Isaia 49:1-7

Contro ogni pronostico

Sintesi: Ci sono cose che avvengono spesso “contro ogni pronostico”. Un certo candidato politico “deve vincere”, ma non vince e sconfessa gli esperti in sondaggi. Imperi si consideravano eterni, ma sono caduti. Ideologie consideravano indiscutibili certi principi, “logiche” e leggi, ma non hanno prevalso come si credeva. Contro ogni pronostico ed azione ostruzionistica, prevarrà irresistibilmente la persona ed i valori di Gesù di Nazareth, così come avevano preannunciato gli antichi profeti di Israele. Vi arrischiate a contraddirli? Lo esaminiamo questa settimana studiando il testo di Isaia 49:1-7, uno di quelli che ci parlano del trionfo del Signore-Servo.

Valori capovolti

Essere padroni e non servi, questo è l’ideale della vita a cui molti aspirano. Essere servi lo considerano degradante, cosa da disprezzare. A servire “non si abbasseranno mai”, dicono. Per questo ambiscono al “potere”, in qualunque ambito e per esso sono pronti a tutto. Devono dominare, imporsi, esercitare quel “libero arbitrio” che essi esigono come inalienabile. Possono magari, temporaneamente, sottomettersi a chi capita essere il più forte e se ne ingraziano i favori, ma solo nella speranza di prenderne un giorno il posto, aumentando la propria influenza. Per questo vogliono sempre statre dalla parte di quelli che percepiscono essere, in ogni campo, “i vincitori”. Ritengono sia un dato di fatto il principio evoluzionista della “legge del più forte”, del più furbo, “valore” che essi sostengono e che sfruttano a piene mani. Il denaro è per loro lo strumento principale di queste loro ambizioni, denaro che essi cercano di acquisire il più possibile e con ogni mezzo, conservarselo ed aumentarlo. Per loro è pure importante fare sfoggio di quanto hanno conseguito con le loro ricchezze e potere. “Devono” far vedere “dove sono arrivati” e suscitare invidia. D’altro canto, fallire in queste ambizioni di potere è per loro la massima vergogna: se non riescono ad ottenerlo e ad esercitarlo, tutta la loro vita perde il suo senso ultimo. Allora preferiscono nascondersi e persino autodistruggersi, ma non senza aver dato un ultimo “colpo di coda” di potere per dimostrare di non essersi mai sottomessi.

Per chi vive di questi “valori” il Cristianesimo autentico (non quello compromesso alle logiche di potere di questo mondo) è oggetto del massimo disprezzo perché capovolge tutto ciò che credono essere importante nella vita. Gesù di Nazareth, infatti, è Colui che ha predicato e vissuto proprio l’opposto di quanto credono. Lui dice: “Chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti” (Marco 10:44). Gesù di Nazareth è Colui che, nel lavare Egli stesso i piedi dei Suoi discepoli, dice loro: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io” (Giovanni 13:14-15). Gesù di Nazareth è per definizione stessa “il Servo”, servo prima di tutto di Dio e servo di chi è privo di potere, il “nullatenente” e il “dipendente” per eccellenza. Egli è il Signore, anzi, il “Re dei re ed il Signore dei signori”, ma in una prospettiva del tutto diversa da quella che va per la maggiore in questo mondo. ...e sapete una cosa? Sarà Lui a vincere contro ogni umano pronostico. Gli antichi profeti di Israele non si sono mai sbagliati.

La missione del Signore-Servo

La prospettiva del Signore-Servo, incarnata da Gesù di Nazareth, è quella, infatti, che era stata preannunciata dai profeti di Israele e in particolare da Isaia. Spesso citati nel Nuovo Testamento, sono testi preziosi che non solo preannunciano ciò che si è manifestato in Gesù Cristo, ma la cui attenta analisi ci serve per approfondire la conoscenza del nostro Signore e Salvatore. Esaminiamo così oggi quanto è riportato nel capitolo 49 di Isaia, i primi sette versetti dove, in prima persona è quello stesso Servo che parla, ed è come se guardasse alla sua missione in retrospettiva.

Il Salvatore d'Israele e delle nazioni. “Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra, e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio». Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza. Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra». Così parla il SIGNORE, il Redentore, il Santo d'Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: «Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei prìncipi pure e si prostreranno, a causa del SIGNORE che è fedele, del Santo d'Israele che ti ha scelto»” (Isaia 49:1-7).

Questo testo Isaia inizia rendendo chiari i termini della vocazione e del ministero del Servo. Vi aveva già fatto riferimento precedentemente (42:1-9), ma ora ripete e rafforza ciò che già aveva rivelato in preparazione di ulteriori rivelazioni su questa figura-chiave.

