ANNO 1935
Il mandato del Podestà Enrico Bollani ebbe termine agli inizi del mese di marzo e le consegne vennero assunte dal Conte On. GianGiacomo Gallarati Scotti Senatore del Regno il 20 dello stesso mese. Poichè il Conte si trovava momentaneamente a Roma per lavori senatoriali, il Rag. Bollani col Commissario Prefettizio Magris dott. Virgilio, stilarono il bilancio consuntivo delle spese comunali dell'anno 1934. Questo fu l'atto ufficiale del passaggio delle consegne.
Il 12 luglio vennero nominati i rappresentanti della Consulta Comunale, organo voluto dal regime, costituito l'anno precedente.
IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI MILANO
Veduto il proprio decreto 4 luglio 1934, con il quale venne istituita la Consulta nel Comune di Vimercate;
Vedute le terne proposte dalle competenti associazioni sindacali;
DECRETA
Sono chiamati a far parte, per il periodo di legge, della Consulta Comunale di Vimercate, ciascuno in rappresentanza della categoria a fianco indicata, i Signori:
A. GRUPPO DATORI DI LAVORO
1) CALDIROLA Carlo Davide
2) CALCHI NOVATI Ing. Ernesto
3) ELLI Cav. Leone
4) LAMPERTI Rag. Lino
5) REDAELLI Pietro
6) CANTÙ Lorenzo
agricoltore
industriale
industriale
industriale
commerciante
artigiano
B. PRESTATORI D'OPERA
7) GALBUSERA Francesco
8) PEREGO Angelo
9) CRIPPA Celeste
10) VILLA Giuseppe
11) SOMMARIVA Giuseppe
12) RURALI Mario
agricoltura
agricoltura
industria
industria
industria
commercio
Il Podestà di Vimercate è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.
Milano, 12 Luglio 1935 - Anno XIII
IL PREFETTO
F.to Fornaciari
Il 16 giugno venne istituito, a livello nazionale, il sabato fascista: giornata da dedicare alle attività ginnico-sportive. Attraverso tali esercizi si tendeva ad esaltare la virilità e la fierezza del popolo italiano, sottolineando primariamente l'importanza della disciplina e dell'inquadramento militare anche in tempo di pace. In campo femminile si tendeva a fare emergere l'armonia e la grazia del "gentil sesso" attraverso la ginnastica ritmica, che offriva la visione del perfetto sincronismo delle atlete ai secchi comandi degli istruttori. L'immagine che il Regime proiettava all'esterno era quello di un popolo allineato ed egemonizzato, operante secondo le direttive delle alte gerarchie fasciste. Per poter riunire le masse e dare loro un'occupazione comune, tanto gradita dal regime, tutte le attività lavorative venivano interrotte nelle giornate del sabato. Lo scopo prioritario era quello di istruire le giovani leve ad un addestramento e alla disciplina di tipo militare, abituarli alla sopravvivenza accrescendo in loro lo spirito ardimentoso ed emulativo degli eroi del passato. La psicologia di regime sosteneva tali sogni facendo vivere ai giovinetti, in prima persona, tutti quegli stati d'animo fantasiosi, come la gloria, l'onore e il rispetto, rendendoli protagonisti di simulate azioni belliche ove l'amore per la Patria assurgeva a supremo ideale.
L'introduzione del sabato fascista nella vita del paese sembrò essere quasi un preludio a quello che sarebbe accaduto alcuni mesi dopo: l'attacco all'Etiopia.
Tale impresa, come già precedentemente accennato, era già da tempo nella mente di Mussolini. La grave situazione economica in cui ristagnava l'Italia non consentiva alcuno sbocco in senso positivo; il risanamento delle paludi Pontine, che aveva impiegato un gran numero di contadini veneti, non era però stato sufficiente ad assorbire l'enorme massa dei senza lavoro. Questo parve essere il momento opportuno per rafforzare l'immagine del regime, indebolita dal pessimo stato dell'economia interna, presentando, con la solita enfasi, l'invasione e la conquista sicura dell'Etiopia, terra che avrebbe garantito lavoro ai disoccupati, fornito le tanto necessarie materie prime per l'industria, e, per ultimo, ma di primaria importanza, assorbito i nostri prodotti che non trovavano altro mercato. Queste fantasticherie propagandistiche trovarono ampio consenso nel popolo, il quale, ridotto ad uno stato di profonda miseria, non potè che credere fiduciosamente a tali prospettive.
L'Etiopia doveva essere una facile preda per il regime. Venne imbarcato un potente contingente composto di 450.000 uomini, 1.000 cannoni e alcune centinaia di aerei, contro un esercito nemico forte solo di uomini scarsamente armati, ma sostenuti dalla volontà di opporsi all'invasore. Nonostante la schiacciante superiorità militare, le truppe italiane subirono grosse perdite dovute anche all'imperizia dei comandanti.
