Benedetto il giorno in cui ti ho incontrato?
Presentazione. Avete mai detto a qualcuno: “Ringrazio Dio per averti incontrato. La tua presenza, soprattutto nei momenti difficili, è stata veramente provvidenziale per me. Le tue parole, i tuoi consigli, il tuo amore, la tua comprensione, la tua solidarietà… è stata ed è veramente importante. Sei veramente per me come un angelo mandato dal Signore. Voglio esprimerti tutta la mia riconoscenza”. Potremmo esprimere simili sentimenti di riconoscenza per una comunità cristiana? L’apostolo Paolo lo fa per i cristiani di Tessalonica. Come e perché così erano stati per lui? Possiamo anche noi diventare oggetto di riconoscenza per qualcuno? Consideriamolo dal testo biblico di 1 Tessalonicesi 1:2-10.
Avete mai detto ad una persona qualcosa del genere: “Ringrazio Dio per averti incontrata. La tua presenza accanto a me, soprattutto nei momenti difficili, è stata veramente provvidenziale. Le tue parole, i tuoi consigli, il tuo amore, la tua comprensione, la tua solidarietà… è stata ed è veramente importante. Sei stata l’unica ad interessarti attivamente di me e a continuare a farlo nel corso del tempo. Sei veramente per me come un angelo mandato dal Signore. Voglio esprimerti tutta la mia riconoscenza. Ti rammento nelle mie preghiere. Che il Signore ti benedica abbondantemente”.
Sì, possiamo e dobbiamo essere grati per chi il Signore ci ha messo accanto e che fedelmente ci si è dimostrato amico, compagno. Spesso, con l’andare del tempo, infatti, c’è il rischio di prendere tutto questo per scontato. Che il Signore ci guardi dall’irriconoscenza!
È possibile, altresì, dire di una particolare comunità cristiana: “Ringrazio il Signore perché vi ho conosciuti e che mi avete accolto tra voi. Ringrazio il Signore perché mi avete dimostrato fattivamente un amore che non ho mai incontrato altrove. Mi sento veramente bene con voi. Vi sento davvero come autentici fratelli e sorelle. Che il Signore vi benedica con abbondanza!”. Così dovrebbe essere per ogni comunità cristiana, chiamata a manifestare attivamente l’amore di Cristo tanto da suscitare la riconoscenza di tutti quelli che vi si accostano. Una comunità cristiana che vive l’amore di Cristo diventa fonte di benedizione e, a sua volta, viene benedetta.
Era questo il caso della comunità cristiana della città di Tessalonica, in Grecia, il cui esempio luminoso di fedeltà al Signore suscita la preghiera, piena di riconoscenza e di lode verso Dio, dell’apostolo Paolo e dei suoi collaboratori Silvano e Timoteo.
È il testo biblico sottoposto oggi alla nostra attenzione che ora leggiamo ed attraverso il quale Iddio ci vuole oggi parlare. Si trova nella prima lettera ai Tessalonicesi, al capitolo 1, versetti da 2 a 10.
Fede dei Tessalonicesi. ”Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti, nominandovi nelle nostre preghiere, ricordandoci continuamente, davanti al nostro Dio e Padre, dell'opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signor Gesù Cristo. Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione; infatti, sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene. Voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo, tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia. Infatti, da voi la parola del Signore ha echeggiato non soltanto nella Macedonia e nell'Acaia, ma anzi la fama della fede che avete in Dio si è sparsa in ogni luogo, di modo che non abbiamo bisogno di parlarne; perché essi stessi raccontano quale sia stata la nostra venuta fra voi, e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero, e per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti; cioè, Gesù che ci libera dall'ira imminente” (1 Tessalonicesi 1:2-10).
