Salmo 48

Cantare con fierezza le lodi di Dio

Sintesi. Un tesoro inestimabile di tutto il popolo di Dio, antico e moderno, è il canto dei Salmi, le composizioni che Dio stesso ha ispirato per guidarlo nella preghiera e nel culto e per radicare nel suo cuore le verità rivelate. Celebrare, però, la grandezza del Dio vero e vivente è spesso fonte di imbarazzo in un modo che pure canta i suoi cori di sfida verso Dio, esaltando sé stesso ed i suoi idoli bugiardi. Non importa, però, continueremo a farlo, lasciando pure che dicano quel che vogliono perché “sappiamo in chi abbiamo creduto”. Il Salmo 48, che è al centro della nostra attenzione questa domenica ci accompagnerà non solo nel culto, ma anche a confermare chi sia Colui che abbiamo imparato a conoscere come nostro Padre e Salvatore in Cristo, ma anche come invincibile esecutore del giusto Suo giudizio.

Cantare le lodi di Dio: oggi un problema?

Quest’oggi ci uniamo con gioia all’antico popolo di Israele per cantare la nostra lode e il nostro ringraziamento a Dio per l grandezza del Suo amore e della Sua giustizia, attraverso l’appello che ci rivolge il Salmo 48 sulle cui parole pure rifletteremo. A questo appello i figlioli di Dio di ogni tempo e paese rispondono con la forza della loro persuasione di fede e della loro esperienza: “Sì, Egli ne è degno, «Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l'onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen».

Cantare le lodi di Dio in un’epoca come la nostra è decisamente difficile e persino, a volte, imbarazzante, non perché Dio, il Dio vero e vivente non ne sia degno (anzi, ci mancherebbe!) ma perché oggi si ascoltano oggi ben altri “cori”. Sono i cori di chi, a gran voce, Lo nega, Lo insulta, Lo bestemmia e Lo diffama. E sono pure i cori di chi, in nome di una divinità che chiamano Dio (ma il mondo non sa o non vuole distinguere fra il Dio vero e i falsi dei), grida “Dio è grande” sgozzando e massacrando senza alcuno scrupolo e credendo, così facendo, di rendere un culto a Dio. Queste grida diventano così pure un pretesto a molti per non cercare il Dio vero e vivente. Anche senza andare a questi estremi, che dire, poi, dei “cori” di chi canta le lodi del dio di propria invenzione, compiacente e tollerante dei loro desideri e fondamentalmente al loro stesso servizio? Non si tratta altro che di un pretesto, di una “mentita spoglia” per cantare le lodi dell’essere umano stesso, cosa che, ben più onestamente, altri fanno in modo esplicito.

Liberiamoci, allora, se possibile, dall’ambiente tossico del mondo in cui viviamo per scoprire, attraverso le lodi dell’antico popolo di Israele il vero volto e la grandezza del Dio vero e vivente che si rivela loro attraverso sia le Sacre Scritture e che la loro esperienza storica.

Il Dio che si rivela in Sion

Il Salmo 48, chiamato “Il canto di Sion”, celebra la grandezza e la gloria della dimora del Signore Iddio, il luogo, la città, dove Dio ha scelto di risiedere. La Sua presenza nella città la eleva al di sopra di ogni altra e le assicura la sicurezza. Questa “città” è prefigurata in Gerusalemme, che era sicura e gloriosa perché Dio l’ha benedetta con il Suo favore.

(1) Canto. Salmo dei figli di Core. Grande è il SIGNORE e degno di lode nella città del nostro Dio, sul suo monte santo. (2) Bello si erge, e rallegra tutta la terra, il monte Sion: parte estrema del settentrione, città del gran re. (3) Nei suoi palazzi Dio è conosciuto come fortezza inespugnabile. (4) Quando i re si erano alleati, e avanzavano uniti, (5) appena la videro rimasero attoniti e, smarriti, si misero in fuga. (6) Là furono presi da tremore e da doglie come di donna che partorisce, (7) come quando il vento orientale spezza le navi di Tarsis. (8) Quel che avevamo udito l'abbiamo visto nella città del SIGNORE degli eserciti, nella città del nostro Dio. Dio la renderà stabile per sempre. [Pausa] (9) Dentro il tuo tempio, o Dio, noi ricordiamo la tua bontà. (10) Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode giunge fino alle estremità della terra; la tua destra è piena di giustizia. (11) Si rallegri il monte Sion, esultino le figlie di Giuda per i tuoi giudizi! (12) Fate il giro di Sion, marciatele attorno, contate le sue torri, (13) osservate le sue mura, considerate i suoi palazzi, perché possiate dire alla generazione futura: (14) «Questo è Dio, il nostro Dio in eterno; egli sarà la nostra guida fino alla morte» (Salmo 48). [Vedi/senti qui la musica del Salmo 48 dal Salterio Ginevrino]

