L'auditorio (che non c'è) a Padova

Di seguito è pubblicato il testo che l'architetto Maria Letizia Panajotti, presidente della sezione di Padova e del Consiglio Regionale del Veneto, ha spedito al Sindaco di Padova, Giustina Destro, e all'Assessore alla Cultura, Giuliano Pisani, il 19 aprile 2003.

Una volta si diceva che Padova era la città delle incompiute: l’idrovia, la fiera, le tangenziali. Ora possiamo dire che Padova è la città delle "assenze": manca l’Auditorio, manca il Conservatorio, mancano anche le strutture minime per l’arte moderna: un Museo e un Centro Culturale ove possano manifestarsi le forze latenti che nonostante tutto sono ancora presenti in città, manca una adeguata Sede per le mostre temporanee. Non è infatti più possibile continuare a mortificare il Salone utilizzandolo sempre più spesso come contenitore di esposizioni per tutti i gusti. Manca sicuramente anche un Centro Congressi adeguato al ruolo che la città vuole svolgere e al prestigio della sua Università.

Non va sottaciuto inoltre che abbiamo un museo asfittico e che quello che poteva essere un centro culturale multimediale all’avanguardia, l’ex tribunale, è stato ridotto a sola sede della Biblioteca Civica e di qualche sezione del Museo Civico (arti applicate ?).

É pertanto positivo che in città si sia aperto il dibattito almeno sull’Auditorio e sulla sua localizzazione: finalmente si discute di temi culturali e di urbanistica.

Dal dibattito la città è apparsa pronta e disponibile, una volta tanto, ad affrontare il problema in modo ampio e sarebbe veramente un peccato farsi condizionare, ancora una volta, da problemi finanziari o da vincoli ambientali e/o monumentali.

Concordiamo con quanti si spendono per la "città della musica", un complesso che, oltre alle sale specifiche per il godimento della musica nelle sue varie espressioni, la cui definizione deve essere lasciata agli esperti, che a Padova certamente non mancano, deve prevedere spazi destinati alla danza e alle espressioni corporee, oltre al Conservatorio i cui servizi dovranno essere pensati anche per la città: laboratori, sale di registrazione, biblioteca dovrebbero essere accessibili ai cittadini giovani e meno giovani. Nessun compromesso quindi con fruizioni diverse quali la convegnistica. Del Centro Congressi dovranno farsi carico soggetti altri quali le Associazioni di categoria a cominciare dagli industriali e il mondo scientifico.

Se è questa la struttura che vogliamo e che la città si merita, la sua localizzazione non è indifferente. Caratteristiche irrinunciabili sono la centralità nell’area, la accessibilità sia con i mezzi pubblici che con l’auto privata e che sia libera da condizionamenti ambientali o monumentali.

Data la complessità dell’intervento che ci prefiguriamo, non si può disconoscere che "l’oggetto architettonico" dovrà assumere uno spiccato valore simbolico e che necessariamente avrà una valenza fisica importante. Pertanto si devono da subito escludere tutte quelle aree che si presentano con delicate caratteristiche ambientali e/o monumentali per non essere costretti a subire limitazioni volumetriche e linguistiche.

Per una volta tanto anche Italia Nostra si schiera in favore di una architettura assolutamente moderna, libera di esprimersi e in grado di connotare anche le aree contermini.

Appare evidente che l’area dell’ex Foro Boario non è assolutamente adeguata non solo per i problemi ambientali e monumentali, ma anche per le aspettative che la città ha da sempre su quest’area che da molti è stata pensata quale collegamento fra il Prato della Valle e il sistema bastionato cinquecentesco, compreso lo stombinamento dell’Alicorno. Da non sottovalutare che necessariamente l’Auditorio si configurerebbe come un grande attrattore di traffico concentrato, con i relativi problemi di parcheggio.

Sicuramente appare molto più conveniente e convincente, come già sostenuto da altri, l’area del PP1. Si tratta infatti di un’area centrale, fra le più accessibile dall’esterno, con buona disponibilità della sosta, vicina alla stazione e alla linea del metrobus.

In un contesto architettonico moderno un oggetto di grande valenza formale potrebbe portare Padova alla ribalta della cultura architettonica internazionale e grazie ai propri spazi verdi potrebbe realizzare un collegamento con le maresane del Piovego e il giardino degli Scrovegni per dare significato alla abusata definizione di Padova "città d’acque".


Segue una seconda lettera spedita al Sindaco di Padova, all'Assessore alla Cultura e, in più, all'Assessore all'Urbanistica, Tommaso Riccoboni, il 15 giugno 2003:

Risulta curioso constatare, sfogliando i giornali in questi giorni, con quanta facilità la localizzazione dell’Auditorio, una struttura civile di notevole prestigio, di grande valore simbolico, con indiscusse intrinseche possibilità di connotare l’intorno urbanistico, possa mutare di posizione con tanta disinvoltura sulla scorta di considerazioni non sempre condivisibili.

