25 Novembre: giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Il femminicidio è la manifestazione estrema della violenza di genere e coincide con la cancellazione della donna.
Le vittime di femminicidio muoiono tutte per la stessa ragione, con lo stesso movente; donne che vengono uccise in quanto donne, cioè per il ruolo che ricoprono nella nostra società patriarcale.
Questo ruolo è quello di oggetti di proprietà, di figure su cui esercitare il proprio controllo, infatti il femminicidio avviene quando la donna si rifiuta di sottostare a questo possesso, che altro non è che una pura manifestazione culturale le cui radici affondano nella stereotipizzazione di genere.
Per contrastare questo fenomeno bisogna rivoluzionare la nostra cultura sessista, combattendo gli stereotipi e iniziando a raccontare CORRETTAMENTE gli eventi.
Questo perché molte volte giornali importanti e molto seguiti si permettono di pubblicare articoli di cronaca in cui possiamo notare una vera e propria descrizione romanticizzata del femminicidio.
Chiara Ugolini è stata uccisa undici settimane fa dal vicino di casa, il giornale Repubblica ha pensato bene di scrivere a riguardo un articolo agghiacciante, che inizia con :"Bella e impossibile, alta e bionda…"
Chiara Ugolini prende a tutti gli effetti le sembianze della "Bella" e l'aggressore della "Bestia", citando la storia della bella e la bestia che quando si parla di violenza di genere è la più gettonata, si vuole sottolineare come da un lato ci sia l'incapacità di difendersi delle donne e dall'altro deumanizzare il femminicida che diventa animale o mostro, a descrizione della redazione.
Chiamare l'aggressore "Bestia" è rassicurante perché le bestie sono rare, cattive, impossibili da fermare, non è colpa di nessuno, in quanto si parli di una bestia non di un uomo consapevole di ciò che fa.
È doveroso iniziare a condannare la violenza di genere tramite articoli che siano centrati e che soprattutto portino rispetto alle vittime.
Contribuiamo alla violenza tutte le volte in cui giudichiamo una donna per le scelte che fa autonomamente con il suo corpo, quando giustifichiamo la violenza psicologica con la retorica della gelosia, quando sottovalutiamo la gravità delle molestie per strada, quando mettiamo in dubbio le testimonianze delle vittime di stupro.
In ultima istanza, vorrei parlare di quanto sia inutile circondarsi di simboli per prendere le distanze rispetto a un certo avvenimento, comportamento o dinamica.
È ipocrita, il 25 Novembre, riempire le piazze di scarpette rosse se poi manca una discussione in merito.
La verità è che vedere quei simboli intorno a noi tranquillizza le nostre coscienze, perché ci fa pensare che basti scattare una foto e postarla sui social per dare il nostro contributo alla lotta.
La violenza di genere non si combatte così!
Al tempo stesso sono convinta che avvalersi di un simbolo possa essere utile per garantire immediatezza a quello che si vuole comunicare, perciò ogni qual volta passiamo di fronte a un monumento circondato da scarpine scarlatte o ci sediamo su una panchina rossa, pensiamo al valore di questi oggetti e in quell'occasione interroghiamoci sulla nostra parte di responsabilità.
Una frase che si ripete dopo ogni morte è "forse potevamo salvarla", ma finché non ci proviamo davvero, finché i governi penseranno di rimandare ancora il rinnovo del Piano Nazionale Antiviolenza scaduto a Dicembre 2020; di poter tagliare i fondi destinati ai centri antiviolenza; finché i giornali continueranno a parlare di raptus, di mostri e non di omicidi annunciati, di persone comuni, figlie della nostra epoca; continueremo a contare le vittime uccise che da Gennaio di quest'anno sono 92.
Non aspettiamo che arrivi un cambiamento dall'alto, bisogna necessariamente rivoluzionare i nostri schemi mentali e agire anche nel nostro piccolo, non ricordiamoci di parlarne solo il 25 Novembre, alziamo la voce, disturbiamo, facciamoci sentire SEMPRE!
illustrazione a cura di Martina Califati