"(...) nel 1935 partii col contingente militare italiano destinato in Africa. La vita era molto dura poiché, oltre alla guerra, anche la malaria colpiva le nostre truppe.
Partecipai alla battaglia di Seraklaka, dove il Ras Immirù, cori 70.000 armati, marciava contro di noi. Il comando italiano aveva mandato in avanguardia, come usuale, i soldati locali arruolati nei nostri ranghi, i cosiddetti "Tripolini", a scopo ricognitivo. Gli aerei ricognitori ci avvisarono del forte concentramento di truppe abissine, ed il Quartier Generale Italiano predispose un piano per l'accerchiamento e il susseguente annientamento delle ingenti forze nemiche. La colonna motorizzata, comandata dal C.llo Achille Starace, doveva partire da Adua e compiendo un'ampia manovra di aggiramento sul fianco sinistro del nemico, prenderlo alle spalle; contemporaneamente il classico movimento a tenaglia doveva essere compiuto, dalla parte opposta, da un battaglione di Camicie Nere e dalla Divisione "Gran Sasso". Il nostro reparto, al centro, doveva avanzare e sostenere l'urto iniziale delle forze nemiche, che, accerchiate, sarebbero facilmente state annientate. La colonna motorizzata perse la rotta e non giunse al punto prestabilito, mentre la Divisione "Gran Sasso" si trovò ad affrontare un terreno estremamente impervio, che ne rallentò drasticamente l'avanzata, facendola giungere al luogo convenuto con estremo ritardo. Così noi, al centro, ci trovammo di fronte ad un bosco e fummo colti di sorpresa dal fuoco abissino. Il primo plotone, del battaglione al quale appartenevo, fu intrappolato nell'imboscata senza possibilità alcuna di sganciarsi. Con noi avanzava una batteria da campagna che ricevette immediatamente l'ordine di aprire il fuoco, a scopo di copertura, oltre alla mischia ingaggiata dai nostri fanti con le avanguardie abissine.
Nel frattempo ci eravamo piazzati su diverse linee di fuoco, anteponendo i nidi di mitragliatrici, per offrire un volume di fuoco notevole, sia di copertura che di offesa. Gli ufficiali, coi megafoni, gridavano al plotone impegnato nel combattimento di rientrare dietro le nostre difese, dove avrebbero trovato protezione. Ad un certo punto ci rendemmo conto che il plotone era stato completamente distrutto e che a nostra volta stavamo per essere accerchiati dal nemico. Fortunatamente giunse l'avanguardia della "Gran Sasso" che comprendeva, oltre al normale armamento, squadre di lanciafiamme, che vennero immediatamente utilizzate per fermare, col fuoco, la penetrazione del nemico. Nel frattempo piazzarono anch'essi le mitragliere ed iniziarono ad aprire il fuoco con tiro incrociato.
Sembra una cosa incredibile a raccontarsi, il nemico era talmente numeroso ed attaccava con ondate talmente veementi, che i vari attacchi si spingevano sino alle nostre linee di difesa, nonostante il fuoco nutrito, tanto che i mitraglieri erano costretti a spostare continuamente la posizione dell'arma perché davanti alla bocca da fuoco era ammassata una tale pila di cadaveri da impedirne l'uso.
(...) una sera appena smontato dal turno di guardia, rientrando nella tenda dormitorio, notai che nell'ordine di servizio ero ancora indicato come capoposto montante, non per l'accampamento in cui ero di stanza, ma per quello vicino delle camicie nere. Mi rivolsi così al tenente e gli dissi: "Sono appena smontato di guardia e trovo l'ordine di rimontare; sono disposto a farlo per i nostri soldati ma non per le camicie nere, per queste non ci vado!". Intorno a me un gruppo di commilitoni udì le mie parole e in poco tempo tutta la truppa fu a conoscenza del mio rifiuto; tutti vollero essere solidali con le mie decisioni. Alle ore 0,30 l'ufficiale di servizio non era ancora riuscito a reperire i militari per costituire la guardia da inviare alle Camicie Nere. Il tenente tornò da me e mi ricordò che in tempo di guerra il rifiuto ad un ordine superiore era punibile con la morte. Risposi che non intendevo oppormi all'ordine, ma mi rifiutavo semplicemente di "servire" le Camicie Nere. L'ufficiale riuscì a convincere, con le buone maniere, un numero di soldati appena sufficiente per un turno di guardia da inviare al reparto fascista. La mattina successiva venni chiamato a rapporto dal capitano, comandante la Compagnia, che dopo avermi esposto come il mio comportamento andasse contro il codice di disciplina militare, mi annunciò che mi avrebbe mandato nelle bande irregolari, costituite dai più esasperati abissini e capeggiati da militari che per gravi reati erano stati destinati a ricoprire tali cariche. Si raccontava che tali bande operassero costantemente in prima linea e che spesso il loro comandante italiano veniva ucciso dai suoi stessi uomini perché questi non condividevano gli ordini loro impartiti, passando poi, frequentemente, in forza al nemico. Grazie al provvidenziale intervento del tenente riuscii ad evitare questa triste sorte. (Cesare Redaelli)
MANIFESTAZIONE DI GIUBILO PER LA CONQUISTA DI ADUA
Una spontanea e vibrante dimostrazione di giubilo ha avuto luogo fra la nostra popolazione alla notizia che Adua era stata rioccupata dalle nostre truppe. In pochi minuti si raccolse, fra entusiastiche acclamazioni al Duce e all'Esercito, una gran folla di cittadini sulla Piazza Roma, dove il Segretario del nostro Fascio, fra viva attenzione e profonda commozione, ricordò gli eroici caduti nella battaglia del 1896, ed esaltò il valore delle vittoriose truppe in Africa. Alla manifestazione erano presenti diversi reduci di Adua che vennero fatti segno a calorose dimostrazioni di simpatia. (12)
Con l'aggressione italiana all'Etiopia, la Società delle Nazioni decretò, nei confronti dell'Italia fascista, le sanzioni economiche.