L’apostolo Paolo è veramente fiero della comunità cristiana di Tessalonica che egli stesso, con i suoi collaboratori, ha contribuito a formare. Essa era diventata ben conosciuta ed apprezzata in tutta la regione loro circostante. Per quali caratteristiche egli la loda e ne ringrazia il Signore? In questo testo incontriamo ben nove tratti che contraddistinguevano questa comunità. Le esaminiamo ora nell’ordine in cui appaiono in questo testo, anche se questo non significa necessariamente un ordine d’importanza.
Le prime tre caratteristiche della comunità di Tessalonica, per le quali Paolo ringrazia il Signore, le troviamo nel versetto 3. L’Apostolo scrive: “…Ci ricordiamo continuamente, davanti al nostro Dio e Padre, dell'opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signor Gesù Cristo”. Essi, così, manifestano, prima:
Con l’espressione “l’opera della vostra fede” (3 a) l’Apostolo evidenzia le opere che la loro fede ha prodotto, rese possibili. La vera fede opera, produce, a gloria di Dio. Essa è: “…la fede che opera per mezzo dell'amore” (Galati 5:6). La loro non era una fede teorica, una fede solo intellettuale, se questa può dirsi fede. Essi non aderivano solo formalmente ad un Credo, alla chiesa o a solo partecipavano a cerimonie religiose. Questa loro fede si manifestava nel concreto della loro vita. Non erano passivi nell’espressione della loro fede ma attivi.
Essi non si conformavano all’ambiente che li circondava, ma se ne differenziavano. Mettevano in pratica ciò che l’Apostolo diceva loro: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:2). Inoltre, il loro era un:
L’Apostolo parla delle “Fatiche del loro amore” (3 b). Questo non vuole dire che il loro impegno cristiano fosse “faticoso”, cioè pesante, un peso da portare loro malgrado e con fastidio. Il loro amore era un impegno nel quale essi si sforzavano volentieri, sapendo che non si ottiene nulla di significativo senza sforzo. Il loro impegno cristiano non era “a percentuale” (meglio la più bassa possibile...) nell’ambito delle loro attività settimanali. Il loro era un essere cristiani “a pieno tempo”.
Il loro amore verso Cristo ed il prossimo era lo sforzo di compiacere e di mostrare riconoscenza verso Chi aveva dato tutto se stesso per la loro salvezza. Se hai compreso veramente, infatti, chi è Cristo e quanto Egli ha fatto per te, non t’impegnerai forse fattivamente per dimostrargli onore e riconoscenza? La vita cristiana è, certo, un fardello, ma si porta con gioia. Gesù disse: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” (Matteo 11:29,30). Essi manifestano poi:
“La costanza della loro speranza” (3 c) è la costanza che essi hanno manifestato sopportando pazientemente le difficoltà della pratica della fede cristiana, e forse anche le persecuzioni subite a causa di essa. Certamente anche a loro era stato chiesto: “Ma chi ve lo fa fare?”. Avrebbero, però, risposto: “La fiducia nel certo compimento di tutte le promesse di Dio”. È lo stesso sentimento che spinge l’apostolo a scrivere ai Corinzi: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).
