1 Tessalonicesi 2:1-13

Un ministero discreditato, ma…

Un ministero discreditato

Nella migliore delle ipotesi, i ministri della Parola di Dio (preti o pastori che siano) sempre di più sono oggi considerati alla stregua di assistenti sociali e nulla di più e ci si aspetta che “le questioni religiose” siano da essi relativizzate o lasciate da parte. Altrimenti, la loro persona e funzione è sempre di più discreditata come inutile, superflua o semplice retaggio di un passato che non c’è più. Per questo ed altri motivi, quella del “ministro di Dio” oggi non sembra più essere una “professione ambita”.L'apostolo Paolo era irreprensibile nel suo ministero, eppure anch'esso spesso era contestato. Perché e come affrontava questa situazione? Consideriamolo da quanto dice in 1 Tessalonicesi 2:1-13.

I ministri della Parola di Dio si trovano oggi sempre di più in una posizione delicata ed imbarazzante. In una società secolarizzata come la nostra, nella migliore delle ipotesi i ministri di culto (preti o pastori che siano) sono considerati alla stregua di assistenti sociali e nulla di più e ci si aspetta che “le questioni religiose” siano da essi relativizzate o lasciate da parte. Più spesso, però, la loro persona e funzione è sempre di più discreditata come inutile, superflua o semplice retaggio di un passato che non c’è più, dove “il clero” assumeva una posizione di potere nel tessuto sociale al servizio della conservazione dello status-quo. Per questo ed altri motivi, quella del “ministro di Dio” oggi non sembra più essere una “professione ambita”, salvo che in ambienti settari dove sopravvive “la posizione di potere” del ministro di culto.

Il discredito della figura del “ministri di Dio” è certamente anche conseguenza di coloro che, fra i ministri dell’Evangelo, hanno dato, per il loro comportamento incoerente ed infedele, una cattiva testimonianza. Vi sono stati e vi sono certamente ministri di Dio falsi ed indegni del titolo che portano. Conseguenza di tutto questo è che anche il messaggio che portano è stato discreditato ed oggi sembra solo essere oggetto di disprezzo e di derisione. Se può essere stato anche così in molte circostanze in cui “la religione” è stata sfruttata da ministri di Dio falsi e senza scrupoli, non è necessariamente sempre così. L’abuso di una qualsiasi cosa buona non pregiudica la bontà della cosa stessa. La soluzione del problema degli abusi non può essere quella di respingere il messaggio evangelico o liberarsi del tutto delle strutture e dei ministeri ecclesiastici, ma la conformità sostanziale, morale e spirituale della comunità cristiana, dei ministri dell’Evangelo, e di tutti i cristiani, al modello prescritto nella Parola di Dio.

L’apostolo Paolo scrisse: “Prendi come modello le sane parole che hai udite da me con la fede e l'amore che si hanno in Cristo Gesù” (2 Timoteo. 1:13). Il messaggio evangelico rimane, per quanto il mondo possa dire, e quando è vissuto con coerenza ed impegno, l’unica speranza per l’umanità. Sempre l’Apostolo afferma: “Ora, fratelli, vi dichiaro l'evangelo che vi ho annunziato, e che voi avete ricevuto e nel quale state saldi, e mediante il quale siete salvati, se ritenete fermamente quella parola che vi ho annunziato, a meno che non abbiate creduto invano!” (1 Corinzi 15:1,2).

Non un fenomeno nuovo

L’avversione al messaggio cristiano e a chi lo promuove, in ogni caso, anche quando portato avanti fedelmente, in questo mondo, per altro, c’è sempre stato e non dobbiamo sorprendercene o lasciarcene spaventare, se ne comprendiamo il motivo, radicato nell’avversione congenita dell’essere umano decaduto verso Dio. Di fatto, il discredito della fede cristiana e dei suoi ministri non è un fenomeno moderno. Anche gli apostoli erano accusati spesso dai loro avversari di svolgere la loro funzione in modo disonesto, per secondi fini, per guadagno o per gloria personale.

Nella prima lettera ai cristiani di Tessalonica, al secondo capitolo, troviamo un’accorata difesa dell’apostolo Paolo della sincerità della sua opera e dell’efficacia del messaggio evangelico della salvezza umana in Gesù Cristo, il quale rimane di permanente validità.