Nella sezione precedente (capp. 40-48) Isaia aveva rivelato che Dio avrebbe redento Israele dall’esilio in Babilonia facendo uso del leader politico persiano Ciro, che pure Dio dichiara essere al Suo servizio! I peccati di Israele erano stati la causa della loro deportazione che, come metallo in una fornace li avrebbe liberati dalle loro scorie. Nel capitolo 49 e seguenti, il profeta, però, rivela che Dio avrebbe pure trattato il problema di fondo di quei suoi peccati attraverso la Persona e l’opera di un altro dei Servi di Dio, il Servo per eccellenza, il Messia. Quel Servitore, per altro, non avrebbe solo trattato il problema del peccato di Israele, ma quello del mondo intero. È così che Isaia passa dal trattare della liberazione fisica ad una liberazione spirituale, da un liberatore politico, Ciro, ad uno spirituale, il Cristo. La liberazione spirituale che Egli opera è quanto mai necessaria ed efficace oggi, nonostante ogni pronostico.

Un comune Salvatore

“Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre” (1). E ancora al versetto 6: “Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra»” (6).

Chi rivolge questo appello non è Isaia, ma Colui che parla attraverso di Lui, Colui del quale Dio Padre ha detto: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo» (Matteo 17:5). Il Servo di Dio rivolge qui un accorato appello non più solo ad Israele, il popolo eletto di Dio, ma alle “isole”, ai “popoli lontani”, lontani, remoti, non solo geograficamente rispetto ad Israele, ma lontani da Dio, moralmente e spiritualmente.

Nessuno può dire “Il Dio di Israele e il loro Messia riguarda loro e non noi. Io non sono israelita e quindi non mi interessa”. Il ministero e l’appello del Servo di Dio è rivolto a tutte le creature umane perché: “Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti” (Salmo 24:1). Colui che ha scelto Israele come Suo popolo particolare e testimone, non è una “divinità locale”, né solo espressione di una cultura particolare, ma il Creatore del cielo e della terra, e tutti a Lui apparteniamo. Vi è un solo Dio vero e vivente ed una sola razza umana, quella che Egli ha creato per essere in comunione con Lui. La nostra vita senza di Lui è priva del suo senso ultimo, è futile e vana. Essere lontani da Lui moralmente e spiritualmente è il nostro comune problema, e quel problema il Servo di Dio, è venuto per risolvere. Ai cristiani di Efeso, raggiunti dall’Evangelo di Cristo, l’apostolo Paolo infatti dice:“...ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell'inimicizia” (Efesini 2:12-14).

Infatti, Gesù aveva chiaramente detto: “Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore” (Giovanni 10:16). Egli è luce per tutte le nazioni.

Il Servo di Dio rende ben conto della sua vocazione e la dichiara. Non si tratta di una vocazione tardiva e circostanziale, ma Egli è il predestinato, Colui che Dio ha chiamato, stabilito con certezza, fin dal grembo di sua madre, anzi, Colui che è stato stabilito nei Suoi compiti dall’eternità, il grembo degli eterni propositi e decreti di Dio. Predestinato ad essere il Redentore sin da prima della fondazione del mondo, prima ancora che avesse l’essere in questo mondo come uomo. Dio lo ha chiamato a servire come Profeta, Sacerdote e Re. Lo è per eccellenza, in maniera unica, insostituibile e non delegata ad altri.

La Sua parola centra sempre l‘obiettivo

Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra” (2-3),

È la spada dello Spirito di Dio, che è la Parola di Dio, più affilata di una spada a due tagli. “Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4:12). Essa è una parola scomoda che mette in crisi chi l’ascolta, una parola che denuncia il peccato e le ingiustizie degli uomini, ne taglia il peggio e il meglio e colpisce mortalmente i suoi nemici. Come Gesù nella Sua vita terrena che metteva allo scoperto i peccati e confutava gli errori degli Scribi e dei Farisei, così fa oggi (quando è trasmessa in modo verace) e così pure farà negli ultimi giorni: “Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni; ed egli le governerà con una verga di ferro, e pigerà il tino del vino dell'ira ardente del Dio onnipotente” (Apocalisse 19:15).

Egli “mi ha nascosto nell’ombra della sua mano”, negli antichi propositi della divina Provvidenza, preservata e protetta da chi vorrebbe farla tacere, affinché non impedita realizzasse il compito per il quale era stato mandato: “..così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata” (Isaia 55:11). Quella Parola si rivela spesso essere come una freccia appuntita che penetra nella carne. Così l’insegnamento di Cristo: la spada della Parola di Cristo aveva colpito gli israeliti che erano vicino, e come freccia era stata lanciata lontano, nel tempo e nello spazio, per colpire il segno senza fallire. Era conservata nella faretra dei segreti propositi di Dio ed è stata scagliata per colpire lontano. È arrivata fino a noi e ancora colpisce nel segno. Il Signore Iddio ha una buona mira!

