Sintesi
In un'epoca come la nostra dove prevale l'aspirazione alla libertà senza più alcun vincolo verso l'autorità (morale o verso delle persone) e "il sospetto" per tutto e per tutti, per usare il titolo del famoso libro di Lorenzo Milani, "L'ubbidienza non è più una virtù". Lo diceva in senso positivo, soprattutto rivolto alla necessaria disubbidienza verso autorità inique, ma il principio di autorità è sacrosanto e del tutto salutare. Certo, bisogna avere un responsabile discernimento ed un sano senso critico verso le autorità umane ma la fiduciosa ubbidienza verso "chi ne sa di più e meglio di noi" è segno di saggezza. L'ubbidienza a Dio, che si rivolge a noi attraverso le Sacre Scritture, fa parte di quel "timore del Signore" che sta alla base della nostra vita, la sua preservazione e benessere. Il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ne è il primo esempio, e questo viene espresso dal testo biblico sul quale riflettiamo questa domenica: "Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì" (Ebrei 5:7-10). Perché la Sua e la nostra ubbidienza è sommamente salutare? Vediamo.
Ho letto di un fatto avvenuto in Africa. Era una giornata calda, umida ed opprimente. Non tirava un filo di vento. Nella foresta le foglie pendevano dagli alberi come se fossero state pesanti. Un ragazzo stava giocando sotto gli alberi, non lontano da suo padre, che stava lavorando. Improvvisamente il padre chiama il ragazzo e gli dice: “Filippo, ubbidiscimi subito – buttati subito a terra sul tuo stomaco”. Il ragazzo reagisce istantaneamente, e il padre continua e gli dice: “Ora velocemente striscia verso di me!”. Il ragazzo ancora ubbidisce. Dopo aver percorso metà dello spazio che lo divideva da suo padre, il padre gli dice: “Ora alzati, e corri e raggiungimi!”. Il ragazzo fa così, corre fra le braccia di suo padre, si gira e guarda l’albero sotto il quale stava prima – appeso ad un albero c’era un serpente velenoso della lunghezza di parecchi metri che stava per morderlo!Siamo noi sempre pronti ad ubbidire? Oppure diciamo: “Dimmi il perché mi dici questo? Spiegamene il perché!”, oppure “Aspetta, fra un po’ vengo”. Se quel ragazzo avesse messo in discussione “lo strano” comando del padre o gli avesse detto: “Ora non posso”, oppure, “Ora non ho voglia”, beh, sarebbe stato morso dal serpente! Aveva, però, fiduciosamente ubbidito a suo padre. E’ lo stesso quando Dio, nella Sua Parola, ci dice qualcosa. Magari non comprendiamo subito il motivo per cui ce lo dice. Magari vorremmo saperne il perché, oppure gli diciamo: “Aspetta!”. Credetemi, però, ubbidire alla Parola di Dio “conviene” sempre! Ricordate ciò che il sacerdote Eli disse al giovane Samuele: “«Va' a coricarti; e, se sarai chiamato ancora, dirai: "Parla, SIGNORE, poiché il tuo servo ascolta"» (1 Sa. 3:9). Se non avesse prestato ascolto e non avesse ubbidito, non sarebbe diventato profeta di Israele.
Ubbidienza: pare che oggi l’ubbidienza sia un’arte perduta. Si dice che i ragazzi oggi non prestino più ascolto ai loro genitori: ormai sanno meglio loro! Agli impiegati non piace eseguire ciò i loro datori di lavoro dicono, lo mettono spesso in discussione e se lo ritengono utile, “denunciano il comportamento del padrone ai sindacati”. Sembra che nemmeno i pazienti non diano ascolto ai loro medici. Dicono: “Ah, quelle medicine che mi ha prescritto le prenderò se e quando ne avrò voglia!”. Pare poi che la maggior parte delle donne non voglia che l’ubbidienza stia nelle promesse del loro matrimonio! Mi è capitato diverse volte che, alcune coppie, quando preparano la cerimonia di nozze con il loro pastore, vogliono che si tolga dalla liturgia il versetto biblico che dice: “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come si conviene nel Signore” (Colosesi 3:18). Dicono: “Nella Bibbia è scritto così,” è vero, “ma oggi quello è un concetto superato!”. Anzi, qualcuna ha persino detto di non volere “promesse” nella formula del matrimonio, non avendo, infatti, nessuna intenzione di mantenerle! Me lo hanno detto veramente!