Leggiamolo:

“Voi stessi, fratelli, sapete che la nostra venuta tra voi non è stata vana; anzi, dopo aver prima sofferto e subito oltraggi, come sapete, a Filippi, trovammo il coraggio nel nostro Dio, per annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. Perché la nostra predicazione non proviene da finzione, né da motivi impuri, né è fatta con inganno; ma come siamo stati approvati da Dio che ci ha stimati tali da poterci affidare il vangelo, parliamo in modo da piacere non agli uomini, ma a Dio che prova i nostri cuori. Difatti, non abbiamo mai usato un parlare lusinghevole, come ben sapete, né pretesti ispirati da cupidigia; Dio ne è testimone. E non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità; invece, siamo stati mansueti in mezzo a voi, come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini. Così, nel nostro grande affetto per voi, eravamo disposti a darvi non soltanto il vangelo di Dio, ma anche le nostre proprie vite, tanto ci eravate diventati cari. Perché, fratelli, voi ricordate la nostra fatica e la nostra pena; infatti è lavorando notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi, che vi abbiamo predicato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio lo è pure, del modo santo, giusto e irreprensibile con cui ci siamo comportati verso di voi che credete; sapete pure che, come fa un padre con i suoi figli, abbiamo esortato, confortato e scongiurato ciascuno di voi a comportarsi in modo degno di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Per questa ragione anche noi ringraziamo sempre Dio: perché quando riceveste da noi la parola della predicazione di Dio, voi l'accettaste non come parola d'uomini, ma, quale essa è veramente, come parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete” (1 Tessalonicesi.2:1-13).

Confutando, così, le accuse lanciate contro i missionari dai loro avversari, Paolo rammenta ai cristiani di Tessalonica della veracità e sincerità della loro predicazione, della purezza della loro condotta, e del loro forte amore nei loro confronti. Paolo ed i suoi compagni di ministero sono riconoscenti a Dio che i Tessalonicesi non solo hanno ricevuto l'annuncio apostolico come Parola di Dio, ma che hanno saputo sopportare le difficoltà inflitte loro da coloro che, opponendosi alla diffusione del messaggio cristiano, li perseguitavano. Paolo conferma il suo affetto per loro e si rammarica che le circostanze non abbiano permesso di ritornare di persona nella loro città. Confrontiamoci allora con quanto l’Apostolo scrive in questo testo.

L’Annunzio

L’annunzio. Il compito che l’Apostolo ha ricevuto e che egli trasmette ad ogni ministro di Dio, anzi, ad ogni cristiano è l’annuncio dell’Evangelo. Egli è stato inviato “per annunziarvi il vangelo di Dio” (2 b). Subito egli rileva come il messaggio che annuncia non proviene dall’uomo, è di Dio, o da Dio. Nella lettera ai Galati scrive: “Vi dichiaro, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è opera d'uomo; perché io stesso non l'ho ricevuto né l'ho imparato da un uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo” (Galati 1:11,12). Esso non è frutto di immaginazione e di invenzione umana, ma corrisponde agli eterni propositi di Dio rivelati fin dalle epoche più antiche ed in più riprese nel corso della storia ai Suoi eletti. Esso è “vangelo”, cioè una gioiosa notizia: quella della salvezza della creatura umana dalla maledizione del peccato attraverso l’opera di Gesù Cristo, la quale ci riconcilia con Dio e rimettendoci in rapporto vitale con Lui ci mette in condizione di poter vivere una vita sana e significativa dalle prospettive eterne.

Approvati da Dio. Benché indegnamente, dice l’Apostolo, io ho ricevuto questo preciso compito e responsabilità: comunicare l’Evangelo di Dio e questo è e deve essere il compito primario di ogni ministro di Dio e di ogni cristiano. Egli è stato per questo “approvato da Dio”: “…ma come siamo stati approvati da Dio che ci ha stimati tali da poterci affidare il vangelo” (4 a). Agli apostoli ed agli evangelisti è stato affidato l’Evangelo non perché ne fossero degni (Paolo sapeva di non esserlo) ma essi consideravano questo incarico come espressione nei loro confronti della grazia di Dio.

