Matteo 10:24-39

Non deve rimanere una questione privata

Sintesi: Le conclamate esigenze contemporanee della “pace religiosa” raccomandano, anzi, impongono, che l’espressione della fede cristiana rimanga “un fatto privato”, qualcosa che “non offenda”, non sfidi, non disturbi, anzi favorisca la concordia (quella che conviene al regime). Il fatto è che l’Evangelo di Cristo (quello autentico) va “proclamato dai tetti”, in pubblico, per sfidare, denunciare, e anche offendere e dividere, costi quel che costi. È quanto ci insegna Gesù nel testo biblico di questa Domenica: Matteo 10:24-39.

Quando ci vogliono “in privato”

Il laicismo esige che “la religione” rimanga “una credenza privata” da tenersi per sé stessi e il culto religioso qualcosa che deve avvenire “a porte chiuse”, senza darne alcuna pubblicità. L’idea è che “la sfera pubblica” debba essere mantenuta “neutrale” e che non si debba disturbare o “offendere” chi ha credenze diverse. Il laicismo chiama questo “pace religiosa”.

Può sembrare un’idea lodevole, di fatto, però, questa “pace religiosa” viene imposta attraverso la sottomissione forzata della società all’ideologia laicista, che, presentandosi ingannevolmente come neutrale, è di fatto totalizzante. Essa stessa, infatti, è una fede che che non tollera concorrenti, o meglio, che i concorrenti “li tollera” nella misura in cui, rimanendo appunto “nel privato”, “nel chiuso”, non la mettano in questione. In questo il laicismo si comporta esattamente come altre ideologie totalitarie, come il comunismo o il fascismo, che non ammetteva espressioni pubbliche di fedi alternative (sia politiche che religiose). Di fatto, le manifestazioni pubbliche e “dimostrazioni” che sostengono i principi graditi al regime, o quelle che fanno loro comodo, le sostiene con entusiasmo, mentre le manifestazioni pubbliche di tipo diverso sono a malapena tollerate, scoraggiate o fortemente controllate. In questo senso, manifestazioni cristiane come evangelizzazioni, processioni, dimostrazioni del tipo delle “Sentinelle in piedi”, e persino il suono delle campane o il simbolo pubblico di una croce sono oggi nella “società laica” sempre di più cose sgradite e ostacolate. È né più né meno che la “logica” di qualsiasi potere totalitario. chiaramente attuato in regimi post-comunisti come la Cina o la Corea del Nord, oppure nei paesi islamici, dove ogni religione concorrente viene fortemente limitata, “assoggettata” e violentemente perseguitata “se non sta alle regole”, le regole che le hanno imposto.

Questa stessa “logica” era ben nota del primi secoli del cristianesimo, dove prevaleva il regime e l’ideologia dell’impero romano che imponeva quella che chiamava “pax romana”, garantita da un regime totalitario e violento che non aveva scrupoli quando si trattava di proteggere sé stesso, a schiacciare ogni avversario. In un simile contesto, qual era, e qual è l’insegnamento del Signore Gesù a questo riguardo per i suoi seguaci? Forse il neutralismo, il piegare umilmente la testa di fronte al potere del regime esistente, accettare di chiudersi nel privato? No, l’opposto: il genuino insegnamento evangelico prevede l’aperta sfida dei regimi oppressivi e idolatri di questo mondo, l’andare apertamente “nel pubblico”, combattendo i regimi oppressivi certo con strategie non-violente, ma in modo determinato e senza lasciarsi da intimidire o peggio sottomettere. Il fatto stesso che Gesù preveda la persecuzione del suo movimento come un fatto inevitabile indica come il movimento cristiano sia “interventista” e rifiuti di chiudersi nel privato. La fede cristiana è necessariamente contrapposizione, polemica ed espresso elemento di divisione nella società. Di fatto, il neutralismo e il piegare la testa di fronte al potere, o peggio farne eco compiacente, non genera certo persecuzione, ma “pace” e quella pace non è quella che promuove Gesù!