Già, dire a qualcuno di “ubbidire”, infatti, è oggi, nel tempo di un conclamato “antiautoritarismo”, la più grande offesa che si possa fare a qualcuno. E’ considerato peggio di una bestemmia dire a qualcuno di “ubbidire”. Persino i ragazzi dicono: “Papà, mamma, non devi dirmi ciò che devo fare”! Sembra, così, che noi associamo l’idea di ubbidienza alla schiavitù! Certo, ci possono, essere stati e ci sono ancora abusi nell’ubbidienza. Una cosa, però, è ubbidire ad ordini @ingiusti, altra cosa è non ubbidire mai, “per principio”! “Ubbidire” NON E’ una parola sporca. Non implica necessariamente ESSERE INFERIORI.
Si tratta di qualcosa di buono che Dio stesso incoraggia, a tempo e a modo.
Cercheremo oggi, così, di imparare l’arte dell’ubbidienza dal Signore Gesù stesso, nostro Salvatore e Maestro, al riguardo del quale, nal testo biblico previsto per oggi, lettera agli Ebrei, al capitolo 5, dal versetto 7, si dice:
“Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote secondo l' ordine di Melchisedec” (Ebrei 5:7-10).
E’ un testo molto strano, per certi versi, e che si presta ad alcuni equivoci. Dice che durante la Sua vita terrena, Gesù, nella prospettiva della Sua morte, non era stato estraneo all’angoscia, alla paura, alla debolezza e alle lacrime. Anzi, questo l’aveva letteralmente spinto a gridare in preghiera a Suo Padre celeste, affinché, se possibile, ne fosse esentato, liberato. Come gli scrittori dei Salmi, che allo stesso modo, gridavano d’essere liberati dall’angoscia della sofferenza e della morte, la preghiera di Gesù fu esaudita. Lo era stata, però, non attraverso la fuga dalla dura necessità della croce, ma attraverso la risurrezione dai morti. L’ubbidienza ai “fini superiori” che Egli doveva servire era contata molto di più che il conforto di una vita serena e pacifica.
E’ così che Gesù, sebbene fosse stato interamente libero dal peccato, aveva dovuto lottare contro vere tentazioni. Come Uno che era venuto nel mondo per compiere la volontà di Dio Padre, Cristo riuscì a vincere ogni successiva sfida alla Sua integrità, culminando nella vergognosa e dolorosa morte sulla croce. Questa vita di ubbidienza appresa si contrappose alla disubbidienza di Adamo e qualificò Cristo a servire come eterno Sommo Sacerdote. Quando qui si dice che Gesù fu “reso perfetto” non significa che prima non lo fosse, dato che era privo di peccato, ma che aveva compiuto il corso di sofferenza che Gli era posto dinnanzi. Fatto questo, noi possiamo vedere come davvero Egli fosse qualificato come nostro intercessore e Salvatore.
Gesù diventa così per noi esempio di ubbidienza fiduciosa, potremmo dire, a “istanze superiori”, alla volontà rivelata di Dio che, per quanto dura, è sempre buona e salutare. Su che cosa si fonda questo tipo di ubbidienza?
Una motivazione interiore
Una volta Gesù disse dei Farisei: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me” (Matteo 15:8). Sebbene esteriormente i Farisei sembrava che ubbidissero a Dio, interiormente “c’era qualcosa che non andava” in loro. Un fatto peculiare della fede cristiana, infatti, è che si possono avere due persone che fanno esattamente la stessa cosa, eppure una sarà benedetta da Dio, e l’altra maledetta – proprio come Caino ed Abele. Com’è possibile? E’ possibile perché più importante ancora che l’azione che si fa, è, infatti, la motivazione interiore. Così, per apprendere l’arte dell’ubbidienza, dobbiamo fare un passo indietro ed apprendere che l’ubbidienza su basa sull’umile rispetto e sulla fiducia di chi ce la chiede.