Per il mondo in generale, l’impegno del cristiano è futile, “fatica sprecata”. Esso non è che “tempo sprecato ad acchiappare fantasmi” che ci distrarrebbe dal goderci questa breve vita fintanto che è possibile. I cristiani, però, sfidando incredulità e materialismo, non intendono comportarsi “…come gli altri che non hanno speranza” (1 Ts. 4:13). Nella loro vita si trovano, inoltre,
Dice il testo: “Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione” (4). Come potevano Paolo ed i suoi collaboratori sapere per certo che i cristiani di Tessalonica erano davvero cristiani, davvero credenti, e non solo tali formalmente e all’apparenza soltanto? Come facevano a sapere che essi si potevano contare fra gli eletti di Dio? Qualcuno dice oggi che non lo possiamo sapere! Abbiamo, però, nella Bibbia chiari criteri per verificarlo: dai fatti, da come si comportavano. Essi dimostravano fattivamente la loro fede in Cristo attraverso le loro vite trasformate, dall’amore che manifestavano verso Dio e verso il prossimo. Gesù disse: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7:21). L’apostolo Giacomo scrive: "A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede, ma non ha opere? Può la fede salvarlo? ... Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. (...) Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?" (Giacomo 2:14,17,20). La chiara aspirazione d’essere santi davanti a Dio è segno della propria elezione. La Scrittura dice: “In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui” (Efesini 1:4). I cristiani di Tessalonica erano caratterizzati da:
Dice Paolo: “Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo” (6). L’Apostolo scriveva: “Siate miei imitatori, come anch'io lo sono di Cristo” (1 Corinzi 11:1). Quando Paolo proponeva loro il modello della vita pura, santa ed amorevole di Gesù, confortata dalla stessa sua testimonianza, essi “s’ingegnavano” ad imitarlo nella loro vita di tutti i giorni. Erano malleabili e disposti ad imparare come si pensa, si parla e si agisce in modo corrispondente alla volontà di Dio. Di conseguenza essi stessi erano diventati d’esempio per altri. Una delle loro caratteristiche, infatti, era manifestare:
=== Una vita esemplare === “…tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia” (7) e suscitare riconoscenza e lode a Dio. Se qualcuno allora si chiedeva che cosa significa essere cristiani, avrebbe ricevuto la risposta: “Guardate all’esempio che danno i cristiani di Tessalonica”! Così Paolo esorta il discepolo Tito: “Presenta te stesso in ogni cosa come esempio d’opere buone; mostrando nell'insegnamento integrità, dignità, linguaggio sano, irreprensibile, perché l'avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire contro di noi” (Tito 2:7,8).
Essi non si limitavano a dare un buon esempio, come se, con questo, volessero attirare l’attenzione su se stessi. Essi si davano attivamente da fare affinché la Parola di Dio fosse conosciuta in tutta la regione loro circostante. Dice il testo: “…infatti, da voi la parola del Signore ha echeggiato non soltanto nella Macedonia e nell'Acaia” (8). La parola “echeggiare” traduce un termine greco che indica il suono della tromba, un suono inconfondibile, che modula un segnale riconoscibile. “Se la tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia?” (1 Corinzi 14:8).
Come le campane di una chiesa echeggiano nella valle chiamando tutti a rendere a Dio il culto che Gli è dovuto, i cristiani di Tessalonica diffondevano attorno a loro il messaggio dell’Evangelo, la conoscenza del Signore Gesù Cristo, di ciò che era e continua a fare per la salvezza di quanti a Lui si affidano. Come un segnale d’allarme echeggia in ogni dove per avvisare di un pericolo imminente, così essi chiamavano alla salvezza dall’imminente giudizio che incombeva su di loro e dal quale non sarebbero sfuggiti se non si fossero affidati al Salvatore Gesù Cristo. E questo, a sua volta, testimonia di:
“…perché essi stessi raccontano … come vi siete convertiti dagli idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero” (9). Quanta idolatria e superstizione c’era nel mondo di allora, e quanta idolatria e superstizione, sebbene in altra forma, permane nel mondo di oggi. I cristiani di Tessalonica si erano chiaramente distaccati da tutto questo mostrando come si erano convertiti al Dio vivente e vero, quello che ha parlato attraverso la storia del Suo popolo eletto e finalmente nel Suo Figliolo Gesù Cristo. “Nei tempi passati Dio parlò molte volte e in molti modi ai nostri padri, per mezzo dei profeti. Ora invece, in questi tempi che sono gli ultimi, ha parlato a noi, per mezzo del Figlio. Per mezzo di lui Dio ha creato l'universo, e ora lo ha stabilito come Signore di tutte le cose” (Ebrei 1:1,2). Questa loro conversione era evidente e “raccontata” dalla gente.
