fake news Locuzione inglese (lett. notizie false), entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti.
Corrispondente grosso modo all’italiano "bufala mediatica" - sebbene quest’ultima espressione faccia generalmente riferimento a notizie del tutto prive di veridicità - e utilizzato prevalentemente in ambito politico, il neologismo ha conosciuto amplissima diffusione a partire dal 2016, ed è entrato prepotentemente nel lessico giornalistico grazie all’impiego fattone l’anno successivo dal neoeletto D. Trump per sostanziare le sue campagne contro i mezzi di informazione. Al 2018 numerosi studiosi di comunicazione hanno criticato il suo impiego, sottolineandone la genericità e l’eccessiva diffusione, e hanno posto in connessione il fenomeno che essa designa con il più ampio concetto di posterità, intesa come pseudoverità costruita attraverso scelte individuali e collettive che fanno perno sull’emotività e le convinzioni condivise dall’opinione pubblica prescindendo del tutto o in parte dalla conformità con il reale. (Tratto da Treccani)
Claire Wardle propone di andare oltre la parola “fake news”, inutile per descrivere la complessità dei diversi tipi di misinformazione (la condivisione involontaria di informazioni false) e disinformazione (la deliberata creazione e condivisione di informazioni note per essere false), e di capire e spiegare come funziona quello che lei definisce "ecosistema della disinformazione" e suggerisce di concentrarsi su 3 punti dell’ecosistema dell’informazione:
Conoscere la grammatica delle fake news, distinguendo tra le diverse tipologie dei contenuti creati e condivisi.
Conoscere le motivazioni di chi crea questi contenuti.
Conoscere le modalità attraverso le quali tali contenuti vengono disseminati.
Individua 7 diversi modi di fare disinformazione per aiutare le persone ad orientarsi rispetto alla varietà e complessità dei contenuti che circolano.
1_Contesto ingannevole
Quando il contenuto reale è accompagnato da informazioni contestuali false. Un esempio, da questo punto di vista, è quello della prima campagna pubblicitaria di Donald Trump, che pretendeva di mostrare le immagini di migranti che superavano il confine tra Messico e Stati Uniti, mentre il filmato utilizzato si riferiva a migranti che stavano attraversando la frontiera del Marocco a Melilla in Nord Africa. Si trattava, dunque, di un contenuto vero utilizzato in un contesto sbagliato.
2_Contenuto ingannatore
Quando il contenuto viene spacciato come proveniente da fonti realmente esistenti e invece sono false. Durante la campagna elettorale negli Usa, Eric Trump e la portavoce Kellyanne Conway hanno entrambi retwittato una notizia proveniente dalla versione fake del sito ABC. Se si guarda con attenzione l'url del sito, ci si accorge che è abc.com.co, non il dominio ufficiale di ABC News. Anche il New York Times e Daily Mail sono stati recentemente copiati. Wardle scrive che c’è un sito, Clone Zone, che permette di fare queste operazioni con facilità.
3_Contenuto falso
Quando il contenuto è completamente falso, costruito per trarre in inganno, trarre profitto, procurare danno contro qualcuno. Un esempio è il sito di adolescenti macedoni che, durante la campagna elettorale, aveva creato articoli di informazioni false esclusivamente per fare soldi con il traffico generato dai clic, come ricostruito da Buzzfeed. Informazioni false vengono diffuse anche tramite immagini e video. Durante la campagna elettorale americana, ad esempio, hanno girato molto, in modo non corretto, delle immagini che potevano sembrare talmente autentiche da non essere messe in discussione, che invitavano gli elettori a rimanere a casa perché avrebbero potuto votare via sms.
4_Contenuto manipolato
Quando le immagini e i video vengono deliberatamente manipolati per trarre in inganno. Un paio di settimane prima delle elezioni Usa, ha girato una foto che mostra un funzionario di polizia arrestare alcuni votanti in un seggio elettorale. Una semplice ricerca ha permesso di verificare che la foto originale, risalente alle primarie in Arizona nel mese di marzo, era stata modificata e che i due uomini erano stati aggiunti.
5_Uso manipolatorio della satira
Quando non c'è intenzione di procurare danno, ma il contenuto satirico viene utilizzato per trarre in inganno. Quando Chuck Todd, riporta Wardle, ha intervistato Rudy Giuliani durante la trasmissione Meet the Press, lo ha incalzato su un tweet da lui presumibilmente inviato dopo il primo dibattito tra Trump e Clinton, in cui diceva: “Questo dibattito non è stato il migliore di Donald Trump, ma ce ne sono ancora altri due”.
Quando Giuliani ha chiarito di non aver mai twittato quelle parole, Todd è stato costretto a spiegare ai telespettatori che si trattava di un tweet proveniente da un account satirico dell’ex sindaco di New York.
6_Perché vengono creati questi tipi di contenuti?
Non è sufficiente limitarsi a conoscere le tipologie dei contenuti falsi e ingannevoli. Per riuscire a disarticolare il meccanismo dietro la diffusione di queste informazioni, scrive Claire Wardle, va conosciuto il motivo per cui vengono create. A tal proposito, Wardle ha elaborato uno schema che incrocia i 7 modi di fare disinformazione con 8 possibili motivazioni, che possono spiegare perché tali contenuti vengono prodotti.