Un fondamentale rispetto
Lo si vede ancora oggi fra di noi, soprattutto nelle persone più anziane. Entrano in chiesa in silenzio e, prima di sedersi al loro banco, in piedi, a capo chino, dicono una breve preghiera. Perché? E’ vero, potrebbe essere una “formalità”, un’abitudine, ma questo esprime l’atteggiamento di chi, prima di accostarsi a Dio, prima di accostarsi, come si dice, “al Suo trono”, assume un atteggiamento di umiltà e di rispetto. Ho provato ad insegnarlo anche ai bambini ed ai ragazzi, ma sembra un’impresa disperata! Entrare in chiesa, per loro, ma anche per molti adulti, è come entrare in un cinema: non hanno alcun rispetto, né per Dio né per gli altri: non si rendono conto della solennità del presentarsi a Dio nel culto. Chiacchierano come se niente fosse; alcuni non si tolgono nemmeno il copricapo! “Non si usa più”, direte voi. Si, la buona educazione, il rispetto e l’umiltà “non si usano più”.
Consapevolezza di chi siamo noi e di chi Lui è
Rispetto ed umiltà, però, era l’atteggiamento dello stesso Signore Gesù quando, mentre era sulla terra, si accostava a Dio Suo Padre. Lo faceva con “riverente sottomissione”. Questa parola compare pure in Ebrei 12:28 dove troviamo scritto: “Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore!”. Nel contesto, lo scrittore parla di come Mosè si accostava a Dio sul monte Sinai, dove vi era fuoco, tempesta, oscurità e caligine. Nell’accostarsi a Dio Mosè tremava, e pure il popolo ne era terrificato. Con la venuta di Cristo, un nuovo regno era venuto – un regno persino più glorioso di quello che Mosè aveva avuto esperienza – un regno eterno. Alla luce del fatto che Dio sta al controllo della vita e della morte, che l’eternità sta nelle Sue mani, l’ultima cosa che ci converrebbe fare sarebbe prendere la cosa alla leggera! Sarebbe meglio che noi avessimo “riverenza e timore”, ricordandoci chi siamo noi e chi è Dio.
Sventolare “bandiera bianca”
La vita di Gesù è l’illustrazione per eccellenza di che cosa significhi “sottomissione riverente”. Che cosa dice il nostro testo su ciò che Gesù faceva per mostrare “riverente sottomissione”? Egli offriva preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte. L’espressione “offrire preghiere”, nella lingua originale, è connessa con “un ramo d’ulivo”. Quando allora, infatti, una persona era nel bisogno, essa andava a supplicare tenendo in mano un ramo d’olivo a cui era frammista lana bianca e nastri bianchi, il che indicava che venivano come supplicanti. Forse è da questo che deriva il concetto di sventolare bandiera bianca. Rispetto verso Dio, significa “arrendersi” a Lui. Chi non Gli mostra il dovuto rispetto, rivela d’essere, in realtà, non un credente, ma un ribelle a Dio che ancora non si è ravveduto dai suoi peccati.
Totale dipendenza
Anche se Egli era Dio, Gesù si accostava al Padre celeste come qualcuno la cui vita era in bisogno disperato della Sua presenza ed opera. E’ così per voi? Nella Sua condizione umana, nella Sua umiliazione, Egli, infatti, non faceva uso dei Suoi poteri, ma aveva bisogno della potenza di Dio per tenere a bada il diavolo, rimanere forte, e fare ciò che Dio Gli diceva di fare.
Umiltà
Notate pure COME Gesù mostrasse sottomissione riverente nella Sua vita di preghiera. Egli pregava con ALTE GRIDA E CON LACRIME. Non era troppo orgoglioso per non implorare aiuto da Dio Suo Padre, ma era pronto ad implorare. Quando Gesù era nel Getsemani, Egli pregava così intensamente che gli cadeva sudore e sangue. Quando, alla fine, Gesù è sulla croce, Egli grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Prima di esalare l’ultimo respiro, le Sue ultime parole sono un forte grido: “Padre, nelle Tue mani io rimetto il mio spirito”. E voi, pensate che pregare sia “troppo umiliante”? Che accade allora? E’ allora che Dio Lo esaudisce. Egli dà a Cristo la forza, nel Getsemani, di accettare la croce. Poi fa risorgere Cristo dai morti. Egli risponde alla preghiera di Gesù.
