ANNO 1927
"Il Primo Maggio del 1927 mio fratello con alcuni amici stava festeggiando la giornata del lavoro. Il tutto doveva apparire come un normale convitto tra amici, senza far trapelare alcuna parvenza politica, onde evitare severe ripercussioni. Ma, dopo avere mangiato e ben bevuto si sciolsero le voci in un piccolo coro che terminò con "Bandiera Rossa". Non erano ancora terminate le ultime note che irruppe nella locanda una pattuglia di Reali Carabinieri. Arrestarono tutto il gruppo e lo tradussero in caserma e da qui alle carceri di Monza, dove vi rimasero per due giorni. Mio fratello mi scrisse di questo fatto, poichè io, nel frattempo, prestavo servizio militare, e la lettera venne firmata da tutti i compagni coinvolti dopo avere apposto in calce alle firme un timbro simbolico ottenuto col fondo di un bicchiere sporco di vino. Il comandante del reggimento, venuto a conoscenza del fatto, mi fece chiamare nel suo ufficio, mi appellò - bolscevico - e mi scacciò in malo modo". (Giuseppe Ravasi)
"...intanto l'attività antifascista locale si andava organizzando, con contatti coi paesi limitrofi: Bernareggio, Concorezzo, Burago, Paderno d'Adda, Cornate e soprattutto Cavenago. Le direttive venivano impartite presso il Circolo Amati di Monza; lo scambio di informazioni era sempre molto arduo: bisognava ricorrere ad ogni tipo di espediente per evadere la sorveglianza fascista. Nel Giugno del 1927 fu arrestato per la sua attività antifascista Levati Cesare, un mio cugino, e condannato a due anni di prigionia seguiti da altri tre come sorvegliato speciale. Queste persone, pericolose per il regime, venivano arrestate cautelativamente ogni qualvolta un illustre personaggio giungeva in visita nelle vicinanze". (Ambrogio Vergani)
"Iscritto fin dal 1924 al Partito Comunista, nel 1925 divenni segretario politico del Comitato di Settore, sino all'arresto del Giugno del '27. Fui condannato dal Tribunale Speciale, per riorganizzazione del Partito, a due anni di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale. A Regina Coeli, dove mi trovavo detenuto in attesa di partire per la casa di pena, ebbi un secondo processo (sempre per motivi politici) a causa di un guardiano-aguzzino e fui condannato ad un mese con altri compagni di Monza. Finalmente, trascorsi i due anni e tre mesi, tornai a casa. Iniziò il periodo di vigilanza speciale che si dimostrò subito peggiore dell'esperienza del carcere; per tre lunghi anni fui sottoposto a continue ispezioni notturne e diurne da parte della polizia di regime. Con molta cautela e timidamente ricominciai, dopo qualche mese, a riprendere i contatti interrottisi. La condizione di vigilato speciale e la dura esperienza del carcere mi avevano insegnato a non ripetere gli errori tattici di tutto il Partito che nel 27 portarono all'arresto di migliaia di compagni. Così si riprese a tessere pazientemente la tela: a Vimercate il nucleo comprendeva cinque o sei persone e così anche per i paesi limitrofi; faceva eccezione Cavenago dove vi era un folto gruppo molto attivo. L'attività di Partito era minima, incentrata principalmente sulla stampa clandestina che doveva circolare il più capillarmente possibile. Ciò che sembrava di maggiore importanza era mantenere l'embrione del partito, i quadri per una futura riscossa. Ebbi contatti con l'Interregionale del nucleo politico di Parigi per tentare l'espatrio in quanto la vita mi era resa impossibile dalle continue vessazioni del regime e della sua polizia".(Cesare Levati)
SENTENZA n. 119 del 25 Ottobre 1928 (Aula IV del Tribunale Speciale)
Presidente: Tringali Relatore: Buccafurri
Capo d'imputazione: Ricostituzione del Partito Comunista in Brianza.
Levati Cesare, Vimercate 22-4-1899, operaio - condannato a 2 anni di reclusione.
Verderio Enrico, Vimercate 14-9-1900, piazzista - condannato a 2 anni di reclusione.
ANTIFASCISTI GIUDICATI DAL TRIBUNALE SPECIALE
Anno --------Imputati-------- Condannati
1927............. 255.......................... 219
1928.............. 914 .........................636
1929 ..............210......................... 159
1930 ..............257......................... 198
1931 ..............703......................... 519
1932 ..............278......................... 213
1933 ................62........................... 59
1934 ..............275......................... .259
1935 ..............235......................... .232
1936 ..............284.......................... 255
1937 ..............205.......................... 172
1938 ..............346 .......................... 310
1939 ..............407........................... 365
1940 ..............238........................... 215
1941 ..............344........................... 276
1942 ..............438........................... 368
1943 ..............168............................ 141
. . . . . . . ___________. . . . ___________
. . . . . . . . . . . 5.619 . . . . . . . . . . . . 4.596
I 4.596 condannati ebbero complessivamente un ammontare di 27.735 anni di carcere; di queste condanne 42 furono a morte, pena che lo stesso fascismo introdusse nell'ordinarnento giudiziario italiano.