Il canto di un popolo non sedotto da ingannevoli apparenze

(1) “Canto. Salmo dei figli di Core. Grande è il SIGNORE e degno di lode nella città del nostro Dio, sul suo monte santo. Bello si erge, e rallegra tutta la terra, il monte Sion: parte estrema del settentrione, città del gran re” (1,2).

Nella mitologia di molti popoli antichi, le divinità abitano e regnano dall’alto del monte più alto della loro regione. Soprattutto quando quel monte era circondato (e quindi nascosto) costantemente da nuvole, i fulmini che ne uscivano ed il rumore dei tuoni che minacciosi se ne sentivano, per questi popoli testimoniavano della loro presenza ed attività. Simile a questo e famoso nella nostra cultura è il monte Olimpo, in Grecia, considerato dimora degli déi.

La città di Gerusalemme, benché sia posta più in alto rispetto al territorio che la circonda, non appariva certamente a nessuno come un monte imponente che incutesse rispetto e magari terrore, tutt’altro. Il re Davide certo l’aveva scelta come adatta fortezza per la sua dimora e capitale del regno, ma vi erano altri luoghi più appariscenti. A Gerusalemme i fedeli vi salivano per onorarvi il Signore Iddio nel tempio con preghiere e sacrifici.

Altre ed imponenti erano le cime della regione come il monte Zafon, citato proprio nel versetto 2 di questo salmo, ma che non risulta nelle nostre versioni della Bibbia. Quel che è, infatti, tradotto “parte estrema del settentrione” può e dovrebbe tradotto: “Il Monte Sion assomiglia ai picchi di Zafon”. “Zafon” può essere “il nord” in senso generale, ma qui si riferisce ad un monte specifico, localizzato nei pressi dell’antica Ugarit e considerato come il monte su cui si riunivano gli dèi. “Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell'assemblea nella parte estrema del settentrione” (Isaia 14:13). Alludendo in questo modo alla mitologia cananea, dove dicevano regnare il dio El e la sua corte, il Salmo afferma che il Monte Sion, e nessun altro, è il vero monte di Dio, il luogo dove Egli vive e regna. Il mondo considererebbe questo come un’assurda pretesa nazionalista, ma non dobbiamo aver timore di contraddire la sapienza di questo mondo dicendo le cose come stanno, che gli piacciano oppure meno, così com’è importante dire senza timore: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12).

Il nostro Salmo, così, riprende le immagini di queste credenze e polemicamente denuncia la falsità di quegli déi concentrando piuttosto l’attenzione al fatto che Dio, il Dio unico, il Dio vero e vivente, avesse scelto di dimorare, di manifestare la Sua gloria e di regnare a Gerusalemme, capitale del regno di Israele e, in particolare, sul suo punto più alto, denominato Sion. Era là dove il re Davide aveva stabilto la sua cittadella fortificata. Dio è indubbiamente un Dio che “discrimina”, sceglie ed elegge. Quando lo fa Egli è sempre giusto ed ha dei buoni motivi per farlo, anche se non sempre ritiene di farceli conoscere.

Indubbiamente Dio, con le Sue benedizioni, era con Davide, il Suo eletto, e si manifestava in lui ed attraverso di lui soprattutto come Sovrano del Suo popolo chiamato a servirlo.

Con gli occhi della fede e sulla base della propria esperienza, così, il popolo di Dio non guarda all’apparenza, di un monte, perché l’apparenza inganna. Di fatto sono molti, ieri ed oggi, coloro che vengono ingannati dalle apparenze. Come dice la Scrittura quando aveva scelto Davide come re, che era molto meno appariscente dei suoi fratelli che pure si credevano candidati: “Ma il SIGNORE disse a Samuele: «Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché io l'ho scartato; infatti il SIGNORE non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell'uomo: l'uomo guarda all'apparenza, ma il SIGNORE guarda al cuore»” (1 Samuele 16:7).