UNA PAGINA PEI BAMBINI
BAMBINI, TUTTI IN PIEDI!
Miei buoni amici, anche voi dovete comprendere l'ora di fierezza, di ansia e di sacrificio che sta attraversando la Patria nostra. Anche voi, in silenzio, dovete cooperare nella lotta contro la più solida, la più feroce delle persecuzioni. No, neppure a voi, è lecito passare indifferenti, ad occhi chiusi nella vita attuale; ma fortemente, tenacemente dovete portare il vostro tributo perché l'iniquo castigo, lanciato contro di noi, si perda nel vuoto. È giunto il momento di provare con la tenacia dei propositi, la virtù e l'amore alla Patria. Non più parole ma fatti! Dovete valutare la vostra forza, rinunciando col viso sereno a tutto il superfluo che vi rendeva più comoda e più ridente la vita. A voi, piccoli fiori d'Italia, si chiedono piccole rinunce che adagio adagio avranno la grande efficacia di temprarvi il carattere e di abituarvi, quasi insensibilmente, alle grandi rinunce. Non vi lamenterete dunque se nella stufa mancherà il carbone, se la lampada verrà presto spenta, se la mamma vi rattopperà ancora una volta lo sbiadito abitino.
Non muovete lagno se non vi sarà data con la solita abbondanza la carne e il companatico. Oh, la carne pei bimbi è quasi un veleno! Il latte, il formaggio, la verdura, lo zucchero, il pesce, le uova, la frutta gioveranno assai più alla vostra salute e vi daranno forza e vigoria. Non brontolerete certo se vi sarà negato il soldo per le castagne, e per le ghiottonerie, il ninnolo a lungo sognato e quando sul labbro starà per sorgere un'amara parola penserete ai 600.000 morti che ci hanno insegnato a soffrire ben altri tormenti, a tener fiera la testa contro ogni ingiustizia. Penserete ai nostri soldati, belli di gioventù, baldi di vita che là, nella terra infuocata come una maledizione, arsi dalla sete, fra mille disagi, fra mille fatiche, allineati in battaglia contro le orde barbariche, combattono in nome della civiltà, pronti a ricevere l'ultimo colpo senza tremare, senza impallidire! Bimbi d'Italia, in piedi! Accompagnate le vostre mortificazioni con la preghiera che deve scaturire fervida e potente dal vostro cuore. Pregate perché Dio accordi la vittoria alle nostre armi e ci allieti di un avvenire di pace e di prosperità. L'eroismo dei nostri soldati unito al nostro continuo e sereno sacrificio renderà gloriosa, invidiata dagli stessi 52 Stati che ci hanno così vilmente colpiti, la nostra stessa sventura. Bimbi d'Italia, in piedi.
Accompagnate le vostre mortificazioni con la preghiera che deve scaturire fervida e potente dal vostro cuore. Tendete le manine al Signore pel bene dei nostri soldati, perché si asciughino le lacrime di tante mamme, perché venga risparmiato molto sangue fraterno!
Pregate perché l'Italia, madre di civiltà, forte nei sui diritti, temprata nelle lotte, ispirata nella fede, radiosa di speranza trionfi ancora una volta.