Le istruzioni di Gesù: avvertimento e discernimento

Ascoltate che cosa insegna Gesù stesso nel testo biblico proposto questa settimana alla nostra attenzione: Matteo 10:24-39:

“Un discepolo non è superiore al maestro, né un servo superiore al suo signore. Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua! Non li temete dunque; perché non c'è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all'orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Matteo 10:24-39).

Il capitolo 10 di Matteo, da cui è tratto questo brano, contiene le istruzioni di Gesù sulla missione cristiana. Egli mette in evidenza come essa debba essere l’esplicita ed aperta proclamazione del Regno di Dio, sia appello al ravvedimento e insegnamento che opere di guarigione e liberazione. Di questa missione Gesù ne evidenzia pure “lo stile” che deve avere. Gesù, inoltre, fa pure prendere coscienza ai suoi discepoli che “andando” (non rinchiudendosi), così come egli comanda loro, si troveranno inevitabilmente in un mondo ostile al regno di Dio, che come suoi messaggeri incontreranno peccatori più disposti a “sparare loro addosso” che ad accogliere il messaggio. Questo nostro mondo, infatti, è un mondo ribelle ed ostile a Dio. Gesù dice loro: “Per la vostra missione io vi darò tutte le risorse necessarie, ma non sarà facile. Avrete da soffrire. Sarà inevitabile perché: “...io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (16a) e quindi: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (16b). Gesù utilizza il carattere proverbiale di diversi animali per far meglio comprendere la situazione. Nel mondo incontreranno “lupi feroci” pronti ad “azzannarli” e loro, i discepoli di Gesù, saranno come pecore indifese. Non dovranno, però, spaventarsi: Dio sarà con loro. Avranno però da regolare bene il carattere della loro azione: dovranno essere come colombe che non fanno male ad alcuno (da qui lo stile non violento della loro azione), ma neanche dovranno essere stupidi, ingenui o men che meno passivi e sottomessi. Dovranno avere saggezza, ma anche “l’astuzia” di chi, per la propria azione, ha precise strategie. I discepoli di Gesù non dovranno andare nel mondo “a casaccio”. Dovranno adattare il loro approccio alla gente discernendo il carattere di chi sta loro di fronte, agendo e reagendo nel modo più appropriato ed intelligente.

Di quanto Gesù dice in Matteo 10, bisogna, inoltre, che certamente noi si tenga conto che egli sta certamente parlando prima di tutto ai suoi discepoli di allora e che le sue istruzioni riguardano il contesto di allora. Di fatto Gesù parla di fatti e situazioni che sarebbero avvenuti allora. Quelle stesse istruzioni, però, com’è tipico del messaggio dei profeti biblici, guardano anche ad avvenimenti futuri, e quindi riguardano anche noi. I profeti biblici descrivevano, nello stesso tempo, i giudizi di Dio che si sarebbero abbattuti sui loro contemporanei come pure parlavano cose molto lontane nel tempo. Gesù aveva preannunciato la distruzione di Gerusalemme che sarebbe avvenuta nell’anno 70, cosa che avrebbero visto gran parte di coloro che lo ascoltavano come pure prevede le persecuzioni che i suoi discepoli avrebbero avuto nell’annunciare l’Evangelo. Lo stesso, però, si sarebbe indubbiamente ripetuto in maniera simile per tutta la storia del cristianesimo. Nostra responsabilità è certamente “leggere” i nostri tempi per adattare quello stesso messaggio alla nostra situazione, consapevoli però che gli stessi fenomeni che Gesù rivelava allora continuano a manifestarsi oggi.

Quand’è che la persecuzione è inevitabile?

Che cosa ci dice il brano che abbiamo letto? In primo luogo che la fede cristiana implica militanza, una presenza “visibile” e critica nella società, cosa che non può passare inosservata, anzi, che inevitabilmente, per il suo stesso carattere, causa l’opposizione del mondo. Gesù dice: “Un discepolo non è superiore al maestro, né un servo superiore al suo signore. Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua!” (24-25).