Una dura necessità
E’ così che l’ubbidienza alla volontà di Dio sorge da un atteggiamento di fiducia rispettosa, ed è così che Gesù “imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì”, sapendo che per quanto dura era la prova, tutto questo era necessario ed utile. Quando Gesù meditava sulla Parola di Dio, Egli vi leggeva che sarebbe stato condotto come un agnello al mattatoio. La Parola di Dio gli diceva: “Sarai venduto per trenta pezzi d’argento. Le tue mani e i tuoi piedi saranno forati. I peccati del Tuo popolo saranno posti sulle Tue spalle”. E’ tremendo, se solo ci pensiamo. Che cosa avremmo fatto al posto Suo? Egli faceva l’esperienza di una grande sofferenza, ma Egli imparava che cosa volesse dire ubbidire perché sapeva che essa era una necessità dell’amore.
Spesso anche nella nostra vita
Non è ironico il fatto che spesso noi si debba imparare l’ubbidienza attraverso la sofferenza? In altre parole, la Parola di Dio dice: “Non ubriacatevi”, ma lo facciamo, e finiamo con un gran mal di testa ed un’avventura imbarazzante. Impariamo che avremmo dovuto ubbidire sin dall’inizio alla Parola di Dio. Noi, così, impariamo ad ubbidire attraverso i frutti amari della disubbidienza. Ora, la legge di Dio dice che noi dobbiamo soffrire le conseguenze del nostro malfare. Fu, però, l’amore di Dio a dire a Gesù di soffrire, così Egli apprese l’ubbidienza nel fare ciò che Gli era stato detto di fare. Che triste ironia: eppure, per noi, è un’esperienza salutare.
Il senso di una missione
Come un Figlio rispettoso, Gesù era venuto per fare una cosa soltanto – la volontà di Suo Padre. E’ per tutto il Suo ministero, infatti, che Gesù fa riferimento alla volontà del Padre. In Giovanni 4:34 Gesù dice: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l'opera sua”. In Giovanni 6:38: “sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.
Prima di andare alla croce Gesù aveva pregato così: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42). Se, invece, Gesù avesse detto: “Padre, penso che tutta questa faccenda della croce sia una gran stupidaggine: ci deve essere un qualche altro modo…”. Allora Gesù avrebbe fallito la Sua missione, non l’avrebbe portata a compimento. Però Egli si attenne al sentiero indicato senza deviare e senza distrarsi.
Risultato conseguito!
E’ così che uno dei risultati delle sofferenze di Gesù era quello di renderlo perfetto. Questo può sembrarci un po’ strano, dato che Gesù già era perfetto. Un’altra parola per “perfetto”, però, è “completo”. In altre parole, ubbidendo a ciò che Gli aveva detto la Parola di Dio, Gesù completa la Sua missione – salvare dal peccato coloro che per questo Gli erano stati affidati. Quando Gesù, sulla croce, disse: “La missione è compiuta: è stata durissima, ma ora ne raccolgo i buoni frutti, come profetizza Isaia: “Egli vedrà il frutto del suo tormento interiore, e ne sarà saziato; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità. Perciò io gli darò la sua parte fra i grandi, egli dividerà il bottino con i potenti, perché ha dato sé stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli” (Isaia 52:11,12).
Salvezza via ubbidienza?
Oltre al fatto che Dio Padre disse a Gesù di compiere queste cose, per che altro le ha fatte? L’applicazione ci viene data nell’ultima frase: “…divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna”. Che significa? Forse che vuol dire che, a nostra volta, ubbidire a Lui significherà per noi salvezza eterna? Che, a nostra volta, noi ci possiamo guadagnare la salvezza tramite l’ubbidienza alla Sua volontà?
Un Gesù ora “creditore”?
No, non è esattamente così, bisogna comprenderlo bene, altrimenti questo sarebbe in contraddizione con tutto il messaggio del Nuovo Testamento, che parla della nostra salvezza come un dono della grazia di Dio soltanto ricevuta per fede nell’opera efficace di Cristo. Questa frase, difatti, è stata spesso equivocata. C’è oggi chi dice: “Noi dovevamo a Dio un grande debito che non avremmo mai potuto pagare nell’intera nostra vita. Così fu Gesù a pagare a Dio il debito che noi Gli dovevamo”. Fin qui tutto bene, ma poi continua e dice: “Ora Gesù è il nostro creditore. Egli ha esteso la possibilità di pagare i nostri debiti verso di Lui per tutta la nostra vita, cosicché noi possiamo ripagarlo ubbidendogli”. E come facciamo ad ubbidirgli? Ubbidendo ai comandamenti della Bibbia ed ai precetti stabiliti dalla chiesa, magari in sottomissione delle “legittime” autorità della chiesa o della setta. E’ così? Notate che cosa fanno molti quando predicano cose del genere: trasformano Gesù da Salvatore a creditore – da uno che dà ad uno al quale dobbiamo qualcosa.
