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Il dialogo dei monaci - Eucarestia

Il dialogo dei monaci

Cap. VII - Eucarestia

 pag 79-90

Sommario

Questo è il mio corpo 

   «Padre, potete dirmi una parola su quella realtà che avrebbe bisogno di biblioteche intere, non dico per essere spiegata, ma semplicemente abbozzata con i contorni del grande mistero che porta con sé? Ho bisogno di un po’ di luce per vivere con maggior verità la celebrazione dell’Eucarestia».

   «Se non ti bastano il Vangelo e San Paolo, non ho altro, figlio».

   «Padre, ripetetemi ciò che dice la Bibbia, che trasmette la Tradizione, o che ha maturato la riflessione teologica».

  «Caro Teofilo, allora aggiungo una riflessione su alcuni aspetti dell’Eucarestia, che troppo spesso è diventata il rito più solenne; il rito che nella sua espressione liturgica abbraccia il contenuto dell’intera fede cristiana; il rito più bello; un rito comandato da Gesù stesso e per questo della massima autorità; il rito nel quale la Chiesa intera colloca la sua preghiera più profonda e genuina nella preghiera del Cristo, un rito, però, che spesso, da parte nostra, rischia di essere solo un rito.

   Ecco le sacre parole del Cristo: “Prendete, questo è il mio corpo e il mio sangue che io consegno per voi. Fate questo in memoria di me”. Gesù ci ha chiesto di fare come Lui. Certo, abbiamo preso anche noi il pane e il vino tante volte, abbiamo preparato l’altare, collocato il calice, la patena, i fiori. Ci siamo preoccupati di icone, quadri, affreschi, statue, marmi e legni scolpiti. Abbiamo pure preparato cattedrali per celebrare questo rito, questo mistero, ma troppo spesso abbiamo assistito a un teatro sacro, certo pieno di grazia, di stimoli alla conversione, ma l’Eucarestia di Gesù è un grido che va ben oltre. “Fate questo in memoria di me” non si può ridurre a prendere del pane e del vino e dire quelle stesse parole come se fossero magiche. “Fate anche voi questo” è il comando per fare quello che anche Lui ha fatto. Gesù ha preso la sua vita tra le mani, l’ha consegnata e invita noi a prendere il nostro corpo, il nostro sangue e consegnarlo, proprio come Lui, nelle mani del Padre e dei fratelli. (1)

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(1) Cfr. Rosso R. (2010), La consegna, EDB.


   Lasciami ancora aggiungere, caro Teofilo, che Gesù non ha paura di scuotere la nostra fede e, se ci lascia perplessi l’atteggiamento di Gesù stesso nel lasciarci il segno del pane e del vino, assai più restiamo scandalizzati di fronte al mistero dell’altra Eucarestia: l’uomo, corpo e sangue di Cristo. È questa l’Eucarestia più compromettente per Gesù stesso e la più sconcertante per noi. Al capitolo 25,31-46, Matteo ci presenta uno dei più rivoluzionari discorsi di Gesù. Nel giudizio finale, alla fine dei tempi, il Signore dirà ai buoni: “Venite, benedetti dal Padre mio e possedete il regno preparato per voi già dall’inizio del mondo. Infatti avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere. Ero forestiero e mi avete alloggiato. Ero nudo e mi avete vestito. Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i buoni risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o quando hai avuto sete e ti abbiamo dato da bere? Quando ancora ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo alloggiato, o quando nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti da te?”. Ed ecco la risposta del Signore: “In verità vi dico che, tutte le volte in cui avete fatto queste cose a uno di questi fratelli poveri, l’avete fatto a me”.

   Sì, è quello il momento in cui Gesù ha proteso le mani su tutti i poveri del mondo, sui malati, sui peccatori (feriti dalle loro azioni) pronunciando le parole di consacrazione: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; tutto quello che farete loro fatelo in memoria di me. (Perché tutto quello che avete fatto loro lo avete fatto a me). Per questo ogni volta che apriamo un giornale e vediamo le immagini di chi ha vinto e di chi è stato sconfitto, di chi ha costruito e di chi ha distrutto, della vittima e del killer, in quel momento ci troviamo di fronte ad una serie di icone dai colori e dalle espressioni più diverse, che però riproducono lo stesso volto: quello di Gesù Cristo. In quei volti spesso cogliamo rabbia, gioia, disperazione o i segni della bontà e del crimine, ma ci è troppo difficile o almeno non siamo abituati a cogliere la vera presenza del volto di Dio”.