L’Israele autentico è il Cristo

...e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria»” (3). Questo versetto sembra identificare il Servo con il popolo di Israele nel suo insieme, ma non è così. Israele era il soprannome che era stato dato a Giacobbe “L'altro gli disse: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Giacobbe». Quello disse: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto»” (Genesi 32:27-29). Più avanti, in Isaia, al v. 5 è detto che il compito del Servo del Signore sarebbe stato quello "ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele", per ristabilire, cioè, il popolo di Israele in comunione di ubbidiente fedeltà a Dio. Il testo di Isaia indica, così, come il Servo non possa essere identificato con quella nazione come tale. Di fatto, è il Servo del Signore l'Israele ideale, l' Israele per eccellenza, l'Israele spirituale, quello che l'Israele carnale aveva mancato d'essere. Mentre il popolo di Israele fallisce il compito a cui era stato chiamato da Dio, il Suo Servo lo realizza pienamente.

Vivendo totalmente in armonia con la legge di Dio, Israele doveva essere "luce delle nazioni", il modello dei criteri di giustizia di Dio verso le nazioni circostanti (Deuteronomio 4:6-8). Dove gli israeliti avevano fallito, il Servo, l’Israele ideale, avrebbe avuto successo, stabilendo ciò che è giusto davanti a Dio. Israele, "il vero Israele" è una realtà spirituale più che materiale, carnale. Lo afferma l'apostolo Paolo: "...non tutti i discendenti [carnali] d'Israele sono Israele; né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza" (Romani 9:6-8). "Israele" è l'Eletto, il Cristo, il Servo fedele di Dio, come pure lo sono coloro che sono "in lui", quelli che sostanzialmente "gli somigliano", la vera chiesa. La realtà storica del popolo di Dio (la realtrà istituzionale, sia di Israele che della chiesa, non corrisponde necessariamente alla "sostanza spirituale" e non garantiscono nulla. Nessuno riponga fede in esse. La nostra fede non è in Israele o nella chiesa, ma nel Cristo che le trascende. Organizzazioni politiche e religiose possono (e devono) esprimere la realtà di Cristo, ma non la garantiscono. Esse spesso falliscono e sbagliano. Non così il Cristo. È grazie a Lui e in Lui che creature umane, quelle che per la grazia dell’elezione Dio Gli associa, sono salvate. La giustizia che le salva è quella procurata loro dal Cristo, il Servo, che per loro Egli la guadagna operando fedelmente ciò che è giusto e meritorio. È il Cristo l’ubbidiente, il diligente, il prudente e fedele servitore. Il nome di Israele appartiene solo a Lui ed a coloro che Gli vengono associati. È attraverso di Lui che la gloria di Dio viene manifestata.

È Cristo il fine di Dio in tutto ciò che Egli opera nella natura e nella grazia. Tutte le divine perfezioni sono glorificate in Lui, la sapienza, la fedeltà, la santità, la giustizia, l’amore e la misericordia di Dio. È in Lui che Dio si compiace.

Un servo frustato e frustrato?

Dal punto di vista umano, però, l’opera del Servo del Signore, del Cristo, appare essere un fallimento. Dice il nostro testo: “Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio»” (4).

È l’apparente “fallimento” della morte del Cristo su una croce. “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto. È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto” (Giovanni 1:10-11). Se il versetto precedente descriveva un Servo più che umano, questo presenta un Servo completamente umano. Quando Gesù muore in croce, infatti, sembra che abbia realizzato ben poco, anzi nulla. Persino i suoi discepoli ed amici Lo abbandonano. La maggior parte della gente considerava la sua vita come sprecata, gettata via per nulla. Persino Dio sembra averlo abbandonato. Sulla croce, infatti, Egli prega: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46). Dio non si rapporta all’arroganza ed all’oppressione di questo mondo con maggiore arroganza e maggiore oppressione, ma viene con l’umiltà, la vulnerabilità e l’impotenza di un bambino. Ciononostante, l’opera del Servo compiace Dio, non l’uomo. La giustizia dell’uomo dà al Messia solo una croce, ma la giustizia di Dio gli dà una corona. Il Servo di Dio avrebbe affidato la Sua opera a Dio e a Dio l’avrebbe affidata per una giusta ricompensa.

Questo versetto mette in evidenza come sentimenti di futilità e di fede in Dio non debbano essere reciprocamente esclusivi. Il Servo non ha un successo immediato, ma opera attraverso il sangue, il sudore e le lacrime. Eppure Egli affida a Dio il risultato finale del Suo ministero, fiducioso, nonostante l’apparente inefficacia. L’apostolo Paolo guarda al suo ministero dalla stessa prospettiva. “Com'è scritto: «Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello». Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:35-39). Se guardiamo solo a noi stessi e valutiamo quel che abbiamo realizzato, invece che guardare a Dio, potremmo scoraggiarci. Richiamando alla mente, però, i Suoi propositi, vivendo in Lui la nostra dignità e riscoprendo in Lui la sorgente della nostra forza, ne siamo incoraggiati. Difatti, il versetto successivo lo riafferma.

