Donatella Rettore e un’improbabile Ditonellapiaga salgono sul palco di Sanremo e cantano un inno all’amore erotico e agli impulsi istintivi che lo caratterizzano: piacere, travolgimento, urla e spinte sono alcuni degli elementi che le cantanti attribuiscono all’amore, vissuto come impulso istintivo a cui siamo protati, una questione di Chimica. C’è chi rintraccerebbe la particolarità di questo brano nella sua disinibizione e nella leggerezza con cui rifiuta i canoni del pudore della nostra società, entrambe caratteristiche ricorrenti nelle canzoni della Rettore. Tuttavia, quel che rischia di passare in secondo piano, dietro al marmo bianco e ai muscoli bollenti, è il principio espresso nel ritornello: lo stretto legame tra l’amore e la Chimica che lo produce. Se fosse o meno effettivamente nelle intenzioni degli autori di focalizzarsi su questo argomento, non lo possiamo sapere, ma per lo meno possiamo analizzarlo come spunto interessante.
Più di qualsiasi riferimento a coiti e seduzioni erotiche, quello che più potrebbe scandalizzarci di questa canzone è proprio questa corrispondenza: l’amore tanto agognato come desiderio intimo dell’anima ridotto ad una questione di “semplici” reazioni chimiche.
Sembra quasi che tutto il mistero, tutta la magia che attribuiamo all’amore venga ad esaurirsi in un rigido sistema meccanicistico, dove di magico e misterioso non c’è nulla. Quest’analisi, però, non prende in considerazione molte caratteristiche dell’amore, della narrazione che ne abbiamo fatto nel corso del tempo e soprattutto della “bestia nera” che viene tirata in causa, la Chimica.
Dire che l’amore è una questione di chimica, vuol dire prima di tutto definirlo scientificamente, analizzandolo nei suoi tratti ricorrenti come fenomeno che tedia l’organismo, come una patologia. Non è un modus operandi nuovo: la descrizione dell’amore come malattia dell’animo è un topos che attraversa tutta la storia della letteratura. La poetessa greca Saffo esprime nelle sue opere gli effetti che prova sulla propria pelle a causa di un amore non corrisposto: cecità, un rimbombo nelle orecchie, sudore freddo, tremori ed infine un dolore insopportabile a tal punto da spingerla al suicidio. Allo stesso modo, Virgilio nell’Eneide descrive il fuoco che arde Didone dall’interno in seguito all’allontanamento di Enea, una passione che porta anche lei al suicidio, come una malattia terminale. Anche l’Ariosto nell’Orlando furioso descrive lo squilibrio mentale di Orlando analiticamente, elencando i sintomi uno ad uno nella loro degenerazione: il paladino, più fortunato, alla fine troverà la cura nel senno riportato da Astolfo. Già da questi pochi esempi possiamo vedere come l’uomo abbia da sempre cercato di rintracciare e riportare in letteratura il fenomeno dell’amore: gli elementi ricorrenti nelle descrizioni di questo fenomeno in epoche così diverse ci danno prova di come l’amore non solo sia studiabile come fenomeno, ma che si ripropone in schemi ricorrenti.
Non è un mistero quindi che i nostri sentimenti amorosi siano conseguenza diretta di specifiche reazioni chimiche che avvengono nell’organismo. Queste seguono lo sviluppo delle nostre relazioni durante tutta la loro durata e per questo motivo possiamo ricostruire tre differenti fasi delle nostre relazioni, dovute ai differenti meccanismi attivati nel nostro organismo.
La prima fase prevede l’attrazione sessuale che riguarda la produzione del testosterone negli uomini ed estrogeni nelle donne, ormoni che spingono alla copulazione. Questa è regolata dall’ipotalamo e dal sistema limbico che hanno il compito di controllare la regolazione ormonale. Una zona in particolare di questa regione, l'area preottica mediale, è incaricata di far partire il processo di produzione degli ormoni sessuali, causando non solo il confluire di sangue agli organi riproduttivi, ma anche la produzione di piccole quantità di oppioidi, molecole simili in tutto e per tutto all’eroina: ecco spiegata la sensazione piacevole causata dalla sola attrazione verso una persona.
La seconda fase è quella dell’innamoramento ed è causata dall‘aumento di dopamina. Quando siamo innamorati nel nostro cervello vengono attivate le sacche con alta concentrazione di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. Ciò è dovuto alla produzione da parte del nostro organismo di un’elevata quantità di feniletilamina (PEA), che induce effetti simili alle anfetamine agendo sui loro stessi recettori (la struttura molecolare è quasi identica.
Gli effetti della Feniletilamina sul comportamento sono dovuti proprio alla sua attività di regolazione della dopamina, a cui si aggiunge la noradrenalina: il cuore batte più veloce, la bocca si secca e si entra in uno stato di iperallerta come prima di un salto nel vuoto, pura eccitazione chimica del sistema nervoso.La produzione della PEA nel nostro organismo è il motivo per il quale desideriamo così intensamente l’amore, come un vero e proprio bisogno fisiologico.
La produzione della PEA nel nostro organismo è il motivo per il quale desideriamo così intensamente l’amore, come un vero e proprio bisogno fisiologico.
La terza fase dell’amore chimico è quella dell’attaccamento, che avviene dopo circa un anno, quando il nostro cervello inizia a produrre ossitocina nella donna e vasopressina nell’uomo, ormoni che favoriscono l’appagamento e la creazione nella memoria di ricordi positivi. In particolare l’ossitocina, definita popolarmente l’ormone dell’amore, è la causa della sensazione di intenso appagamento che si prova quando si è vicini alla persona amata e rinforza l’attaccamento emotivo della coppia.
Questi meccanismi, le reazioni e le molecole in esse coinvolte possono apparirci sterili, come i limiti di una realtà predefinita che non lascia spazio alla mistificazione di cui sentiamo di aver bisogno in questi casi. Questo pensiero però è frutto non solo di un errore interpretativo di queste nozioni, ma anche dell’estrema labilità che ci tiene legati a quella mistificazione.
In primo luogo, sapere come funziona l’attrazione non vuol dire capirne il perché: le reazioni che osserviamo negli organismi sono la risposta ad impulsi reconditi che lasciano ancora pieno spazio alle interpretazioni, facendo capo alla sfera più intima dei nostri sistemi cognitivi. E’ evidente come la teoria che vede questi impulsi dovuti esclusivamente a una componente biologica, finalizzati alla sola riproduzione per la preservazione della specie, sia parziale e sicuramente insufficiente per spiegare l’attrazione che ci lega ai nostri partner: ormai è assodato come l’attrazione prescinda la riproduzione tanto nelle coppie etero in cui questa è effettivamente possibile, quanto in quelle gay.
Andando oltre, quel che davvero rende inaccettabile l’incursione scientifica nei nostri affari di cuori rimane una: la paura recondita che comprendere i meccanismi dell’amore lo banalizzino, rendendolo uno tra tanti fenomeni, come se avessimo bisogno che resti all’oscuro, assoluto dal resto dei nostri saperi. Questo bisogno è completamente inutile dal momento che siamo noi stessi a dare all’amore l’importanza che merita nelle nostre vite: resterà magico finché noi lo crederemo tale e per quanto possa essere logico, razionale e scientifico il motivo per cui verremo attratti da una persona in un dato momento, anche solo il fatto di averla incontrata ed essere lì in quello stesso momento dovrebbe bastare per alimentare la nostra sete di irrazionalità in un mondo di meccanismi scientifici determinati.