C’era chi diceva allora: “Hai sentito di quella gente di Tessalonica che ha rinnegato tutti i nostri idoli e religione, il nostro modo di pensare e tradizioni? Si è convertita a Gesù Cristo! Che coraggio! Che straordinario cambiamento è avvenuto nella loro vita! Com’è stato possibile?”. C’è chi dice questo di noi, oppure “ci vergogneremmo” se così dicessero? L’ultima caratteristica del loro modo di essere, qui citato, è:
“…e per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti; cioè, Gesù che ci libera dall'ira imminente” (10). Sì, tutto quanto abbiamo finora detto essi lo vivevano perché si protendevano con fede verso il ritorno di Cristo, che avrebbe portato a compimento tutti i propositi di Dio per loro e per il mondo. La vita cristiana, infatti, può essere intesa come una preparazione, una primizia, di ciò che Cristo un giorno realizzerà tornando in questo mondo, e coinvolgendo in esso tutti coloro che hanno risposto al Suo appello alla salvezza, affidandosi completamente a Lui. È così che essi saranno liberati dall’esecuzione del giudizio di Dio sul peccato e potranno entrare con Lui nei “nuovi cieli e nuova terra”. I cristiani possono dire: “Dio ci ha preparati per questo, e come caparra ci ha dato il suo Spirito” (2 Corinzi 5:5).
Com’è stato possibile realizzare nella vita di questa gente di Tessalonica tutto questo? In fondo questa gente non era tanto diversa da noi, prima della loro conversione a Cristo. Troviamo in loro: fede operante, amore impegnato, costanza nella speranza, evidenze della loro elezione a salvezza, imitazione dei modelli apostolici, una vita esemplare, attiva diffusione della Parola di Dio, un’innegabile conversione, la loro attesa del ritorno di Cristo. Com’è potuto avvenire in loro un simile cambiamento? Il nostro stesso testo lo dice chiaramente: attraverso la fedele predicazione che Paolo e i suoi collaboratori, ha portato fra loro. Dice: “Infatti, il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione; infatti, sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene” (5).
Molte chiese oggi sono in evidente crisi, e ci possono essere tante ragioni per questo che non dipendono necessariamente da loro. Bisogna, però, anche ricordare che Dio onora chi Lo onora, che Dio agisce là dove vi sono cristiani che annunciano fedelmente e vivono con impegno l’Evangelo di Gesù Cristo, nella sua integrità, in modo puro e non adulterato. L’apostolo Paolo scrive: “Noi non siamo, infatti, come quei molti che falsificano la parola di Dio; ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, alla presenza di Dio, in Cristo (...) al contrario, abbiamo rifiutato gli intrighi vergognosi e non ci comportiamo con astuzia né falsifichiamo la parola di Dio, ma rendendo pubblica la verità, raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio” (2 Corinzi 2:17, 4:2).
Certo, il tangibile segno di una vita rinnovata a Tessalonica non dipendeva dalle capacità dell’apostolo, come se lui riportasse risultati sulla base solo del suo impegno ad applicare la tecnica e la strategia giusta. Non era una questione di “pragmatismo”, anche se bisogna sapere come fare le cose nel modo giusto… Quei risultati erano stati ottenuti perché in lui operava la potenza dello Spirito Santo. Il Dio vivente e vero, attraverso lo Spirito Santo, è quello che sovranamente opera con potenza mediante la predicazione dell’Evangelo e trasforma sostanzialmente la realtà. Il protagonista è sempre Dio e noi non ne siamo che gli strumenti. Dobbiamo però essergli strumenti utili allo scopo, e non vasi sporchi e bucati che perdono acqua… Spesso Iddio rifiuta di utilizzare anche coloro che si proclamano Suoi ministri perché questi vorrebbero fare le cose a modo loro e non secondo la Sua espressa volontà. Parlando di preghiere alle quali Dio non risponde, l’apostolo Giacomo scrive: “Domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri” (Giacomo 4:3).
