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ALBERT SCHWEITZER (Kaysersberg, 14 gennaio 1875 – Lambaréné, 4 settembre 1965) nacque tedesco nell'Alsazia del Sud (territorio francese prima del 1871 e dopo il 1919). Suo padre era pastore luterano in un luogo comune a due nazioni (Francia e Germania) e due confessioni religiose (cattolica e protestante), bilingui. Era un bambino malaticcio, tardo a leggere e a scrivere, faceva fatica a imparare a scuola. Riusciva egregiamente invece nella musica: compose musica e suonò l'organo, da bambino prodigio. Aveva pochi amici, obbligato com'era a studiare pianoforte per ore. Oltre agli studi classici e alle lezioni di pianoforte, studiò teologia e filosofia, conseguì la laurea, ottenne la cattedra di teologia e, l'anno successivo, divenne preside della facoltà. Ma tutta Europa lo conosceva come musicista affermato (i suoi concerti attiravano migliaia di persone.
Nel 1904, lesse un giornale in cui si denunciava la mancanza di personale specializzato in Gabon (zona settentrionale dell'allora Congo) per svolgere attività medica. Albert decise, all'età di trent'anni, di iscriversi alla facoltà di Medicina; si specializzò a trentotto anni in malattie tropicali. Sentì irresistibile il richiamo-vocazione a spendere la sua vita a servizio dell'umanità più debole. Nel 1911 prese quindi la sua seconda laurea (in medicina), e si diresse verso Lambaréné, una città del Gabon occidentale in Africa Equatoriale Francese. In una lettera, Schweitzer spiegò: «In Europa molti mi possono sostituire anche meglio, laggiù gli uomini mancano». Si impegnò a raccogliere fondi per sostenere il suo viaggio: mobilitò amici e conoscenti, tenne concerti e conferenze. Infine, s’imbarcò a Bordeaux e approdò, 1913, a Lambaréné.
Approntò il suo primo ambulatorio alla meglio, ricavandolo da un vecchio pollaio, con una rudimentale ma efficace camera operatoria, accompagnato dalla moglie, come infermiera. I suoi inizi nel cuore dell'Africa furono assai difficili: oltre a dover lottare contro la natura (piogge torrenziali, animali feroci o infidi come serpenti e coccodrilli), dovette vincere la diffidenza degli indigeni prima, e poi la loro ignoranza. Non fu facile avvicinare gli ammalati che si fidavano solo dei loro stregoni; le cure del medico bianco non erano da principio ben accolte. La prima operazione di Schweitzer, su un trentenne nero, colpito da un'ernia che gli stava andando in peritonite, conscio che se avesse provocato la morte di quell'uomo anche la sua sorte sarebbe stata compromessa fu vincente e fu la prima di una lunghissima serie.
Cominciarono allora ad arrivare molti pazienti per malattie di ogni genere legate alla malnutrizione, e alla mancanza di cure e medicinali: elefantiasi, malaria, dissenteria, tubercolosi, tumori, malattia del sonno, malattie mentali, lebbra.
Quando i pazienti si riversarono a frotte nelle sue baracche per farsi curare, non seguivano le istruzioni del medico bianco: le pomate che dovevano essere usate per la cura della pelle venivano mangiate, altre volte ingoiavano in una volta sola un intero flacone di medicinale. Schweitzer però costruì a poco a poco un villaggio attorno al suo ospedale, e i malati vi arrivavano da ogni parte, spesso con le loro famiglie e tutti venivano ugualmente accolti, le loro usanze rispettate e così le loro credenze. Piano piano il "grande medico bianco" conquista la fiducia della gente di Lambaréné, e non solo. Dal profondo della foresta, da villaggi lontani anche centinaia di chilometri, arrivano malati desiderosi di cure. Schweitzer creò anche una comunità di medici volontari e le notizie di quello che stava facendo nel cuore dell'Africa Nera arrivarono fino in Europa.
Nel 1914 Hélène e Albert Schweitzer furono però arrestati: erano tedeschi in territorio francese. Dichiarati prigionieri di guerra furono espulsi dall'Africa, spediti in un campo di lavoro nel sud della Francia. Ma a fine guerra, nel 1918 tornarono in Alsazia, e poi, ripresi i concerti, raccolse ancora somme utili per tornare in Africa.
Nel 1924 Albert raggiunse di nuovo Lambarenè. Dell’ospedale non era rimasto nulla. Medico di mattina e architetto nel pomeriggio, Albert dedicò i mesi successivi alla ricostruzione, nell’autunno del 1925 l’ospedale poté già accogliere 150 malati e i loro accompagnatori. Alla fine dell’anno l’ospedale operava a pieno ritmo. Un’epidemia di dissenteria obbligò a distruggerlo e ricostruirlo ancora, per la terza volta (1927).
In Africa era un medico e un padre affettuoso. In Europa un insegnante, musicista, conferenziere, scrittore. Spesso insignito di lauree Honoris causa e di molteplici riconoscimenti, la rivista Time lo considerò ‘’il più grande uomo del mondo’’. Non era stato né il primo né l’unico medico ad inoltrarsi nella foresta vergine, ma il suo pensiero, il suo spirito, la sua personalità erano diventati un riferimento per molti che seguirono le sue orme. Sensibile, intelligente, rispettoso di ogni forma di vita, caparbio, uomo di fede, eppure umile, e timido.
Nel 1952 fu insignito del Premio Nobel per la Pace con il cui ricavato fece costruire un villaggio per i lebbrosi (Village de la lumière). Schweitzer non volle più ritornare a vivere in Europa, preferendo morire nella foresta vergine vicino alla gente a cui aveva dedicato tutto se stesso. Morì il 4 settembre 1965, ormai novantenne. I giornali occidentali ne annunciarono la morte: "Schweitzer, uno dei più grandi figli della Terra, si è spento nella foresta". Dagli indigeni con cui visse fu denominato Oganga Schweitzer, lo "Stregone Bianco Schweitzer".