Fuori strada con un cartello
e una scritta:
“Anche io ho il diritto di studiare”
Occhi verdi evidenti,
naso e bocca invisibili,
sguardo fiero,
e piedi ben saldi al terreno.
Fissa l’obiettivo
e urla:
“Anche io ho il diritto di studiare”
A cinque anni
indossava la cravatta del padre
che le arrivava alla vita,
indossava la giacca con il taschino
che sfiorava delicatamente il suolo.
Così, imitava il giudice
di un tribunale
che non poteva fare a meno
Di guardare in tv.
A diciannove anni,
tanto vicina al suo nuovo inizio,
vede il suo futuro sfumato.
Svanito.
Cancellato da uomini armati davanti a lei.
La provocano senza pietà
e sanno quali punti toccare.
La rabbia supera il livello sopportabile,
il raziocinio tiene duro e spera di resistere.
Immagina se stessa
davanti a quel tribunale:
imputata perché donna,
colpevole perché donna.
Un sogno trasformato in incubo,
un incubo da cui pare impossibile svegliarsi.
Alla fine del tunnel,
una luce.
Una luce lontana,
si chiama Speranza.
Appare irraggiungibile
ma le dà la forza di continuare,
di continuare e di arrivare lì,
li dove il sogno,
è realtà.