo - pure sarebbe disposto ad un ennesimo perdono, il Signore dice: "Non cercare di giustificare ora questo popolo, intercedendo per esso, lascia che subiscano il meritato castigo. Li scioglierò come popolo, li disperderò. Da te però, farò uscire un popolo che mi sia fedele. Mosè sarebbe stato non solo risparmiato per la sua fedeltà, ma pure premiato.

La supplica di Mosè

Mosè però osa intervenire ugualmente verso Dio. Preghiera è anche osare. Un puritano ha scritto: "La preghiera è la pistola con la quale spariamo, il nostro fervore il fuoco che fa partire il colpo, e la fede è la pallottola che perfora il trono della grazia" (John Trapp). E’ l’insistenza importuna che Dio gradisce, come dimostra Gesù nella sua famosa parabola. Dio non è sordo alle nostre preghiere, ma vuole che con la nostra perseveranza Egli veda quanto veramente ci sta a cuore ciò che chiediamo.

Mosè sa di essere gradito a Dio e vorrebbe quasi fare appello proprio a questo fatto per intercedere per il suo popolo. Avrebbe potuto già essere soddisfatto della promessa che da Dio per lui stesso aveva ricevuto. Non pensa però a sé stesso. Il popolo ha sbagliato, ma continua ad amarlo. Non è già questo un riflesso dei sentimenti di Dio, sentimenti che pedagogicamente Egli nasconde sotto la Sua apparente inflessibilità? Si, in realtà Dio, pur sembrando dichiarare inutile l’intercessione, la stava di fatto incoraggiando, mostrando quale potere possa avere verso Dio la preghiera della fede. Dio si compiace che si insista verso di Lui in preghiera, dell’umile e fiduciosa importunità degli intercessori. Qual è la preghiera di Mosè?

A. Caratteristiche della preghiera di Mosè. "Allora Mosè supplicò il SIGNORE, il suo Dio, e disse: "Perché, o SIGNORE, la tua ira s'infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte?" (12).

(a) Notate come Dio rimanga il suo Dio "personale". Mosè non aveva perduto il suo interesse per Dio, a differenza di Israele. Non invoca il "Dio di Israele", ma "il suo Dio". Che grande cosa quando per un uomo od una donna Dio diventa - pur nel dovuto rispetto - non un Dio astratto, ma un Dio personale. Dio si compiace di chiamare Mosè "il mio amico".

(b) Notate come Mosè riconosca la giustizia di Dio. Mosè non si lamenta dei giudizi di Dio: ne riconosce la legittimità e la giustizia. Egli non oserebbe criticare Dio. Lo conosce. Mosè comprende che il Signore avrebbe ben ragione di disperdere questo popolo, di eliminarlo come tale, di farlo sciogliere come cera al fuoco, solo vuole che la Sua ira non li consumi totalmente, che gli usi ancora misericordia.

(c) Notate come Mosè si riempia la bocca di "ragioni", non per smuovere un Dio "sordo ed inflessibile", ma per esprimere la propria fede e suscitare in sé maggiore fervore nel pregare. Spesso abbiamo bisogno non di rammentare a Dio, ma di rammentare a noi stessi quale sia la base del perdono che otteniamo da Dio e dell’accettazione della nostra persona da parte Sua: non i nostri meriti, ma la Sua infinita misericordia. Difatti dice: "Se tu li hai liberati nonostante i loro peccati in Egitto, non continueresti ad averne misericordia nel deserto"?

(d) Notate come umilmente "faccia notare" al Signore se un simile gesto da parte Sua sarebbe veramente per il Suo onore e gloria oppure no. La gloria di Dio per Mosè è la cosa più importante, e come egli non dica più "il mio" popolo, ma "il Tuo" popolo, il popolo che Dio ha rivendicato come proprio e riscattato davanti a Faraone e per la cui liberazione ha manifestato così grande potenza. Le opere di Dio sarebbero state frustrate se il giudizio implacabile avesse avuto il suo corso.

B. Il contenuto della preghiera di Mosè. "Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!" Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo" (12).

(a) Incalza Mosè: "Gli egiziani direbbero: Vedi, non ne valeva proprio la pena di fare quello che hai fatto, ti sei dimostrato proprio uno stupido, un illuso, quella gente non è che semplice mano d’opera, priva di dignità e di intelletto. Avevamo ragione noi. Perché prima liberarli e poi sprecarne così l’utilità nel deserto?’. Ne vale la pena, o Signore, di farli ragionare così? Dove andrebbe la Tua onorabilità? Se un popolo così stranamente salvato, avesse dovuto essere improvvisamente rovinato, che cosa direbbe il mondo che ha un tale odio implacabile sia per Israele che per il loro Dio?". Direbbero: "Dio o era debole o non poteva, o era capriccioso tanto da non portare a termine la salvezza che aveva iniziato". E’ la gloria di Dio ad essere posta in questione.