Una fonte continua
Che cosa significa, allora, questa frase? “…divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna”. La parola “autore” qui significa “causa”, o “fonte”. Una volta Gesù aveva usato l’immagine di un pozzo che non si prosciuga mai, quando aveva descritto Sé stesso come “fonte di acqua viva”. La Bibbia indica costantemente Gesù come fonte della nostra salvezza. Gesù stesso disse: “Io sono la via, io sono la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Potrei citarvi moltissimi testi biblici che parlano della salvezza come di un dono, ad esempio: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio” (Efesini 2:8). E’ molto chiaro, non è vero? Non parla della salvezza come di qualcosa che ci possiamo guadagnare. Quando Gesù muore sulla croce, Egli ci fornisce una fonte illimitata di santità e giustizia, come una fontana che continuamente emette ciò che ci rende giusti di fronte a Dio. Se noi facessimo dire a questo testo che ora siamo salvati facendo tutto ciò che Cristo ci dice di fare – ama il tuo nemico, offri le tue primizie, ecc. questo farebbe si che la Parola di Dio cadesse in contraddizione completa. Solo a prima vista sarebbe così.
Che significa ubbidire?
Consideriamo, però, il contesto di questo brano, ed esaminiamo ciò che realmente significa “ubbidire”. In che modo Cristo ubbidisce? Egli lo fa con il Suo atteggiamento di umiltà. Gesù mostra umiltà – riconoscendo che, nella Sua umiliazione, Egli non avrebbe potuto usare il potere che aveva per salvare Sé stesso – ma che aveva bisogno di Dio Suo Padre. Gesù lo fa nella fede. Egli ubbidisce offrendo al Padre preghiere e suppliche, confidando che Egli Lo avrebbe liberato dalla morte. Egli è fonte di salvezza proprio nel fatto che Gesù si era rivolto al Padre con queste preghiere e suppliche per tutta la Sua vita, perché Dio era compiaciuto della Sua riverente sottomissione. Egli diventa, perciò, salvezza per chi si umilia davanti a Dio sottomettendosi a Lui!
Vera sottomissione?
Il problema della nostra società oggi che l’idea stessa di sottomissione sembra militare contro tutto ciò che riteniamo importante. L’intera idea di accostarci a Dio con l’umile nostra preghiera è praticamente aliena dalla mentalità d’oggi – oggi si attirerebbe l’attenzione solo su noi stessi vantandoci di noi stessi. Quando noi, accostandoci al trono di Dio la domenica per il culto, confessiamo a Dio i nostri peccati, lo facciamo con vero spirito di sottomissione? Noi presumiamo che Dio voglia e debba benedirci come se fosse un debito che Lui ha verso di noi… quando andiamo, di fatto, al culto! Qualcuno pensa che Dio possa pretendere da noi solo un’ora di culto. Altri pretendono, più o meno consapevolmente che Dio non abbia diritto nemmeno a quella, che Egli voglia derubarci del NOSTRO tempo, che Egli ci voglia privare di una preziosa ora di sonno, di divertimento o di lavoro per incontrarsi con noi! Invece che considerare la preghiera come un privilegio, guardiamo ad essa come se fosse un dovere. Invece di accostarci a Dio con l’atteggiamento di chi dice: “Io non sono degno d’essere qui”, noi diciamo: “Vedi, Dio, sono venuto al culto come volevi, ora dammi ciò che voglio!”.
Capire prima chi siamo
Quando siamo chiamati ad “ubbidire” a Cristo ora, questo comincia prima di tutto dal rammentarci che siamo creature umane mortali e peccatrici. Non siamo onnipotenti. Non siamo padroni del nostro destino. Non siamo onniscienti. Siamo creature deboli e peccatrici che solo meritano l’ira di Dio. Dio sa meglio di noi che cosa sia bene per noi. Dio è più potente di quanto lo siamo noi.