Priorità. Si tratta di un dovere da svolgere di importanza primaria, un compito prioritario, perché che cosa vi può essere di più importante che la salvezza della creatura umana dal peccato e dalle sue tragiche conseguenze? Sempre l’Apostolo, in un altro testo, scrive: “Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo!” (1 Corinzi 9:16). Necessità ci è imposta, perciò, comunicare il messaggio evangelico in ogni luogo, ad ogni persona, tempo e circostanza. A Timoteo Paolo scrive: “predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, rimprovera, esorta con ogni pazienza e dottrina” (1 Timoteo 4:2).

Non senza frutto. Annunciare l’Evangelo, quindi, ma non in modo titubante, incerto, con l’incertezza se esso funzioni o non funzioni. Paolo è persuaso che esso è veramente potenza di Dio. Scrive: “io non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede!” (Romani 1:16). La potenza dell’Evangelo Paolo l’ha sperimentata, anche a Tessalonica: “Vi stessi, fratelli, sapete che la nostri venuta tra voi non è stata vana” (1). I cristiani di Tessalonica sanno che l’opera evangelistica in mezzo a loro degli apostoli non è stata inutile. Sanno perché hanno avuto esperienza diretta dell’efficacia salvifica dell’Evangelo di Cristo, potenza di Dio per la salvezza di ciascuno che ad esso si affida. Le loro vite trasformate sono testimonianza e confutazione vivente della falsità delle accuse degli avversari della fede cristiana. Coloro che sono stati strappati al futile culto di idoli vani sono nella posizione migliore per dimostrare che “l’ingresso”, “la venuta” dei predicatori cristiani non è stata vana, vuoto di realtà e di forza. La nostra missione, dice Paolo, non è stata vuota come un vaso privo di contenuto. L’annuncio dell’Evangelo non è mai battere l’aria a vuoto: “Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l'aria” (1 Corinzi 9:26). Abbiamo noi questa certezza e determinazione?

Carattere dell’annunzio apostolico

Certezza e determinazione: è stato questo lo spirito degli apostoli e dei loro collaboratori?

Certamente. Il loro ministero, il loro lavoro, le loro responsabilità, essi lo hanno portato avanti con diligenza. Quali sono state le caratteristiche del lavoro che essi hanno svolto? L’Apostolo lo mette in evidenza in questo testo. Prima di tutto:

Coraggio. “…anzi, dopo aver prima sofferto e subìto oltraggi, come sapete, a Filippi, trovammo il coraggio nel nostro Dio, per annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte” (2). Per annunciare l’Evangelo di Dio ci voleva e ancora ci vuole coraggio. Il corpo stesso degli apostoli e degli evangelisti portava ancora visibili le cicatrici della vergate (Atti 16:23) e delle umiliazioni ingiustamente subite per aver voluto annunciarlo. Quale migliore “raccomandazione” per gli apostoli? Le ingiurie e gli insulti ricevuti erano credenziali sufficienti per mostrare ai Tessalonicesi che la loro venuta non ha proprio nulla a che fare con quelle di quei tanti vuoti ciarlatani di religione che ogni tanto comparivano pure nelle loro città. Da quanto è disposto a “pagare” per l’Evangelo (non a “guadagnare”…) si riconosce un autentico discepolo e ministro di Cristo. “Chi glielo avrebbe fatto fare” a sopportare tutte quelle difficoltà se Paolo e gli altri fossero stati solo dei miserabili profittatori? Essi hanno avuto il coraggio di una totale franchezza nel loro annuncio, quella che scaturisce dalla loro fiducia in Dio, persuasi in modo assoluto che il loro messaggio non proviene da uomini, ma da Dio stesso. Il loro coraggio lo hanno trovato “in Dio”. L’Evangelo non è un espediente umano, un palliativo, per alleviare solamente i sintomi del peccato, un cerotto da mettere su una ferita, una consolazione a buon mercato, un anestetico… La fede cristiana non è la sapienza accumulata di anime pie, né è frutto delle introspezioni d’uomini dal genio religioso, ma i piani di Dio stesso per venire efficacemente a capo del peccato umano. Le opposizioni e le lotte degli apostoli sono state violente ed esse stesse testimoniano della violenta reazione delle forze del male contro l’autentico loro nemico. Le forze del male “tollerano” e si compiacciono di false religioni, ma non possono sopportare chi davvero le metterebbe in pericolo. Se come cristiano non hai mai difficoltà nel vivere e proporre l’Evangelo, probabilmente c’è qualcosa che non va nella tua professione di fede! Non solo coraggio, ma anche:

