Marco 8:31-38

Due modi di ragionare

Vi ricordate quando eravate a scuola nelle sue varie fasi, da bambini e poi adolescenti? Che ricordo ne avete? Come tutti, io avevo le materie che più mi piacevano e quelle meno in dipendenza pure dalla bravura o meno degli insegnanti. Ancora oggi mi capita di sognare di notte esperienze scolastiche negative ed ansiogene.

A scuola non si imparano soltanto nozioni ed abilità, ma si impara pure a ragionare. Una volta una maestra aveva detto ad uno scolaro: "Quanti lati ha il triangolo?". Lo scolaro: "Tre". "...e il rettangolo?". "Quattro". "...e il triangolo rettangolo?". "Ne ha sette, è ovvio!". Ovvio? Quello scolaro doveva imparare meglio la logica, imparare a ragionare, a pensare. Talvolta ci capita di dire anche ad un adulto: "Ma come ragioni?". Non si tratta solo di pensare prima di fare o dire qualcosa (e questo sarebbe già essenziale), ma anche di valutare con quali criteri si pensa. In effetti, uno pensa ed agisce in un modo, l'altro in un altro, perché l'uno e l'altro ragionano sulla base di presupposti diversi, con diversi parametri di riferimento, sulla base di valori diversi o prefiggendosi obiettivi diversi.

Il discepolato cristiano

Uno degli appellativi con i quali ci si riferisce a Gesù di Nazareth è "il Maestro". Quando, infatti, ci rendiamo conto di chi lui era e rimane. lo consideriamo il Maestro con la M maiuscola, il Maestro per eccellenza. Ci rendiamo infatti conto che non c'è mai stato né vi sarà nessuno come Lui. Una volta Egli stesso disse: "Voi non fatevi chiamare maestro, perché uno solo è il vostro maestro: Il Cristo, e voi siete tutti fratelli" (Matteo 23:8 ND). Chi lo seguiva era essenzialmente un discepolo, uno studente. Coloro che Gesù chiamava a seguirlo venivano chiamati "discepoli" (studenti, apprendisti) ed iniziavano un cammino di discepolato. Essi abbandonavano il loro stile di vita e apprendevano da Gesù non solo un messaggio e un nuovo modo di comportarsi, ma anche e soprattutto un nuovo modo di vedere le cose, un nuovo modo di pensare.

Sicuramente per assumerlo ci voleva il suo tempo e il necessario impegno. Gesù diceva: "Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre" (Matteo 11:29). Lo stesso avviene anche oggi: la vita del cristiano autentico è una vita di discepolato. Chiamato dall'Evangelo a seguire Gesù, egli fa esperienza della conversione (il "lasciare" il mondo dell'incredulità e dell'errore) e della fede in Gesù. Gesù, così, "si prende carico" di lui ed egli inizia un cammino dove gradualmente apprende nozioni e comportamenti, ma anche un modo diverso di pensare, quello di Dio in Cristo. E' un cammino che di fatto dura una vita. Quando Cristo si prende carico di noi, Egli ci salva, ma il "diploma finale" di quesa scuola lo conseguiremo solo alla fine, dopo una vita di impegno verso noi stessi e di servizio per gli altri, di "alti e bassi", di successi, ma anche di cadute e rimettersi in piedi in marcia. La vicenda dei primi discepoli di Gesù narrata nei vangeli, ma anche dei cristiani oggetto e protagonisti del resto degli scritti neotestamentari è parabola di questa vita cristiana come pure insegnamento stesso.

Il testo biblico

(31) Poi cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell'uomo soffrisse molte cose, fosse respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, e fosse ucciso e dopo tre giorni risuscitasse. (32) Diceva queste cose apertamente. Pietro lo prese da parte e cominciò a rimproverarlo. (33) Ma Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: «Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». (34) Chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. (35) Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà. (36) E che giova all'uomo se guadagna tutto il mondo e perde l'anima sua? (37) Infatti, che darebbe l'uomo in cambio della sua anima? (38) Perché se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli»" (Marco 8:31-38).

Una "necessità" incompresa

1. Affermazioni sconcertanti. La terribile sofferenza e morte di Gesù, inchiodato ad una croce come il peggiore fra i criminali, non era stata una tragica fatalità. "Era necessario" (31), dice la Scrittura, e Gesù non ne aveva mai fatto mistero, né ai Suoi discepoli, né alla gente1, infatti "diceva queste cose apertamente" (32). Sulle prime, magari, non ci avevano tanto badato: "...chissà, questa profezia avrà un qualche significato simbolico. ...e poi chi è questo fantomatico 'Figlio dell'uomo' : il Messia? Il Salvatore? ...ma, chi ce ne capisce qualcosa...".