Di fronte alla crisi di tante chiese oggi c’è chi pensa di “risolvere il problema” studiando le migliori strategie e tecniche del mercato, il marketing, pur di ottenere dei risultati. C’è chi vorrebbe usare le migliori tecniche di manipolazione elaborate dalla psicologia e dalla sociologia. C’è chi fa inchieste per scoprire “quel che la gente vuole” per poi fornirglielo (o far finta di farlo) “…e così la gente è contenta e verrà in chiesa!”. In questo modo si potrebbe anche ottenere dei risultati, ma sono essi quelli che Iddio si aspetta nella Sua Parola, o si tratta, piuttosto, delle disoneste strategie di Satana? Anche a Gesù stesso Satana aveva offerto “tutti i regni del mondo” se solo si fosse prostrato ad adorarlo. Cristo, però, rifiuta e sceglie la via della croce! Si potrebbero riempire stadi interi di folle osannanti se si usano certe abili strategie psicologiche e molti non esiterebbero a farlo… È questo, però, quel che Dio vuole? C’è oggi chi è pronto ad usare un qualsiasi metodo (onesto o disonesto) purché la gente venga in chiesa e non cada in crisi finanziaria!
Il metodo ed i contenuti dell’Apostolo, però, devono essere secondo verità e giustizia. L’Apostolo qui dice: “Il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione”, vale a dire con trasparenza, verità e completa apertura allo Spirito Santo, dando egli stesso l’esempio di che cosa voglia dire essere un fedele seguace del Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Interessante è qui il fatto che egli abbia annunciato l’Evangelo “con piena convinzione”, vale a dire senza titubanza, con ferma persuasione della sua verità. Egli non l’aveva abbracciato come se fosse una cosa dubbia, e non aveva prodotto l’effetto sulla mente che è causato da qualcosa che è incerto nel suo carattere. Molti, oggi, sembrano abbracciare l’Evangelo come se credessero ad esso solo per metà, o come se fosse questione di una verità e importanza dubbia e “discutibile”. Non era stato questo il caso dei Tessalonicesi. C’era, sia da parte dell’Apostolo sia da parte loro, la più ferma convinzione della sua verità. Essi l’avevano abbracciato “anima e corpo”.
Della comunità cristiana di Tessalonica qualcuno avrebbe potuto dire, allora: “Ringrazio il Signore perché vi ho conosciuti e che mi avete accolto fra voi. Ringrazio il Signore perché mi avete dimostrato fattivamente un amore che non ho mai incontrato altrove. Ringrazio il Signore che voi mi avete fatto conoscere, nelle parole e nei fatti, la verità al riguardo del Dio vero e vivente e l’Evangelo della mia salvezza. Mi sento veramente bene con voi. Vi sento davvero come autentici fratelli e sorelle. Che il Signore vi benedica con abbondanza!”. Di essi qualcuno avrebbe potuto dire: “Benedetto il giorno in cui vi ho incontrato”, come quando la donna samaritana racconta ai suoi compaesani del suo incontro con Cristo che l’aveva trasformata per sempre ed essi, dopo un po’, replicano: «Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo» (Gv. 4:42).
Quella comunità cristiana aveva dato veramente gloria a Dio perché tutti avevano potuto vedere in essa: fede operante, amore impegnato, costanza nella speranza, evidenze della loro elezione a salvezza, imitazione dei modelli apostolici, una vita esemplare, attiva diffusione della Parola di Dio, un’innegabile conversione, la loro attesa del ritorno di Cristo. Come risponderemo noi oggi a tutto questo? Che Iddio ci porti ad essere come loro: solo allora “faremo differenza” nella società che ci circonda e la parola “crisi” sarà solo un ricordo del passato, quando non eravamo fedeli al Signore!
Paolo Castellina, riproposizione della predicazione del 17 settembre 2006.