Completa trasparenza. “Perché la nostra predicazione non proviene da finzione, né da motivi impuri, né è fatta con inganno” (3). Quali erano le motivazioni dell’opera dell’Apostolo o, come qualcuno direbbe: “le motivazioni nascoste, inconfessabili…”? Finzione, motivi impuri ed inganno erano le accuse che venivano rivolte agli apostoli per il loro ministero. Paolo, però, può dare ampia dimostrazione che questo non è proprio il caso! La testimonianza dei cristiani di Tessalonica e le sofferenze sopportate dagli apostoli ne sono le prove. Paolo e gli altri possono dimostrare di aver solo servito Dio ed il bene dei loro convertiti. La loro predicazione non è provenuta da inganno od errore. Paolo non era né un matto né un furfante, un mascalzone, né un ingannato né un ingannatore. La sua missione non era un sordido tentativo di avere profitto personale dalla predicazione, non nascondeva motivazione impure come l’avidità di denaro, né era uno strumento per conseguire fama e popolarità personale. Oggettivamente non si sa proprio quale vantaggio terreno avrebbe potuto “guadagnare” Paolo dalla sua opera. Se lo avesse cercato, avrebbe fatto ben altro! Ad essere in malafede erano gli avversari, nella loro gelosia. Essi non facevano che riproporre le stesse accuse che Gesù stesso aveva ricevuto e che lo aveva portato ad essere crocifisso. Gesù disse: “Il servo non è più grande del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra” (Giovanni 15:20). Coraggio, dunque, trasparenza, ma anche per:

Compiacere Dio. Vi è chi fa qualcosa solo per essere ammirato, per essere applaudito da chi conta, per ricevere l’approvazione delle autorità, di chi sta al potere, degli uomini. Vi sono molti conformisti e persone servili nel mondo. Non così gli apostoli: “noi parliamo in modo da piacere non agli uomini, ma a Dio che prova i nostri cuori” (4 b), e ancora: “Difatti, non abbiamo mai usato un parlare lusinghevole” (5 a). L’unico obiettivo di Paolo era quello di compiacere Dio, il quale gli aveva affidato l’Evangelo, non quello di compiacere gli uomini, predicando quello che essi amano sentire. Vi è infatti chi predica ciò che è gradito e popolare per acquistare l’umana approvazione e gloria, e, in questo modo, guadagno personale. Che però gli uomini abbiano o non abbiano piacere della predicazione dell’Evangelo non importa: è Dio che bisogna compiacere. La loro fedeltà alla dottrina di Dio era la prova della loro vocazione divina, perché essi predicavano non per assicurarsi il favore degli uomini, ma quello di Dio: “Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Galati 1:10). Il Signore conosce la sincerità del loro cuore. Non vi è motivazione impura o astuta, come quelle che potrebbero ingannare gli uomini, che Gli possa sfuggire. Il senso di un continuo ed onnisciente scrutinio rende impossibile nell’apostolo la disonestà. Forse che allora magari l’apostolo predica l’Evangelo per averne un guadagno materiale, una “buona paga”? No…

Non per cupidigia. Egli afferma: “…come ben sapete, né pretesti ispirati da cupidigia; Dio ne è testimone” (5 b). “infatti è lavorando notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi, che vi abbiamo predicato il vangelo di Dio” (9 b). Dio sapeva che la loro predicazione non era semplicemente un pretesto per soddisfare la loro avidità, anzi, gli apostoli non volevano minimamente gravare nemmeno economicamente sui credenti, e lavoravano per non essere di peso ad alcuno, pur consapevoli che un operaio di Dio è pure degno del suo salario. Pur sapendo di averne diritto, perché l’operaio è degno del suo salario, Paolo spesso rinunciava al compenso materiale e si manteneva da solo per evitare anche solo il sospetto che lo facesse per interesse.