È così proprio a quel particolare “monte”, il monte Sion, rappresentato da Gerusalemme, al quale, dice il nostro Salmo, affluirà gente di tutta la terra e se ne rallegrerà. Altra inconcepibile pretesa? No, è quanto le profezie dell’Antico Testamento annunciano e si realizza in Cristo: gente di ogni tempo e paese non si lascia sedurre dalle apparenze, dalla “grandezza” di pretese e miracoli, ma giunge al Dio vero e vivente, apprezzandone la magnificenza e con canti di lode e di adorazione. È questo il Dio che il popolo di Dio esalta con il suo canto.

Perché possiamo cantare che Dio è per noi fortezza inespugnabile

“Nei suoi palazzi Dio è conosciuto come fortezza inespugnabile. Quando i re si erano alleati, e avanzavano uniti, appena la videro rimasero attoniti e, smarriti, si misero in fuga. Là furono presi da tremore e da doglie come di donna che partorisce, come quando il vento orientale spezza le navi di Tarsis. Quel che avevamo udito l'abbiamo visto nella città del SIGNORE degli eserciti, nella città del nostro Dio. Dio la renderà stabile per sempre. [Pausa] (3-7).

La rocca di Sion aveva resistito a molti avversari e questo testimoniava al popolo la veracità delle promesse di Dio verso il Suo popolo. Quella rocca e la stessa città di Gerusalemme, però, a suo tempo sarebbe caduta nelle mani di popoli invasori che pure l’avrebbero distrutta deportandone la popolazione.

Si trattava così forse di una promessa fallace? No, non doveva essere quel luogo fisico l’oggetto della fiducia del popolo di Dio, ma Colui che essa rappresentava. Quella città e pure il tempio di Dio che vi era edificato sarebbe stata distrutta a causa dell’infedeltà e della disubbidienza del popolo e dei suoi capi che non avrebbero prestato ascolto alla Parola che Dio rivolgeva loro attraverso i profeti. Ascoltate come il profeta Geremia dica loro: "Così parla il SIGNORE degli eserciti, Dio d'Israele: Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole false, dicendo: 'Questo è il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE!'. Ma se cambiate veramente le vostre vie e le vostre opere, se praticate sul serio la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo, e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io allora vi farò abitare in questo luogo, nel paese che allora diedi ai vostri padri per sempre. Ecco, voi mettete la vostra fiducia in parole false, che non giovano a nulla" (Geremia 7:3-8).

Lo stesso era accaduto con Gesù ed i Suoi dicepoli: “Mentre egli usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che edifici!» Gesù gli disse: «Vedi questi grandi edifici? Non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata” (Matteo 13:1-2).

Si trattava forse di una promessa condizionale? Anche in questo caso la risposta è No. Attraverso la sua disubbidienza il popolo di Dio avrebbe perduto le sue benedizioni terrene ed anche generazioni di suoi figli. Un giorno però, Gerusalemme sarebbe stata ricostruita ed un’altra generazione del popolo di Dio vi avrebbe abitato. È Dio, infatti, la “fortezza inespugnabile” e non un luogo fisico. Dio avrebbe fedelmente portato a compimento tutti i Suoi propositi nonostante tutta la forza e l’arroganza dei Suoi nemici che, davanti a Lui, sono costretti a fuggire “con la coda fra le gambe” e nonostante l’infedeltà stessa del Suo popolo. L’Apostolo scrive: “Che vuol dire infatti se alcuni sono stati increduli? La loro incredulità annullerà la fedeltà di Dio? No di certo! Anzi, sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo, com'è scritto: «Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato»” (Romani 3:3).