Non si dicono novità quando si sostiene che una corretta gestione urbanistica si dovrebbe basare su un ampio progetto organico i cui obiettivi fondamentali sono sviluppo, salvaguardia e qualità della vita, che possono essere raggiunti, in particolare, con un’oculata localizzazione delle attività di eccellenza e dei servizi rari che hanno la capacità di "informare" l’intorno con interventi di ristrutturazione urbana, con la rivisitazione del sistema del trasporto pubblico che dovrebbe diventare la spina dorsale di tutto il sistema e infine con la tutela puntuale delle sopravissute aree non edificate, da lasciare alle attività agricole o all’uso pubblico.

In quest’ottica, il dibattito cittadino sul nuovo Auditorio, anche con il contributo del convegno dell’Ordine degli Architetti, ha affrontato il problema del "vuoto" dell’ex gasometro, l’area fra via Trieste e via Valeri, ne ha sottolineato le potenzialità e le caratteristiche che ne fanno il sito privilegiato per la localizzazione di una importante struttura civica in grado di assumere il ruolo di cerniera fra il Centro Storico e la “città nova”, di cui sarebbe in grado di definire l’immagine urbana, con una potenzialità espressiva e culturale che non potrebbe esprimersi con la sola destinazione residenziale, per quanto affidata ad un grande architetto.

L’Amministrazione, dopo aver assunto un atteggiamento ondivago sulla localizzazione dell’Auditorio proponendo ipotesi che sono andate dal Prato della Valle a Padova sud, sembra (ma non a maggioranza) ora avere scelto come soluzione l’area dell’ex caserma Prandina in corso Milano.

A prescindere dal fatto che la scelta dell’ ex Prandina non sembra scaturire da un’idea di città o da un progetto culturale, risibile infatti appare il proposto triangolo culturale Auditorio, Teatro Verdi e Castello Carraresi (?), questa localizzazione non appare per nulla condivisibile.

Innanzitutto non si capisce quale sia il vantaggio di ordine economico e di accelerazione nei tempi operativi nel voler acquisire un’area di proprietà del Demanio Statale, quando già se ne possiede una adeguata, dato che a tutti sono noti i tempi biblici di questo tipo di dismissioni (vedi operazione castello Carrarese) e i prezzi di mercato di un’area come quella adiacente a corso Milano.

Se è vero, come già detto, che le grandi opere pubbliche possono diventare eccezionali occasioni di ristrutturazione e riqualificazione urbana, nell’area della Prandina questa valenza è assolutamente sprecata.

Prima di tutto perché la Prandina in se non può essere considerata degradata tanto è vero che sull’area è stato apposto il vincolo dalla Soprintendenza, e giustamente, in quanto il "vuoto" della Prandina è l’unica testimonianza storica sopravissuta del guasto cinquecentesco (la grande demolizione di edifici effettuata per motivi militari all’interno e all’esterno della cinta muraria per cui anche il Santo ha rischiato la demolizione) e inoltre gli edifici costruiti in occasione della prima guerra mondiale hanno un notevole interesse tipologico.

Questo stato dell’area, benché dismessa, ben si concilia con la sua attuale destinazione a parco cittadino, ma necessariamente entrerà in conflitto con il progetto dell’Auditorio.

Abbiamo già espresso un giudizio negativo sulla localizzazione dell’Auditorium nell’area dell’ex foro Boario in Prato della Valle anche per i condizionamenti di carattere volumetrico e linguistico cui dovrebbe sottostare il progetto a causa del confronto con i valori ambientali e/o monumentali circostanti.

Dispiace constatare pertanto, pur con le dovute differenze, che nella Prandina il problema si ripropone di nuovo, e che pertanto non risulta la più adeguata alla localizzazione di un complesso di manufatti moderni, che dovrebbero essere progettati senza condizionamenti formali, capaci di portare Padova alla ribalta della cultura architettonica internazionale, come potrebbe avvenire nell’area dell’ex Gasometro.

Infine si deve sottolineare che va sprecata anche l’occasione della potenzialità di una ampia ristrutturazione urbanistica in quanto l’area della Prandina è conclusa in se da limiti invalicabili sordi all’effetto "trascinamento" dell’intervento come corso Milano e le mura cinquecentesche con la retrostante circonvallazione, mentre delle adiacenti proprietà degli ordini religiosi non è prevedibile e neppure utile ipotizzare un coinvolgimento.

Dato che l’intervento dovrebbe essere realizzato con il project financing, la urgenza degli investitori di contenere costi a livelli "ragionevoli" (non dimentichiamo che si parla anche di un parcheggio sotterraneo e di interrare via Orsini), porterà con se la necessità di realizzare oltre agli edifici per l’Auditorium e il Conservatorio anche una notevole quota di edifici residenziali e, perché no, anche un centro commerciale.

In questo modo finalmente verrà cancellato definitivamente quel parco per il Centro Storico che Luigi Piccinato ha inserito nel P.R.G fin dal 1954 e che un comitato cittadino sta difendendo da almeno trent’anni dalla utilizzazione a parcheggio, dalla caserma dei carabinieri, dalla destinazione residenziale.

Solo l’"horror vacui" può definire l’area ex caserma Prandina "un’area da sfruttare" come se il verde pubblico, in una città a misura di uomo, non fosse un adeguato... sfruttamento.