   Quand’ero piccolo mi dicevano che, se facevo il buono, l’angelo custode e Gesù stesso stavano in me e mi proteggevano, se invece facevo il male, Gesù se ne andava via ed entrava in me il diavolo con le corna e la coda. Diventato adulto, dopo aver letto con più attenzione la Bibbia, mi sono accorto che, se faccio il bene, Gesù è in me e quando faccio il male Gesù, anzi la Trinità rimane in me. Non c’è azione criminale che possa buttar via dal mio cuore Gesù stesso. E fino a quando il respiro rimarrà in me ci rimarrà pure Lui. Se compio dei crimini gravi, il Gesù che è in me sarà un Gesù incatenato, inchiodato, che grida: “No! Non puoi fare quell’azione o coltivare nella tua mente pensieri che possono portarti alla violenza, alla pigrizia di fare il bene, all’impurità, ai tradimenti, a omicidi, furti, adulteri. No! Non puoi opprimere gli altri e compiere ogni sorta di ingiustizia solo per arricchire, per ottenere potere, forza, etc.!”. Ecco, Gesù è in me e nessun crimine potrà metterlo via dal profondo di me stesso, anche se lo volessi espressamente. Con l’Incarnazione Lui è diventato una sola cosa con noi.

   Quando faccio l’adorazione di fronte all’Eucarestia esposta nella chiesa, so di essere alla presenza di Dio, ma quando dovevo viaggiare con i mezzi pubblici non mi è difficile l’adorazione, avendo sempre qualcuno davanti a me, almeno l’autista dell’autobus. Non ho bisogno di domandarmi se chi sta di fronte a me è un santo o uno che ha appena bestemmiato. Mi è sufficiente sapere che un uomo o una donna sono di fronte a me e io sono certo di essere alla presenza della Trinità. So che il corpo e il sangue di Gesù sono di fronte a me e posso continuare ad adorare. Non importa se è un Gesù sorridente, o insanguinato: è comunque Lui. Posso pensare a un’ostia che mi cade per terra, nel fango o nel letame. Potrei essere impossibilitato dal mangiare quel pezzo di pane consacrato tanto è diventato ripugnante, ma fino a quando una parte di pane rimane pane benedetto, posso inginocchiarmi di fronte a quel frammento di Eucarestia». (2)

   «Padre, mi avete riscaldato il cuore. Adesso vado a fare l’adorazione nella cappella».

   Il giorno seguente Teofilo, con molta serenità, ma ancora con una domanda, si recò dal Padre e gli disse:

   «La scorsa settimana è venuto a trovarmi quel mio amico luterano ed è venuto per incontrarmi dopo tanto tempo, ma anche per pregare con noi come abbiamo fatto. Prima di lasciare la montagna mi fece alcune domande sull’Eucarestia, ma io sono rimasto molto confuso nel tentare di dare alcune risposte. So che c’è un divario molto grande nel leggere i segni del pane e del vino tra le Chiese Protestanti e quella Cattolica, infatti molti di essi considerano la Bibbia come il segno principale della presenza di Dio nella comunità. Come riavvicinare questa distanza?».

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(2)  Cfr. Rosso R. L’uomo, nostra seconda Eucarestia, EDB.


   «Potremmo forse aiutarci in questo modo: Gesù è di fronte al pane e al vino utilizzato per la celebrazione e noi possiamo pensarLo mentre usa questa parafrasi: “Io sono il Verbo, la Parola che si è incarnata. Anche questo pane e vino sono segni della mia presenza, quindi sono i segni della mia Parola. Leggetemi, ascoltatemi, mangiatemi: nelle lingue semitiche il verbo ‘mangiare’ significa anche leggere, quindi masticare il pane sacro e leggere il segno di quel pane stesso e ancora leggere la Bibbia sacra e mangiarla, masticarla, meditarla sono espressioni molto simili per dire la stessa realtà. In molte chiese, specialmente in oriente, si usa mettere due tabernacoli, generalmente uguali: uno con il pane da mangiare, da ‘leggere’ e l’altro con la Bibbia da leggere, da ‘mangiare’.

   I due verbi – ‘Leggere’ e ‘Mangiare’ – ci mettono in profonda comunione con il Cristo. E le Chiese, se lo vogliono, possono riconoscersi molto più sorelle. Comunque, Teofilo, devi sapere che l’Ecumenismo non è in primo luogo una riflessione teologica più corretta, ma è un atto di amore tra le Chiese e quindi un Dono particolare dello Spirito Santo. E per diventare un tutt’uno ut unum sint, non occorrerà che una Chiesa diventi un’altra Chiesa. Ma il giorno in cui le Diverse Chiese cristiane diranno le une alle altre: “Vi riconosciamo Chiesa di Gesù Cristo, Chiesa che conserva la sua presenza, in cammino e alla ricerca, cantando insieme il Padre nostro”, quel giorno potrà essere festa di Unità.

   Dopo questo passo dovremo avanzare ancora un poco e in un sincero dialogo interreligioso abbracciare tutti i fedeli delle diverse religioni, che pur non riconoscendo Gesù Cristo sono amati da Lui e animati dallo stesso Spirito Santo e infine pregheremo per ottenere il dono della fraternità universale, non solo con ogni fedele di una qualche denominazione religiosa, ma con ogni parte di umanità, anche se atea e irriconoscente in quanto siamo un unico corpo».

   «Avendo parlato di dialogo interreligioso ed essendo spesso interpellati dai nostri fratelli musulmani e dai nostri fratelli maggiori, gli ebrei, su un’accusa a cui mi trovo confuso nel rispondere, infatti ci dicono che non siamo monoteisti in quanto la nostra riflessione teologica parla di tre Dei, cosa si può rispondere?».