La sconfitta di Gesù è la Sua vittoria. Quando il Signore Gesù Cristo, Dio con noi, prende poi su di sé sulla croce il peccato del Suo popolo, di coloro che Gli appartengono, per espiarlo, Egli viene attaccato, battuto, e ucciso inchiodato su una croce, ma dopo tre giorni sarebbe risorto. Così predica l’apostolo Pietro: "Uomini d'Israele, ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra di voi mediante opere potenti, prodigi e segni che Dio fece per mezzo di lui, tra di voi, come voi stessi ben sapete, quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò, avendolo sciolto dagli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto. Infatti Davide dice di lui: Io ho avuto il Signore continuamente davanti agli occhi, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso. Per questo si è rallegrato il mio cuore, la mia lingua ha giubilato e anche la mia carne riposerà nella speranza; perché tu non lascerai l'anima mia nell'Ades, e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione. Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita. Tu mi riempirai di gioia con la tua presenza" (Atti 2:22-28).

Dio è per noi una rocca inespugnabile perché la nostra salvezza è Sua opera. Se la nostra eterna salvezza dipendesse anche solo in parte da noi, noi non avremmo alcuna speranza di essere salvati. Nella lotta contro la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita ne risulteremo ben presto sconfitti. Siamo però salvati da Dio per grazia attraverso l’opera di Cristo che viene efficacemente applicata alla nostra vita di eletti dallo Spirito Santo. Nessuno di noi si potrebbe mai meritare quella salvezza attraverso opere di qualsiasi genere.

La salvezza è per grazia, e non per opere, ma non ci proviene neanche attraverso la nostra fede. Ma come? Direbbe qualcuno. La Scrittura, però, non ci parla della fede come se dipendesse da noi, dai nostri sforzi. Allora sarebbe anch’essa una sorta di “opera meritoria”! La realtà è che, se la salvezza dipendesse dalla nostra fede (ammesso che noi la potessimo davvero generare) essa non resisterebbe mai fino alla fine o non sarebbe mai sufficiente.

A questo riguardo c’è un problema di traduzione in molte versioni della Bibbia, quando ci parla della “fede che salva” e che danno adito a molti popolari equivoci. La “fede che salva” è solo la fede di Cristo, quella stessa che lo ha portato a fare ciò che ha fatto, vale a dire la Sua fedeltà aio propositi di Dio Padre. Il noto brano "...sappiamo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; perché dalle opere della legge nessuno sarà giustificato" (Galati 2:15:16). dovrebbe infatti essere piuttosto tradotto: "sappiamo che nessuno è giustificato per le opere della legge, ma soltanto per la fedeltà di Gesù Cristo. E siamo giunti a credere in Cristo Gesù, affinché noi potessimo essere giustificati dalla fedeltà di Cristo e non attraverso le opere della legge, perché dalle opere della legge nessuno sarà giustificato". Così acquista una chiarezza nuova, non è vero?

Allo stesso modo l’altro versetto famoso: "Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti" (Efesini 2:8). Ciò che “non viene da noi” non è solo la grazia, ma anche la fede: quella di Cristo, che ci viene così accreditata per la nostra giustificazione.

Possiamo perciò ben cantare che Dio è per noi una roccia inespugnabile perché, come dice la Scrittura: “Deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d'animo” (Ebrei 12:1-3). Se si parla poi di roccia e di pietra:

Gesù è sia pietra di salvezza che di inciampo. Dio è per noi una roccia inespugnabile perché la stessa “pietra” che ci salva, cioè Gesù, diventa per i Suoi avversari pure qualcosa di spaventoso che li schiaccia. Scrive l’apostolo Pietro, notando proprio la duplice funzione di Cristo: “Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chiunque crede in essa non resterà confuso». Per voi dunque che credete essa è preziosa; ma per gli increduli «la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, pietra d'inciampo e sasso di ostacolo». Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella parola; e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia” (1 Pietro 2:4-10).

Si tratta di affermazioni verificabili tutti i giorni anche oggi. L’Evangelo stesso non è, infatti, soltanto rivelazione dell’amore di Dio verso coloro che Egli ha eletto a salvezza, ma anche rivelazione dell’ira di Dio verso i reprobi.

Il luogo dove incontriamo in nostro Dio

“Dentro il tuo tempio, o Dio, noi ricordiamo la tua bontà. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode giunge fino alle estremità della terra; la tua destra è piena di giustizia. Si rallegri il monte Sion, esultino le figlie di Giuda per i tuoi giudizi! Fate il giro di Sion, marciatele attorno, contate le sue torri, osservate le sue mura, considerate i suoi palazzi, perché possiate dire alla generazione futura: «Questo è Dio, il nostro Dio in eterno; egli sarà la nostra guida fino alla morte»” (9-14).


