Dal concorso nazionale di Letteratura e Poesia Teresah 2021
La prima volta che l’ho vista era seduta in un bar con alcune sue amiche. Era bellissima, con i suoi occhi blu e i lunghi capelli neri. Ciò che mi ha fatto innamorare di lei è stata la sua risata, così genuina, il suono più bello che avessi mai sentito. Casualmente il suo sguardo ha incrociato il mio e le ho sorriso, mi è esploso il cuore quando ho visto gli angoli della sua bocca che si contraevano leggermente all’insù, in una timida smorfia, e i suoi occhi imbarazzati che velocemente cercavano altro da guardare.
Prima di tornare a casa le ho scritto il mio numero su uno di quei tovagliolini di carta, con accanto il mio nome, per poi lasciarlo cadere sul suo tavolo. Non avrei mai pensato che un gesto così banale mi avrebbe portato a sposare proprio quella donna.
Dopo cinque anni di fidanzamento le ho chiesto di sposarmi in quello stesso bar e, nel sentire il suo timido “sì", ho provato le stesse emozioni del nostro primo incontro.
Il nostro rapporto ha però iniziato ad incrinarsi quando, con gli occhi di chi si sente colpevole, mi ha detto che non avremmo potuto avere dei figli. Mi è crollato il mondo addosso, diventare padre era ciò che più desideravo. Era ingiusto, ma inconsciamente ero deluso, avrebbe potuto parlarmene e poi… la donna è stata creata per poter accogliere la vita e lei non avrebbe potuto essere felice e rendermi felice. Che donna sarebbe stata dopo quella scoperta? Le ricordavo il suo fallimento tutti i giorni invece di farmi sentire ancor più vicino a lei, dentro di lei. Non avevo smesso di amarla, non potevo fare a meno di lei, quello che facevo dicevo di farlo per il suo bene, dopo sarebbe stata più forte.
Da quel giorno ho iniziato a lasciarle sempre meno spazio, temevo che avrebbe potuto trovare conforto altrove.
Dopo più di tre anni da quella dolorosa notizia le è saltata per la testa la stupida idea di voler decidere lei cosa farne della sua vita, voleva più libertà, ed io non gliene davo abbastanza. Quando ha detto di volermi lasciare l’ho supplicata di non farlo, le ho detto che sarei cambiato, di darmi una seconda possibilità.
Com’è facile ingannare una donna innamorata! Lei mi ha creduto…che stupida! Inutile dire che non ho mantenuto nessuna di quelle false promesse. Al contrario l’ho costretta ad amarmi sempre di più, come io amavo lei, con le buone o le cattive maniere. Aveva iniziato ad avere paura di me, lo vedevo dai suoi occhi, tutte le notti, quando entravo in camera. La mia forza, la mia superiorità mi faceva stare bene e sentire uomo. Credevo che finalmente avesse capito a chi appartenesse.
Eppure, quella notte, mentre tornavo da un turno di lavoro in anticipo, l’ho vista sull’uscio di casa con tutte le sue valigie. Come una furia mi sono scaraventato su di lei, sbattendo violentemente la porta e trascinandola con forza e prepotenza dentro casa dai capelli. Mi supplicava di lasciarla andare, mi avrebbe spiegato tutto se l’avessi fatto. Ma non ero così stupido da farmi ingannare, come lei. Dovevo farle imparare la lezione, dovevo farle capire quanto in realtà mi amasse. Ho iniziato a sbottonarle prima la camicetta, poi i pantaloni; cercava di sottrarsi a quel tocco freddo, gelido delle mie dita. Ma la tenevo ben stretta. Ha iniziato a piangere, strillare, chiedere aiuto. Nessuno poteva aiutarla: quello era il suo destino, essere mia, per sempre. L’ho staccata da me e l’ho colpita con la prima cosa che avevo tra le mani, solo per farla tacere, non ricordo neanche più cosa fosse.
Era lì immobile per terra. Pochi attimi prima la sentivo urlare, piangere, dimenarsi per sottrarsi dalla ferrea presa delle mie mani sui suoi polsi, e ora non si muoveva più. Sotto i miei occhi, ancora seminuda, potevo vedere i segni che io stesso le avevo impresso, sulle cosce, sui fianchi, sul seno. Quei segni che erano il suo marchio di appartenenza a me, al suo uomo. Lei era la mia donna, mia, e di nessun altro. Sentirla sotto di me, coì fragile e minuta mi faceva sentire potente.
Prima che esalasse l’ultimo respiro, ricordo quello che le ho detto: “Se non vuoi essere mia non sarai di nessun altro”.
E’ finita così.