State certi: l'eroismo dei nostri soldati, unito alle privazioni che sapremo imporci a lungo e con indomita fierezza, renderanno gloriosa e forse anche invidiata la nostra stessa sventura. (13)
Le pressioni che portarono a questa decisione furono sostenute in primo luogo dal l'Inghilterra e appoggiate dalla Francia in seguito. Più che un provvedimento economico, le sanzioni si confermarono una mossa politica atta ad isolare l'Italia dal contesto internazionale. Prendendo avvio da questa situazione il regime dittatoriale decise di attuare una politica basata sull'autarchia. Si diminuirono le importazioni nel tentativo di ridurre il debito estero e di incrementare il fatturato nazionale; per giustificare l'enorme differenza di costi si imbastì la colpevolizzazione delle nazioni promotrici dell'embargo con un'azione propagandistica di enorme portata. Mancando le materie prime le industrie dovevano, con la produzione di sintesi, sopperire a tale carenza. L'impreparazione della nostra industria portò ad una situazione paradossale. Come rilevava lo stesso archivio di Studi Corporativi, l'autarchia determinava una distribuzione del reddito reale della nazione in favore dei gruppi più potenti e accresceva, per ciò, le disuguaglianze sociali, dato che i maggiori costi venivano sopportati dalle classi lavoratrici, impiegatizie o a reddito fisso. In effetti tali costi elevati ricadevano unicamente sui consumatori, perché i produttori non avvertivano il dovere della compressione dei costi mediante più avanzate tecnologie, e nemmeno sentivano il dovere di limitare i propri ingenti profitti. Il solo tentativo messo in opera per tale contenimento fu quello di comprimere ulteriormente i salari, con il beneplacito del fascismo. In tal modo l'autarchia era giunta molto prossima al fallimento, perché i prezzi erano aumentati molto sensibilmente, determinando ancora una volta una forte inflazione, mentre le corporazioni non riuscivano più a controllare, come sarebbe stato loro compito, l'economia italiana.
In questo quadro catastrofico della finanza nazionale si inserì la campagna, magistralmente architettata, dell'oro alla Patria. Questa operazione doveva servire a finanziare la guerra e a sostenere la traballante valuta nazionale.
DATE ORO ALLA PATRIA
Dalla Casa del fascio è partito l'appello alla cittadinanza per l'offerta d'oro alla Patria! Oro, argento, metalli, rottami, tutto è prezioso in quest'ora solenne.
Migliaia di manifestini sono penetrati in tutte le case per ricordare come la Patria va difesa dal triste connubio "Massoneria e Socialismo", che arma scelleratamente i mercanti di schiavi, che tenta di strangolare la nostra Italia, di contrastarle il cammino di progresso e di civiltà, di umiliarla, di punirla per la sua audacia contro le nefande Loggie occulte. Ma gli Italiani non cedono; sono stretti in una fraternità commovente; hanno dimenticato ogni dissidio; ed il rivolo d'oro affluisce alle Case dei Fasci, svelto, silenzioso, generoso! Poter pubblicare i nobilissimi scritti che accompagnano le offerte! Poter descrivergli entusiasmi, le consegne commoventi dei Contadini e degli Operai; la soddisfazione che traspare da occhi inumiditi di gioia e di pianto!
Quanta poesia! Che superba rivelazione di Amore di Patria! Benedetti tutti.
Benedetto l'illustre Presule che nel crogiolo della resistenza ha persino deposto la Catena Episcopale. Valorosi soldati, che in terra d'Africa versate il purissimo vostro sangue; fratelli lontani, che in terra straniera aiutate l'Italia nostra, a voi il nostro grido d'amore, per voi tutte le benedizioni divine che invochiamo con ardente Fede. (14) "In cambio della fede nuziale, unico patrimonio di valore reale oltre che simbolico, veniva rilasciata una ricevuta dell'avvenuta donazione e un anello di acciaio andava ad ornare le spoglie dita delle spose d'Italia." (Ermenegildo Gianni).
LA GIORNATA DELLA FEDE (15)
Si è svolta anche a Vimercate, fra il più vivo amor patrio. Il paese è apparso tutto ammantato di tricolori, mentre sui muri delle case avvisi coi colori nazionali incitavano tutte le spose e le madri alla sublime offerta.
Il rito delle offerte delle "fedi" si è svolto alla Casa del Fascio, ove la Segretaria e le madri e vedove dei caduti attendevano le generose che accorrevano a donare l'anello nuziale in nome di un'altra fede, anch'essa nobile e grande.
Verso sera, le madri e le vedove dei Caduti con le mogli dei Mutilati, mossero in ordinato corteo al Monumento dei nostri Eroi a rendere solenne omaggio. Il Segretario del Fascio Carlo Bernareggi chiuse la pattriottica cerimonia con un alato discorso improntato ai più nobili sentimenti.
FEDI …………………….. N. 1.900
ORO ………..…………… Kg 5,500
ARGENTO ………………… Kg 40