Essere in comunione con il Signore e Salvatore Gesù Cristo, unire a lui la nostra vita, il nostro presente ed il nostro futuro, vuol dire godere dei meravigliosi frutti e benedizioni che sono il risultato della sua opera per noi ed in noi. Identificarsi in lui, però, seguirlo come suoi discepoli, significa pure, e inevitabilmente, esporsi a trattamenti simili a quelli che il mondo aveva riservato a lui. Essere in comunione con il Salvatore Gesù Cristo non è infatti solo qualcosa di mistico e spirituale. Quando lo diventa, esso non è l’Evangelo autentico.

È ben detto che: “Se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua” (Romani 6:5). L’esperienza esistenziale cristiana suggellata con il nostro Battesimo, vuol dire ricevere i benefici della sua morte e risurrezione, ma partecipare alla sua morte significa anche sia l’impegno quotidiano a mettere a morte in noi ciò che è peccato (e a questo la nostra carne resiste), come pure, inevitabilmente, subire noi stessi, proprio per il nostro attivismo, l’ostilità di un mondo che odia il Dio vero e vivente, tutto ciò che rappresenta e gli appartiene.

Condividere la vita e la morte di Gesù significa così pure soffrire con lui. Se molti sono stati coloro che lo hanno perseguitato, pure molti saranno coloro che ci odieranno perché intendiamo vivere e predicare il suo vangelo che è istanza critica in questo mondo. Ne risulta così che noi che lo seguiamo non possiamo attenderci di evitare tribolazioni simili a quelle che il nostro Signore aveva dovuto sopportare. Noi siamo “quelli di casa sua”, gli apparteniamo e non ci deve sorprendere se pure noi, come lui, dai suoi moderni avversari, siamo emarginati, evitati e persino perseguitati.

Come lui è pure tipico ricevere dal mondo ogni sorta di “titoli” denigratori e diffamatori. Il “vocabolario” dei “titoli” derisori ed infamanti che il mondo riserva ai cristiani impegnati è variopinto e non serve ripeterlo qui. Gesù era considerato da molti suoi religiosi contemporanei emissario di Satana e nemico di Dio. I denigratori degli altri, però, con i titoli che affibbiano ad altri, di fatto descrivono sé stessi. È sempre stato così e i “titoli” che ci danno ci devono lasciare indifferenti, anzi, è un onore essere trattati come il nostro Maestro e Salvatore. Certo è che la persecuzione non riguarda chi si piega al potente di turno e tace di fronte a lui. Quando Gesù parla dell’’inevitabile persecuzione dei suoi seguaci egli presuppone la loro pubblica militanza, il fatto che essi apertamente vivano e proclamino il suo messaggio, senza sottomettersi ad altri signori. È questo, infatti, che bene evidenzia Gesù in quanto prosegue a dire.

Un Evangelo che sfida pubblicamente

“Non li temete dunque; perché non c'è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all'orecchio, predicatelo sui tetti” (26-27).

Gesù è ben consapevole della logica che domina questo mondo decaduto e che poteri oppressivi, con le loro ideologie idolatriche, la fanno da padrone. Dice: “Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro domini” (Matteo 20:25). Come cristiani, però, non dobbiamo temerli. Testimoniando uno modo di fare alternativo, però, - “Ma non è così tra di voi” (Matteo 25:26) - dobbiamo denunciare apertamente, come facevano già i profeti dell’Antico Testamento, “le opere infruttuose delle tenebre”, come insegna l’Apostolo Paolo: “Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste” (Efesini 5:11-13). Il faro della luce di Cristo deve essere proiettato sulle opere inique di questo mondo, non permettere che siano nascoste, occulte e, portandole allo scoperto, farle conoscere affinché vengano riprovate e svergognate. Deve essere chiaro ed aperto l’appello al ravvedimento dell’Evangelo che, prima ancora di essere un messaggio di amore, è soprattutto l’annuncio del giudizio di condanna di Dio su tutto ciò che è peccato e idolatria, sia cuori che strutture politiche e sociali.