Poi, però, quando i discepoli di Gesù avevano cominciato ad intendere che quando Gesù parlava - ed insisteva - su questo Messia sofferente, perseguitato dalle autorità, tradito, arrestato e legato, colpito, sputacchiato, schiaffeggiato, flagellato e finalmente inchiodato ad una croce per morire dopo indicibili tormenti, parlava di Sé stesso, ebbene, erano rimasti scioccati ed allibiti. Pietro si fa così coraggio e con calma, prende Gesù da parte, privatamente, per dissuaderlo tentando di farGli capire l'insensatezza di quello che diceva. Vuole convincere Gesù a "non esagerare", a "pensare bene" a quel che diceva, così "..Pietro lo prese da parte e cominciò a rimproverarlo" (32): "Sei Tu quell'uomo ...e per di più tutto questo sarebbe 'necessario'? Ma che dici? Sei pazzo? Stai sragionando! E' assurdo... sarebbe una catastrofe per tutti i nostri progetti... Se vuoi aver successo, non è certo questa la strada che devi prendere! ...morire e poi risorgere il terzo giorno: ma che dici! Perché mai andarsi a cacciare in questi guai quando se ne può benissimo fare a meno! Necessario? Io non so più che cosa pensare...".

Sì, al mondo pare "assurda" la "teoria" della necessità dell'espiazione vicaria di Gesù sulla croce, anzi, per il mondo tutto il suo contesto è "assurdo": la nostra responsabilità verso una Legge morale oggettiva data da Dio alle creature umane, il giudizio a cui verremo sottoposti, la condanna che giustamente subiremo a causa dei nostri peccati, il concetto stesso di peccato e delle sue conseguenze penali. Tutto questo per il mondo è insensato. Anche fra alcuni cosiddetti cristiani questo quadro concettuale è "irricevibile", "superato", "da rivedere…". Pietro ragionava "secondo il mondo".

Già, non aveva forse poco prima, Gesù, "consacrato" Pietro alle glorie del Regno di Dio sulla terra, promettendo che niente e nessuno l'avrebbe mai potuto ostacolare e sconfiggere? "Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa roccia io edificherò la mia chiesa e le porte dell'inferno non la potranno vincere. Ed io ti darò le chiavi del regno dei cieli..." (Mt. 16:18,19).

Pietro scuote la testa scandalizzato, ma ora è Gesù che si arrabbia e si scandalizza!

2. La reazione di Gesù. Il testo dice: "Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: «Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini» (34). E' una forte riprensione quella che Cristo rivolge a Pietro con un occhio anche agli altri discepoli, di cui pare il portavoce. Non era certo allegramente che Gesù andava verso il destino di cui era consapevole e che coraggiosamente accettava. La Sua reazione è - possiamo immaginarlo, sia di rabbia che di fastidio. Rabbia perché sembrava un'impresa disperata educare quegli uomini ad un diverso modo di pensare e di agire. Certo, Pietro aveva inteso per rivelazione che dietro all'uomo Gesù si nascondeva il Salvatore, il Messia, il Signore, ma ancora "non aveva il senso delle cose di Dio".

...né dei propositi di Dio. Pietro parlava come uno che ancora non aveva compreso i propositi e la sapienza di Dio. I nemici più potenti non avrebbero potuto sopraffare Colui che né malattia né morti, né vento né onde avevano sconfitto e al quale anche i demoni avevano dovuto piegarsi ed ubbidire. Pietro pensava alle sofferenze di Cristo come ad un pur evitabile e inutile sacrificio. La prospettiva di Pietro era però limitata: la vicenda di Cristo sarebbe stata di valenza cosmica: con essa sarebbe stato pagato completamente il prezzo del peccato di coloro che Dio Gli aveva affidato per ricevere la grazia della salvezza. Senza di essa davvero tutti sarebbero stati perduti per sempre a causa dei loro peccati. Quella sofferenza e quella morte di Cristo non sarebbe stata né un incidente né una vittoria dei suoi nemici. Era invece secondo il determinato consiglio della volontà di Dio, cosa che era stata persino dichiarata dalla verità ispirata della Scrittura. Dice Isaia: "Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani" (Is. 53:10).

...né dello "stile" di Dio. Pietro non aveva ancora nemmeno capito "lo stile" di Dio: non uno sfoggio di forza e di grandezza, ma di dedizione ed umile sacrificio, non di esaltazione, ma di abbassamento, non "i propri comodi" e "la via facile", ma la totale offerta di sé stessi per gli altri e la "la via stretta ed ardua". Lo "stile" di Dio è sempre stato "una follia" per l'uomo, eppure è l'unica via davvero vincente e produttiva. L'apostolo Paolo scrive: "noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Corinzi 1:23-25).