Non solo, ma anche…

Non per averne gloria. Dice: “E non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità” (6). Gli apostoli non predicavano per soddisfare il loro desiderio di dominare sulle coscienze, per gonfiarsi di orgoglio, pieni di sé stessi e della loro presunta importanza davanti alla quale tutti avrebbero dovuto inchinarsi. E’ un’accusa comune verso i ministri dell’Evangelo, il desiderio di dominare sulle coscienze. Non è escluso che qualcuno lo abbia fatto, e che qualcuno ambisca il compito di pastore d’anime per il piacere di manipolare la gente. Non così Paolo, non così Pietro, il quale scriveva ai pastori d’anime: “pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo; non come dominatori di quelli che vi sono affidati, ma come esempi del gregge. E quando apparirà il supremo pastore, riceverete la corona della gloria che

non appassisce” (1 Pi. 5:2-4). Di fatti è proprio così che si dimostrava l’Apostolo, manifestando non spirito di dominio, ma:

Amorevole cura. “…invece, siamo stati mansueti in mezzo a voi, come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini” (7). “…come fa un padre con i suoi figli” (11). Gli apostoli si sono comportati nei confronti dei credenti con la amorevole cura che solo dei bravi genitori possono dare, con amore, serietà e spirito di sacrificio. Lungi dal volere solo servire il proprio ego, il loro esempio è sempre stato solo quello di totale altruismo, dimentichi totalmente di sé stessi come una madre che pur di prendersi cura di suo figlio è disposta a “togliersi il pane di bocca”. Una madre che allatta il proprio figliolo non fa sfoggio di autorità . Una madre nel prendersi cura dei suoi figli rivela un meraviglioso e straordinario amore, perché per loro non risparmia alcuno sforzo o sacrificio; per loro darebbe il suo stesso sangue. Questo è pure ribadito nel versetto 8, dove l’atteggiamento suo egli lo descrive come di:

Totale disponibilità. “Così, nel nostro grande affetto per voi, eravamo disposti a darvi non soltanto il vangelo di Dio, ma anche le nostre proprie vite, tanto ci eravate diventati cari” (8). I missionari non erano venuti per prendere, ma per dare, e per dare non solo l’Evangelo, ma tutto loro stessi completamente, perché il loro non era stato un predicare senza vita che scaturiva da cuori privi di amore. Se “prendere” e sfruttare può essere stato nella storia l’atteggiamento di falsi missionari, non questo era quello degli apostolo. La loro era una predicazione efficace perché sorgeva proprio dal loro impegno completo, da un amore profondo ed autentico verso quelle persone che volevano raggiungere con l’Evangelo. Dobbiamo imparare che questo è l’atteggiamento giusto nell’evangelizzazione, senza il quale nessun’anima potrà essere nconquistata a Dio. La predicazione apostolica è qui pure caratterizzata di appello accorato alla conversione.

Esortando. “…sapete pure che, “come fa un padre con i suoi figli abbiamo esortato, confortato e scongiurato ciascuno di voi a comportarsi in modo degno di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (11, 12 a). Se prima Paolo si paragonava ad una madre o nutrice che allatta, ora egli si paragona pure ad un padre che manifesta fedeltà e forza nei suoi consigli. Egli faceva loro appello con incoraggiamenti come pure con solenni ingiunzioni. Incoraggiare ed ammonire i credenti è essenziale per il loro progresso spirituale, che sarà in proporzione a quanto avranno appreso sui privilegi e responsabilità della loro alta vocazione. L’ammonimento può essere sgradevole ed apparire inopportuno o impopolare, ma la Parola di Dio lo considera, quando fatto a tempo e modo, del tutto salutare. I cristiani, infatti, devono ambire a comportarsi sempre in modo degno di persone che hanno un tale Dio e sono Suoi servitori e figli. “infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13). Sebbene i credenti siano già per grazia sudditi del regno di Dio, essi ne attendono la manifestazione in gloria.