Abbassamento e rinuncia
Il secondo concetto di ubbidienza si trova in come Cristo volentieri fa ciò che il Padre Gli chiede di fare e confida che alla fine Egli Lo avrebbe liberato. Che cos’é che Cristo ci chiede? La migliore illustrazione di questo si trova nella conversazione che Gesù ha con Nicodemo. Ecco un maestro, un Fariseo, un esperto della legge, che viene a trovare Gesù, pensando di sapere già com’essere salvato di fronte a Dio, ma che non ne è ancora del tutto sicuro.. Gesù gli dice: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (Gv. 3:3). Se ci pensate bene, “nascere di nuovo” è una cosa che abbassa il nostro orgoglio. Vuol dire rinunciare alle nostre presunte capacità di fare qualcosa di buono per noi stessi, spogliarsi di ogni presunzione e diventare come un bambino, completamente dipendente da sua madre. Egli doveva rinunciare a quel suo “potere” e “conoscenza” che aveva come Fariseo e “nascere di nuovo”. Come poteva farlo? Gesù gli disse semplicemente che doveva “nascere d’acqua e di Spirito”. Doveva abbandonarsi a Dio completamente e mostrare nel battesimo la Sua completa, fiduciosa ed ubbidiente, sottomissione a Lui. Gesù gli sintetizza l’Evangelo in Giovanni 3:16: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Quel che Gesù gli stava dicendo era tanto semplice e basilare che Nicodemo non poteva coglierlo se non per la potenza dello Spirito Santo. Gesù gli stava dicendo: “Lascia andare la tua conoscenza, il tuo prestigio, le tue opere, e lascia che io ti salvi. Sottomettiti alla MIA giustizia e sii salvato”. L’intero messaggio di Cristo è che EGLI ha guadagnato la nostra salvezza attraverso LA SUA ubbidienza e morte. Affidatevi solo a Lui.
Houdini, il grande mago e artista dell’arte della fuga, si vantava di poter uscire da una qualsiasi prigione, manette o camicia di forza. Solo da una non era mai riuscito a fuggire, una piccola prigione in Inghilterra. Egli lavorò alla porta della cella per più di due ore alla terrificante velocità con cui di solito apriva le serrature in tre secondi. La serratura, però, rifiutava di cedere e di aprirsi. Alla fine, esausto, cadde contro la porta. Si aprì subito, di scatto. Non era mai stata chiusa. Il problema di così tanta gente in questo mondo è scritto in Romani 10:3 “…perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio”. Essi lavorano e lavorano per cercare di raggiungere il cielo con questo e quello, quando in realtà l’ubbidienza della fede è semplice: fede ed umiltà. Ecco dove questa arte è andata perduta.
Una volta un uomo famoso era andato a visitare il Re di Francia ed il Re fu così contento di vederlo, che lo invita a cena per il giorno seguente. L’uomo, così, all’ora stabilita, si reca a palazzo e il re lo incontra in una delle sale, dicendogli: “Ma come? Non mi aspettavo di vederti. Come mai sei qui?”. “Maestà, non mi ha forse invitato a cena?” dice stupefatto l’ospite. “Si,” rispose il re, “ma non hai risposto al mio invito”. Fu allora che l’uomo replica: “Non si risponde mai all’invito di un re, ma gli si ubbidisce”.
Nella Sua grande umiltà Gesù rispose all’invito di Dio di salvare coloro che Gli sarebbero stati affidati. Questa ubbidienza Gli causa molta sofferenza, ma non viene mai meno ad essa. Ne risulta che, completata la Sua missione, Egli è innalzato come Re dell’universo. La missione di Paolo era quella di aver ricevuto “grazia e apostolato perché si ottenga l'ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome” (Romani 1:5). Ubbidire all’Evangelo è il nostro dovere: significa accoglierlo con fiducia dopo esserci ravveduti dal nostro peccato e presunzione. Ecco perché c’è una sola via che porta alla salvezza: ubbidire a Gesù. Ubbidire a Gesù non è un’arte perduta. Non dobbiamo arrampicarci fino al cielo per raggiungerla. Non dobbiamo logorarci le scarpe per conseguirla. L’avete già trovata in Cristo. Se non l’avete trovata,vi incoraggio a ravvedervi e ad affidarvi di tutto cuore a Cristo come vostro Salvatore. E’ solo allora che avrete “ubbidito” a Cristo. Allora, ed è ciò che più importa, sarete giusti agli occhi di Dio, e salvati. Già nell’Antico Testamento, il Signore Iddio diceva: ”Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia” (Esodo 19:5). Che possa essere così per ciascuno di voi. Amen.
Paolo Castellina, giovedì 25 marzo 2004.