Nell'ottica fascista di spersonalizzazione dell'individuo ebbe parte fondamentale il monopolio dell'opinione pubblica e la gestione dell'informazione.
Per mantenere tali condizioni era doveroso possedere gli strumenti che assicuravano tale controllo: i giornali. Vennero abolite, perchè dichiarate fuorilegge, le pubblicazioni di partito; nello stesso tempo nacquero e si diffusero diverse testate tra cui "Il Regime Fascista" fondato da Roberto Farinacci, che dovevano sostenere le deeision'
del fascismo e diffonderne l'ideologia tra le masse quasi a livello pubblicitario. L'organizzatore e il principale artefice della propaganda di regime fu Achille Starace. L'epurazione delle testate non allineate non bastò a salvaguardare l'uniformismo della informazione; bisognava che nessuno si opponesse a quanto il potere dava in pasto alle rotative, nè si dissociasse da ciò. Si passò così ad allontanare tutte quelle persone che, lavorando all'interno di una struttura utile ed essenziale come era la stampa, non fossero in regola con le norme dettate dal Direttorio. Vennero allontanati coloro i quali non erano in possesso della tessera d'iscrizione al P.N.F. e che si erano opposti alle ripetute ingiunzioni affinché si mettessero in regola con tali norme.
Questa situazione, iniziata nel campo dei grafici ed in particolar modo nell'editoria legata al quotidiano, ebbe successivamente applicazione su più vasta scala all'interno di tutti gli organismi statali, fino ad apparire persino nell'industria privata.
"Mio padre Adolfo, sergente di artiglieria di campagna decorato medaglia di bronzo durante la prima guerra mondiale, riprese, con la vita civile, la sua attività lavorativa come tipografo presso le "Arti grafiche Trassini" di Vimercate. Nel 1924 gli si apri la grande occasione del giornale: passò infatti al "Corriere della Sera", in qualità di capo-macchinista tipografo. Furono gli anni più felici per lui; si sposò nel '25 e, col suo ottimo stipendio, sistemò egregiamente la famiglia. Si sentiva una persona perfettamente realizzata; infatti ricordando quel periodo lo descriveva come un tempo legato ai sogni ed alle aspirazioni che mai più avrebbero potuto realizzarsi. Però mai rimpianse il motivo della perdita di tale fortuna. Accadde che, verso la fine del '27, ad una verifica degli iscritti al P.N.F. egli risultasse privo di tale tessera; non volle neppure saperne di affiliarsi, sarebbe stata forse la sua fortuna materiale.
Per questo motivo venne cacciato dal giornale alla fine della stessa settimana lavorativa. Fu deriso e commiserato, umiliato e schernito nella sua lunga e seguente vicissitudine, ma accettò sempre tutto come un ineluttabile segno del destino. Fu senz'altro un'esperienza dura, che incise sulla vita mia e di mio fratello, poiché da un inizio di relativo benessere piombammo all'improvviso nella più squallida povertà. Tale situazione si trascinò sino al 1936, anno in cui riuscì a trovare un lavoro stabile come addetto agli altiforni della Falck di Sesto S. Giovanni". (Luciano Mauri)
La radio, nuovo strumento efficacemente asservito al regime, contribuì alla diffusione della propaganda fornendo un'immagine dell'Italia non confacente alla realtà. Tale mezzo d'informazione consentiva una distribuzione capillare e nello stesso tempo catturava l'attenzione della popolazione rendendola immediatamente partecipe di quanto avveniva nel cuore del potere. Così nelle maggiori piazze d'Italia furono collocati gli altoparlanti davanti ai quali si assisteva, in religioso silenzio, alle oratorie che il Capo del fascismo, con enfasi, soleva declamare.
Nei comuni, in luogo del Sindaco, venne introdotta la figura del Podestà: vennero così soppressi gli organi costituzionali eletti liberamente a livello locale. Il Podestà era nominato dal Prefetto su indicazione del partito.
Le direttive di massima importanza erano in ogni caso diramate dal Prefetto, gerarchicamente superiore, e attuate con la più scrupolosa efficienza dallo stesso Podestà. Si veniva così a creare uno strumento efficiente di controllo selettivo sulla popolazione anche nei centri più piccoli. I controlli svolti dai tutori dell'ordine pubblico erano frequenti anche se non sempre "logici".
"Durante una perquisizione al nostro negozio i Carabinieri trovarono una copia del giornale "Il Momento"; ritenendo tale pubblicazione di carattere sovversivo lo requisirono e verbalizzarono l'accaduto. Il fatto non ebbe conseguenze ulteriori in quanto il giornale aveva la normale autorizzazione alla pubblicazione rilasciata dal Tribunale di competenza.
Rinvenirono ancora un pacco contenente degli stampati incompleti dell'Inno dei Lavoratori. Questo fatto provocò una denuncia all'autorità giudiziaria e ci fu un processo alla Pretura di Monza. Il Pretore, davanti alla nullità delle prove che erano insignificanti e non comportavano alcun reato se non il fatto che mio padre si trovasse nel mirino dei Carabinieri vimercatesi, saggiamente sentenziò l'assoluzione completa evidenziando come il fatto non costituisse reato". (Angelo Girardello)