Un tentatore. Essendo toccato sul punto più sensibile, e dissuaso proprio da ciò che il Suo cuore era focalizzato, Pietro assume nulla di meno che la funzione di Satana, del tentatore. Cristo chiama Pietro, infatti, "Satana" perché in quel momento Pietro ripeteva in fondo le stesse parole che il diavolo gli aveva detto, quando aveva suggerito a Cristo, tentandolo, di perseguire i Suoi obiettivi in modo "più facile e sicuro", non attraverso il sacrificio, ma attraverso un atto di forza e potere, via tanto attraente quanto ingannevole. Quella era pure la logica e la sapienza di questo mondo, suggerita dal nemico di Dio. Cristo sembrava dire: "Taci, smettila anche tu... già tutti mi attaccano, Satana mi tenta, la mia carne si ribella... ti ci metti anche te a ostacolare i propositi di Dio e a darmi fastidio con la tua insensibilità e incomprensione?".

L'urgenza di cambiare mentalità

Gesù coglie così l'occasione per ribadire alla folla che lo segue il messaggio che è il filo conduttore di tutto il Suo ministero: la necessità urgente ed improrogabile della conversione alla mentalità di Dio, l'unica ad essere veramente vincente e produttiva, nonostante le apparenze e le pretese umane di maggior sapienza.

Il profeta Isaia annunciava da parte di Dio: "Lasci l'empio la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al SIGNORE che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare. 8 «Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie»,dice il SIGNORE.9 «Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri" (Isaia 55:7-9).

Difatti, alla folla, dopo questo incidente, Gesù parla della via vincente del negare sé stessi per darsi totalmente agli altri e della via, del tutto da imitare, del sacrificio "Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (34). E ancora: "Vi illudete, se pensate che badare solo ai fatti vostri e al vostro esclusivo benessere alla fin fine sia pagante, infatti: "...chiunque vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salverà. Che gioverà infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l'anima sua?" (35,36).

Certo la vita è cosa preziosa, ed un uomo per essa è pronto a dare ogni cosa. Preservarla è un principio della natura, ed è appropriato che si prenda ogni legittima misura per salvare la propria vita quando è minacciata o si è in pericolo. Chiunque però pretende di salvarla alla proprie condizioni, chiunque disprezza la via della salvezza, l'unica, stabilita da Dio, ebbene, finirà solo per perderla e rovinarla e non gli rimarrà che il proverbiale "pugno di mosche". Chiunque ignora e disprezza Cristo ignora e disprezza l'unica ancora di salvezza a sua disposizione. Questa si che è follia. Chiunque "si vergogna" di Cristo e della Sua via ritenendo migliori altre, è più che sicuro che si perderà e alla fine, alla resa dei conti, sarà Cristo, il suo Giudice, a non volerne sapere poi di lui. "Perché se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli" (38). Chi è che davvero "ragiona bene"? Siamo così di fronte a modi di pensare e di agire radicalmente diversi: quello di questo mondo corrotto e peccatore, e quello di Dio. I presupposti su cui si basano sono diversi, diversi i parametri di riferimento, diversi sono i loro valori e diversi gli obiettivi che vogliono perseguire.

C'è una totale incompatibilità ed incomunicabilità fra il modo di pensare e la logica di questo mondo e quella di Dio. Sono due modi di pensare che reciprocamente si accusano di "follia" e di "ragionare in modo storto", come Pietro e Gesù. Uno scuote la testa verso l'altro, ma chi alla fine avrà ragione? Non si tratta di modi di pensare equivalenti. Dice la Scrittura: "C'è una via che all'uomo sembra diritta,ma essa conduce alla morte" (Proverbi 14:12).

Il cristiano è colui che opera in sé stesso una vera rivoluzione culturale: l'abbandono di ciò che "sembra" e "pare" giusto e diritto, ma che solo alla fine si rivelerà una "via di morte". Senza questo cambiamento di mentalità, di modo di pensare, di modo di ragionare non vi sarà mai speranza. Quando la Scrittura ci indirizza ad una trasformazione del nostro "cuore" essa parla di una condizione della mente e dell'anima, che determina il modo in cui si ragiona, i propri valori, le proprie priorità, ciò che si ama e ciò che si detesta, ciò a cui si dà importanza, che deve essere cambiata. In questo si riassume, alla fin fine il messaggio dell'Evangelo.

"Proprio non ti capisco" dice l'uomo e la donna di questo mondo al cristiano quando, invece che "godersi la vita il più possibile" perché "è l'unica che si ha, prima che finisca", invece che profittare e sfruttare le situazioni per i propri interessi, incuranti di tutto e di tutti, segue le orme lasciate da Dio in Cristo, cosa che (secondo il mondo) vuol dire "perdersi dietro ad insostenibili fantasie".

Il Salvatore Gesù Cristo, però, che non è cieco o miope come quelli del mondo, dice: "No, vi dico; ma se non vi ravvedete, perirete tutti come loro" (Luca 13:5).

Quale sapienza apprenderemo e seguiremo noi?