Un’opera dal successo sicuro

“Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza” (5).

Se dal punto di vista umano la missione di Gesù può essere considerata un fallimento, visto sono tanti quelli che Lo ignorano e l’avversano, Egli ha una certezza: che coloro che Gli sono stati affidati da Dio Padre per ricevere la grazia della salvezza, “le sue pecore”, verranno certamente a Lui e niente e nessuno potrà impedirgli di compiere fino in fondo la Sua opera. La Sua opera non verrà frustrata. Se dal punto di vista umano poteva essere scoraggiante vedere intorno a Sé tanta incredulità, Gesù ha una certezza: “...ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre” (Giovanni 10:26-29). Le Sue “pecore”, il vero Israele, sarà ricondotto a Dio: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore” (Giovanni 10:14-15). Sebbene non tutti gli Israeliti sarebbero stati e saranno salvati, perché induriti nella loro incredulità “Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia” (Romani 11:4-5).

Dio, che sempre Lo onora, è la sua forza per trattenerlo da ogni scoraggiamento, per proteggerlo dai suoi nemici, per sostenerlo nella sua opera come uomo, per accompagnarlo e metterlo in grado di realizzare la Sua opera, così come gli era stato promesso.

Disprezzato ma poi trionfante

“Così parla il SIGNORE, il Redentore, il Santo d'Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: «Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei prìncipi pure e si prostreranno, a causa del SIGNORE che è fedele, del Santo d'Israele che ti ha scelto»” (7).

L’umanità ribelle esprime tutto il suo odio ed il suo disprezzo verso il Signore, il Redentore ed il Santo, e verso il Suo servo. Gesù era disprezzato da chi allora deteneva il potere e voleva tenerselo stretto. Disprezzava l’umiltà della sua condizione sociale ed istruzione, per il Suo insegnamento, discepoli e seguaci. Lo disprezzava perché Egli non si poneva al livello dei regni di questo mondo e dei loro metodi: la Sua “diversità” era una minaccia perché li metteva tutti in questione e non avevano alcun intenzione che Egli dominasse su di loro. Per questo l’hanno perseguitato e minacciavano di ucciderlo, ed alla fine, l’hanno consegnato ai Romani perché fosse crocifisso. Un giorno, però, quando lo vedranno, dice la pfrofezia, i re si alzeranno in piedi per onorarlo, i principi si inchineranno davanti a Lui. Questo avverrà ed è avvenuto perché il Signore Lo ha scelto: egli, il Santo d'Israele, mantiene la sua parola. Così è avvenuto e così avverrà ancora. Il Signore Iddio è fedele alle sue promesse e l’ha risuscitato dai morti, gli ha dato gloria, lo ha esaltato alla Sua destra, gli ha dato doni da distribuire al Suo popolo. Il Suo vangelo si è diffuso nel mondo ed i principi ed i re della terra gli hanno reso omaggio. Sarà evidente come Egli, il servo di Dio, il Messia, il Cristo, è Colui che Dio Padre ha eletto come Redentore del suo popolo, capo dell chiesa e Giudice del mondo intero.

Conclusione

L’antica profezia di Isaia sul Servo di Dio, luce delle genti, parla della Persona e dell’opera gloriosa del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Essa si è realizzata ampiamente ed in tutto il mondo porta frutto abbondante. Così è stato fin dal tempo in cui, come riporta il libro degli Atti degli Apostoli, Paolo e Barnaba l’annunciavano con franchezza: “...Paolo e Bàrnaba rispondevano loro con coraggio. Dicevano: 'Noi dovevamo annunziare la parola di Dio a voi, prima che a tutti gli altri; ma dal momento che voi la rifiutate e dimostrate che non vi importa nulla della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha comandato il Signore: Io faccio di te la luce delle nazioni per portare la mia salvezza in tutto il mondo'” (Atti 13:46-47).

I valori di Gesù di Nazareth continuano ad essere derisi e respinti da tanti che preferiscono le tenebre di un mondo che crede che le lotte di potere fra interessi ed ideologie in competizione sia quello che lo fa progredire. Quel mondo e quei “valori” finirà però per autodistruggersi fra le sue irrisolvibili contraddizioni. Sarà suo giudice il Signore-Servo Gesù Cristo, l’unico che alla fine trionferà checché ne dicano tutti i pronostici sfavorevoli. L’appello a investire in Lui raggiunge ancora oggi le persone sagge e lungimiranti, sicure che la Parola di Dio annuncia sin dai tempi degli antichi profeti di Israele, si è sempre realizzata.

Paolo Castellina, 10 gennaio 2017.