Alcune delle otto motivazioni sono prese in prestito da Eliot Higgins, fondatore di Bellingcat, che spiegando cosa guida le fake news aveva parlato di “4 Ps”: propaganda, profitto (produrre informazioni false allo scopo di ingannare per motivi economici, facendo soldi con il traffico generato dai clic), influenza politica (cioè se i giornali approfondiscono le notizie e affrontano le più importanti questioni quotidiane o se si fanno dettare l’agenda dalla politica), interesse particolare (in caso di siti o fonti che si occupano di temi caldi, come i migranti o le comunità LGBT, ad esempio, andrebbe verificato se il particolare interesse per le questioni trattate sacrifichi l’accuratezza della linea editoriale). A queste, Wardle ne aggiunge altre quattro: faziosità, cattivo giornalismo, fare la parodia, provocare o prendere in giro.
Si tratta di un lavoro in itinere. Una volta che si inizia a far esplodere queste categorie e a metterle a confronto tra di loro, è possibile osservare la presenza di diversi modelli distinti per tipologie di contenuti creati per obiettivi specifici
7_I meccanismi di disseminazione dei contenuti
A favorire la disseminazione dei contenuti concorrono più elementi. I social network, spiega Wardle, hanno favorito l’atomizzazione delle notizie. In questo modo, essi creano le condizioni per cui “atomi” di propaganda sono diretti in modo mirato a utenti che sono più propensi ad accettare e condividere un particolare messaggio. Una volta che questi hanno condiviso un contenuto ingannevole o falso, altre persone, fidandosi della propria rete di contatti, potranno vederlo e condividerlo a loro volta. Questi “atomi” si diffondono come una scheggia attraverso l’ecosistema informativo alimentati da reti di fiducia tra persone in contatto uno-a-uno tra di loro.
Sono almeno quattro i canali di diffusione dei contenuti. Una parte è condivisa involontariamente sui social da persone che senza verificare approfonditamente rilanciano o ritwittano informazioni inaccurate o false. Poi ci sono i contenuti amplificati dai giornalisti, che devono diffondere informazioni che emergono dal web e dai social in tempo reale.
A questi si aggiungono quelli veicolati da gruppi vagamente collegati tra di loro che tentano di influenzare l’opinione pubblica e altri che sono prodotti da campagne sofisticate di disinformazione attraverso reti di Bot e fabbriche di troll. A tal proposito viene fatto l’esempio di un gruppo di adolescenti americani, sostenitori di Trump, che si sono connessi on line per cercare di influenzare in qualche modo le elezioni francesi di aprile 2017, attraverso la creazione di meme facilmente memorizzabili e di immediata comprensione.
Questi gruppi, spiega Claire Wardle, sfruttano il fatto che siamo meno critici nei confronti delle immagini che guardiamo scorrere ogni giorno o di quelle informazioni che supportano le nostre credenze. Di fronte a un meccanismo di diffusione di informazioni e messaggi così coordinato (come l’esempio degli adolescenti statunitensi prima citato), il nostro cervello avrebbe una facilità maggiore di essere ingannato. Esausti da un continuo flusso informativo, il nostro cervello seguirebbe scorciatoie per definire cosa è credibile e cosa lo è meno. “Quando vediamo più messaggi sullo stesso argomento, finiamo per credere a quelli ai quali siamo più esposti”, prosegue la ricercatrice. “Deve essere vero, diciamo. L’ho visto così tante volte!”
Come il sovraccarico informativo esaurisce il nostro cervello, così siamo influenzabili, conclude Wardle.
Cosa possiamo fare?
Tutti noi ogni volta che accettiamo in maniera passiva le informazioni, condividendo un post, un’immagine, un video, senza prima aver verificato, contribuiamo ad aumentare il rumore e la confusione.
Noi tutti svolgiamo un ruolo fondamentale in questo ecosistema. (...) Dobbiamo assumerci la responsabilità di controllare in maniera indipendente cosa vediamo online.
Leggi QUI: Cosa possiamo fare per migliorare l’ambiente digitale in cui viviamo
Sul punto, Wardle cita quanto detto da Craig Silverman, media editor di Buzzfeed, durante un’intervista a una trasmissione radiofonica, sulla necessità di uno “scetticismo emotivo”. Si tratterebbe cioè di insegnare ad andare oltre le reazioni istintive: “se siete troppo arrabbiati o compiaciuti (perché il vostro punto di vista è stato confermato) per il contenuto di un articolo, ricontrollate”. Un invito, insomma, a prendere del tempo e a non condividere in maniera automatica.
A queste riflessioni si aggiungono alcuni consigli di Margareth Sullivan sul Washington Post:
1) Consulta e confronta più fonti di informazione
2) Non condividere senza verificare
3) Se diffondi un contenuto falso, cerca di correggere velocemente
4) Cerca di avere un atteggiamento scettico verso l’informazione
5) Usa il pensiero critico