Il popolo di Dio si ritrova così insieme nel tempio per celebrare il Dio della sua salvezza. Il tempio, in questo caso, è il luogo dell’incontro, dell’assemblea.

Nell’assemblea esso loda il Signore cantando i Suoi salmi ispirati, “si ricorda” della bontà del Signore nell’atto stupefacente della misericordia che Egli ha loro manifestato in Cristo. Essa risuona nella lettura della Sua Parola e nella predicazione. La giustizia, infatti, è quella che Dio ha realizzato in Cristo, la giustizia che nessuno di noi aveva e che mai avrebbe potuto conseguire, la giustizia che Dio ci accredita dopo averci portato al ravvedimento ed alla fede.

Questi versetti ci parlano indubbiamente anche della responsabilità che abbiamo di evangelizzare, cioè di far conoscere agli altri, cioè, ed alle generazioni future tutta l’ampiezza dei propositi rivelati di Dio nelle Sacre Scritture come regola della nostra fede e della nostra condotta, ...mura, palazzi, torri, “tutto il consiglio di Dio”: “Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà, e con lacrime, tra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei; e come non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case, e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo” (Atti 20:19-21).

Possiamo allora ben dire: «Questo è Dio, il nostro Dio in eterno; egli sarà la nostra guida fino alla morte». Qual è dunque il nostro Dio? Non un Dio astratto e lontano, ma un Dio che “dimora” con noi. Dov’è che il nostro Dio dimora? Sia il re Davide che il monte Sion, sua dimora, prefigura nella Bibbia la Persona e l’opera del Cristo, il Figlio di Dio, l’Eletto, il solo ed unico “luogo” dove si manifesta la presenza di Dio fra di noi, e ne diventa immagine.

Rammentate la domanda che una donna samaritana rivolge a Gesù e la Sua risposta: “I nostri padri hanno adorato su questo monte, e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove si deve adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi: l'ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre ”(Giovanni 4:21-22). Il messaggio cristiano proclama che Dio è venuto a dimorare in Gesù Cristo: “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:14). È ciò che Gesù afferma esplicitamente: “Non credi che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso. Il Padre che dimora in me è colui che fa le opere” (Giovanni 14:10). Il Nuovo Testamento proclama: “Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza” (Colossesi 1:19).

È così che il Salmo 48, come pure gli altri che ne riprendono il tema, diventa salmo messianico, prefigurazione della Persona ed opera del Messia, del Cristo di Dio, che confessiamo essere in modo unico ed irripetibile, Gesù di Nazareth. Il Salmo ne canta e ne proclama la gloria. diventando così messaggio sempre attuale.

Conclusione

Il popolo di Dio, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, si rallegra così di cantare, durante il culto che rende al Dio vero e vivente, il Dio della sua salvezza, questo Salmo. Attraverso di esso, come attraverso tutti gli altri Salmi, traspare il volto del Cristo.

Grande, grande, davvero grande è il Dio vero e vivente che nulla a a che fare con i Suoi presunti concorrenti, gli déi nelle nazioni che non sono che idoli e brutte copie di quello autentico. Tutti i Suoi meravigliosi attributi: la Sua santità, Sua giustizia, il Suo amore e tutti gli altri, si manifestano “localmente” nelle Scritture e nelle esperienze storiche del popolo di Israele, quello da cui nasce il Salvatore del mondo, Gesù Cristo.

Egli è “una fortezza inespugnabile” perché realizza tutti i Suoi propositi nella salvezza per grazia dei Suoi eletti e nel giusto castigo dell’umanità reproba che fiera della sua “autonomia” cerca in modo vano e persino patetico di opporsi agli eterni propositi di Dio.

L’appello del Salmo è dunque rivolto al popolo fedele di Dio di “salire” con fiducia alla sua presenza, nel nome di Cristo, per presentargli un vivo e gioioso rendimento di grazie per tutto ciò che ha fatto per loro, per magnificare le Sue gesta e per farle conoscere. È una responsabilità ed un privilegio che il popolo di Dio può fare “che il mondo dica quel che vuole”, sicuro in chi ha creduto, per la salvezza ed il giudizio di questo mondo.

Paolo Castellina, 4 luglio 2015

Questa stessa predicazione con note (che qui mancano)