Duro lavoro. Gli apostoli “non mangiavano il pane di pigrizia”, “…perché, fratelli, voi ricordate la nostra fatica e la nostra pena” (9 a). Gli apostoli hanno sempre manifestato impegno e lavoro costante. La comunità di Tessalonica ben sapeva quali sacrifici gli apostoli avevano dovuto affrontare per portare loro l’Evangelo senza aggravio della comunità, con grande fatica ed impegno e ne erano riconoscenti, smentendo così le accuse dei loro avversari. Un’ultima descrizione dell’opera degli apostoli è che essi la svolgevano……

In modo irreprensibile. “Voi siete testimoni, e Dio lo è pure, del modo santo, giusto e irreprensibile con cui ci siamo comportati verso di voi che credete” (10). La testimonianza apostolica era dunque inappuntabile e corretta, e questo era sotto gli occhi di tutti che ora la potevano giudicare. Di fronte alle accuse degli avversari, la testimonianza degli Apostoli e dei loro collaboratori era tale che essi potevano dire: “Qualunque cosa gli increduli possano dire di noi, voi che credete al nostro messaggio sapete molto bene come abbiamo vissuto fra di voi, il che è stato una conferma e non una contraddizione di questa testimonianza”.

Conseguenza

Anche di fronte ad una testimonianza irreprensibile dei credenti e dei ministri della Parola di Dio, dunque, “ci saranno sempre critiche”. Non deve diventare però una scusa per noi per non puntare sempre all’eccellenza della nostra opera. Un’opera validamente condotta porterà sempre frutto. L’apostolo conclude, dicendo: “Per questa ragione anche noi ringraziamo sempre Dio: perché quando riceveste da noi la parola della predicazione di Dio, voi l'accettaste non come parola d'uomini, ma, quale essa è veramente, come parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete” (13).

Il messaggio si rivela sommamente efficace perché non è un prodotto umano. Essa è una parola vivente ed efficace. Gli apostoli così dicono: “Vi abbiamo dimostrato con il nostro comportamento che l’Evangelo non è un messaggio nostro, di nostra invenzione, da noi strumentalizzato, ma il messaggio di Dio stesso inteso a trasformare efficacemente la vita di tutti coloro che ad esso si affidano e dare loro salvezza eterna dal peccato e riconciliazione vitale con Dio.

L’apostolo ed i suoi collaboratori sono così riconoscenti verso Dio che, nonostante tutto ciò che gli avversari avessero potuto dire, i loro sforzi non erano stati vani: il loro messaggio è stato accolto quale esso è veramente, cioè come Parola di Dio, vivente ed efficace. É pure così vero che per trasformare il cuore umano è necessario molto più che un ascolto esteriore dell’Evangelo: esso deve essere accolto non come una parola inventata dall’uomo ma come verace Parola di Dio. E’ il Signore Gesù risorto che sta dietro alla testimonianza dei Suoi apostoli tanto che la loro parola era rivestita con la Sua autorità e poteva quindi essere identificata come Parola di Dio stessa. Per questo più tardi Paolo dirà: “Così dunque, fratelli, state saldi e ritenete gli insegnamenti che vi abbiamo trasmessi sia con la parola, sia con una nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2:15). La rivelazione accordata agli apostoli era unica nel suo genere ed irripetibile, tanto che più tardi essa avrebbe dovuto essere messa per iscritto. Gesù pregava, dicendo: “Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola” (Giovanni 17:20).

Proprio perché si tratta di una parola d’origine divina, essa si dimostra efficace in coloro che come tale la accolgono. Se dunque l’opera dei ministri della Parola di Dio ed il messaggio evangelico stesso è oggi screditato, non ne siamo sorpresi: esso avrà sempre opposizione in questo mondo, ma adoperiamoci altresì affinché la nostra testimonianza, sia di ministri della Parola che di ogni cristiano, sia il più possibile irreprensibile e soprattutto veramente fedele alla Parola di Dio. Non dovremo allora temere che essa non porti frutto alla gloria di Dio, quando, dove e come Egli sovranamente vorrà.

(Paolo Castellina, riproposizione della predicazione dell’8 luglio 2001).