(b) Così Mosè dice: "Pentiti, o Signore, cambia verso di loro la Tua sentenza. Abbi compassione di loro, siine dispiaciuto della loro sorte. Attenua il rigore della sentenza". Forse che Dio si sarebbe dimostrato meno misericordioso di Mosè? No, non certo il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Difatti, Mosè soggiunge:

C. La coerenza con le promesse del Signore. "Ricordati di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre""" (13). Mosè sembra dire: "No, questo popolo non merita nulla se non la condanna, ma salvalo sulla base della fedeltà che Tu, o Signore, hai rispetto alle Tue promesse. Rammentati delle Tue promesse verso Abramo. L’onorabilità di chi mantiene le Sue promesse val più dell’altrui infedeltà". Lo stesso vale per noi: la nostra salvezza non dipende dai nostri meriti, ma sulla fedeltà di Dio e del Suo Cristo alle promesse di grazia da Lui fatte.

Le conseguenze

Ed ecco così l’epilogo, il lieto fine di questa vicenda: "E il SIGNORE si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo" (14).

(a) Mosè altera i piani di Dio? Quale uomo potrebbe mai aspettarsi attraverso la preghiera di far sì che Dio alteri i Suoi decreti? Quale uomo, per quanto santo, potrebbe avere un simile potere? No, Mosè non aveva alterato i propositi eterni di Dio, ma questa esperienza sarebbe stata per lui e per noi sommamente pedagogica. Attraverso di essa avrebbe compreso meglio sia Dio, sia la creatura umana, sia ciò che Dio ci chiede come membri del Suo popolo.

(b) La funzione del mediatore. Dio ha determinato di mostrare in ogni tempo la Sua grazia verso i peccatori, ma Egli manifesta la Sua grazia solo attraverso l’umiltà della preghiera. Ora, quando Israele stesso trascura di pregare per il perdono di Dio verso i propri misfatti, è Mosè si pone nella posizione del peccatore. Non appena lo fa, egli ottiene il perdono di Dio per tutti loro. Non è anche questa un’immagine del Mediatore per eccellenza, il Signore Gesù Cristo, che si frappone fra noi peccatori condannati e la giusta esecuzione della nostra sentenza, prendendo su di Sé il compito non solo di intercessore, ma anche di Colui che espia per noi la sentenza che noi meritiamo? Egli, il giusto per gli ingiusti?

(c) La grazia non è impunità. Qui c’è un ultima importante cosa da osservare. Mosè prega per la grazia, ma la grazia non implica impunità, e Mosè stesso è cosciente che la nazione deve espiare il suo peccato, anche quando non riceve secondo i suoi peccati. Dice un Salmo: "Tu li esaudisti, Signore, Dio nostro! Fosti per loro un Dio clemente, pur castigandoli per le loro cattive azioni" (Sl. 99:8). Come tale il popolo di Dio sarebbe stato risparmiato, ma una parte d’esso avrebbe pure pagato lo scotto. Dio avrebbe tagliato via dal suo popolo un centinaio di persone, fra i diretti responsabili del peccato del popolo, agendo come il chirurgo che toglie via la parte incancrenita per evitare che la cancrena si diffonda ulteriormente e salvare così il corpo. E’ doloroso, ma è per la salvezza dei più.

Conclusione

Già, che cos’è che la preghiera non possa fare - umile, fiduciosa, fervente, perseverante? Che cos’è che non possa fare la preghiera di intercessione? Essa apre i tesori nascosti nel cuore paterno di Dio, e chiude le cataratte dei Suoi giudizi penali; porta benedizioni sulle teste già aggravate della maledizione del peccato. La preghiera non ha perso il suo potere, sebbene la bocca di colui che la pronuncia certo non è degna.

La stessa storia biblica è colma di illustrazioni della verità che Dio desidera essere supplicato, non solo dal suo popolo, ma per il suo popolo, affinché ne abbia pietà.

Che cosa trattiene la scure del persecutore dal tagliare la testa di Pietro, quando già essa era caduta su quella di Giacomo? E’ la comunità dei credenti che prega affinché Pietro non cada. Chi deve ringraziare la chiesa cristiana per il suo grande maestro Agostino? Le preghiere di Monica, sua madre, perché un figlio per il quale aveva versato così tante lacrime non poteva possibilmente andare perduto. Se desideri la salvezza di tuo fratello e la tua, persevera nella preghiera! Ecco l’importante messaggio che ci proviene dal testo biblico di oggi, che è Parola di Dio.

Qualcuno ha scritto: "Facciamo in modo che le nostre preghiere non muoiano proprio quando vive l’Intercessore", ed ancora: "La preghiera, così come viene dal credente è debole e languente; quando però la freccia della preghiera del credente è posta nell’arco dell’intercessione di Cristo, essa perfora il trono della grazia" (Thomas Watson).

Paolo Castellina, riproposizione della predicazione del 12 maggio 1996-