Quello che Gesù insegna, certo nel privato e nella penombra delle comunità cristiane, privato non deve rimanere, ma deve essere detto “nella luce”, alla luce del sole e pubblicamente, sia che te lo permettano che non te lo permettano. Esso deve essere “predicato dai tetti”, cioè come allora si faceva per essere sentiti, dalle terrazze delle case e fatto udire nel circondario dalla gente, da più gente possibile. Il pulpito alto e “il sistema di amplificazione” non deve riguardare solo l’ambito dei locali di culto, ma deve risuonare ovunque e chiaramente, nelle piazze ed attraverso i mass-media che sia permesso oppure no. Se non è permesso i cristiani possono, anzi, devono sfidare le autorità e disubbidire alle leggi ed ai decreti, come facevano i primi apostoli che, pur ammoniti di non predicare apertamente nel nome di Gesù disubbidivano alle autorità ed erano pronti a pagarne il prezzo. “Dopo averli portati via, li presentarono al sinedrio; e il sommo sacerdote li interrogò, dicendo: «Non vi abbiamo forse espressamente vietato di insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina, e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo». Ma Pietro e gli altri apostoli risposero: ‘Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:26-29). Gli apostoli avevano ben recepito quello che Gesù aveva loro detto: “E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna” (28).

L’aperta confessione

Tutt’altro che accettare di essere relegati nel privato, i cristiani autentici sfidano il mondo e apertamente riconoscono e pubblicano la signoria di Cristo, Giudice, Signore e Salvatore:

“Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (32-39).

L’insegnamento di Gesù qui è chiaro: confessare apertamente il Cristo, che sia permesso oppure no, che sia conveniente oppure no. I cristiani del “politicamente corretto” non gli importa proprio nulla, anzi, quel principio lo sfidano e lo provocano. Inoltre, il messaggio dell’Evangelo non è affatto, come spesso viene presentato oggi da certi personaggi religiosi e “pontefici”, un messaggio di riconciliazione e di pace universale, ma prevede divisioni e non pace, un giusto conflitto e una giusta contrapposizione. Certo, non sarà e non potrà essere nulla di violento da parte nostra, ma, attuato con le metodologie della non-violenza, esso deve sempre sfidare e mettere in crisi. È un messaggio che non deve aver paura di dividere, anzi, deve dividere, e dividerà, come dice qui chiaramente il Signore Gesù. Questa è la croce che Gesù ci chiama a portare. Il messaggio annacquato che cerca compromessi con il mondo “per amore di pace”, quello che si sente spesso oggi e che viene proclamato come cristiano, non ha nulla a che fare con l’Evangelo di Cristo com’è proclamato dalle Sacre Scritture. Un vangelo “riveduto e corretto” per adattarlo alla sapienza ed all’ipocrita pacifismo di questo mondo non potrà che essere solo un falso vangelo, e di questo eravamo pure stati avvertiti dalla Parola di Dio.

Conclusione

Accettiamo, dunque, come cristiani, di essere relegati nel “privato” delle nostre chiese per permettere alla presunta neutralità del laicismo di dominare indisturbato cuori, menti, corpi ed istituzioni? No, siamo chiamati dalla Parola di Dio a confessare apertamente la nostra fede, viverla nel pubblico e proclamarla sempre nel pubblico, senza timore, che sia permesso oppure no. Siamo chiamati a sfidare l’intera società ed ogni singola persona chiamandola al ravvedimento ed all’ubbidienza fiduciosa verso Gesù Cristo, unico Signore e Salvatore. Non dobbiamo aver paura di “dividere” e di “creare conflitti” se essi sono vissuti in modo conforme all’Evangelo. Mentre gli stati ed i regimi di ogni tipo vogliono dominare indisturbati, il cristiano è chiamato a disubbidire ed ad opporre militante resistenza, pronti anche a subirne le conseguenze. Infatti, dice Gesù: “Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”. Siamo disposti, siete disposti a sostenere e proclamare coraggiosamente l’Evangelo di Cristo e a contrastare ogni resistenza, costi quel che costi? A questo ci chiama il Signore Gesù.

Paolo Castellina, 21 giugno 2017