   «Di fronte al mistero di Dio, qualunque linguaggio teologico è inadeguato: possiamo dire che sia solo un tentativo di risposta. Il linguaggio e la filosofia adottati per parlare della Trinità non sono certamente così chiari. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vengono infatti descritti come tre Persone distinte e poi, giustamente, si afferma che sono un Dio solo. Ed è comprensibile che possa trarre conclusioni diverse chi non è abituato alla filosofia greca o alla teologia cattolica. Si usa infatti un linguaggio analogico, legato alla nostra esperienza nell’ambito della creazione e del finito per descrivere Dio, increato e infinito.

   Riguardo al dialogo interreligioso, invece, mi farei aiutare da un teologo (3) che parlò di Dio come “non essere”. Sebbene l’espressione possa scontrarsi con la prima affermazione biblica di Dio come “Colui che è”, tale concetto vuole farci prostrare in umile adorazione davanti a Dio: quando lo pensiamo o descriviamo lo facciamo sempre con categorie legate al nostro mondo sensibile e finito poco adatto a parlare dell’Infinito e Increato. Semmai Teofilo ci ritorniamo su domani». 

Il prefazio della Gloria

   Il giorno dopo Teofilo andò a leggere nella bacheca il promemoria delle attività giornaliere e si stupì che non ci fosse nessun accenno all’incontro previsto, semplicemente registrò un tempo più lungo per l’Eucarestia. Al momento del Prefazio, infatti, lo starez pregò così:

   Noi ti ringraziamo, Padre, per i tuoi doni. Ti ringraziamo per la tua paternità. Da sempre tuo Figlio è nel tuo cuore. Con la creazione hai iniziato a preparare il suo corpo. Hai accompagnato, attraverso le infinite esplosioni, la materia informe dai nuclei degli atomi alle galassie senza numero, ordinando ogni cosa fino a rendere visibile la bellezza. E, come l’ombra dice pur lontanamente qualcosa dell’oggetto che rappresenta, così la creazione ha iniziato a dire qualcosa della tua bellezza. Intanto organizzavi molecole e cellule per far sì che un giorno, diventando umanità, potesse guardare verso di Te, e contemplare, anche se nell’ombra, qualcosa di Te.

   Quando le cellule disposte in umanità sono state capaci di accoglierti, hai mandato in esse il tuo Spirito perché potessero diventare il corpo e il sangue del tuo Figlio. Un popolo, il popolo di Israele cominciò, con la tua luce, a sentire di essere non solo un popolo, ma anche il figlio che poteva dialogare con Te. Tu gli parlavi ed egli ti rispondeva. Col fuoco e con l’ombra, mostravi a Lui qualcosa della tua Gloria. Questo figlio ti chiedeva benedizioni e tu lo esaudivi. Provvedevi cibo, figli e ricchezze. Quando si dimenticava di Te, lo richiamavi perché non perdesse l’occasione di essere felice con la tua amicizia. Quando si allontanava da Te con la pigrizia di fare il bene, lo riprendevi per accordargli nuovamente il perdono. Per esserti riconoscente, ti offriva allora frutti del campo e animali, bruciandoli: privandosi di essi, sperava di raggiungere il tuo cuore dicendoti grazie o chiedendoti perdono.

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(3) Raimon Panikkar


   Se nel cuore di questo figlio trovavi uno spazio più puro e capace di capirti, dicevi di gradire altri sacrifici e cioè cuori puri, umili e santi. Spesso ti supplicava: “Parlami, Padre, che il tuo servo ti ascolta”, ma per lui, ancora tanto bambino, era molto faticoso capire le tue parole, così diverse da quelle che era capace d’intendere. Poi, nella pienezza dei tempi, quando l’albero dell’umanità fu in grado di dare frutti maturi, hai realizzato il tuo sogno di salvezza. Da sempre gli uomini ti domandavano con insistenza: “Salvaci dai nemici, dalla schiavitù e dalle deportazioni. Salvaci dalle malattie. Salvaci dalle calamità naturali: terremoti, incendi, inondazioni. Salvaci da ogni forma di sofferenza. Salvaci da ogni male”. E tu, Signore, rispondevi a queste grida umane, ma volevi donare molto di più di quanto tuo figlio sapeva chiedere: volevi salvarlo dalla morte. O comunque desideravi che sapesse di questo dono eterno che avevi già progettato per lui e gli altri figli.

   Dopo aver inviato Patriarchi, Profeti e Santi a parlare della salvezza, si è fatta spazio tra il tuo popolo la speranza che sarebbe venuto qualche Santo, un Messia a salvare il popolo da tutte quelle fatiche. E Tu, Signore, avevi già suggerito ad Abramo di consegnare il figlio suo pensando di poterlo riavere vivo anche dopo la morte. E ai figli dei Patriarchi avevi appunto rivelato te come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, quindi Dio dei vivi e non dei morti, e a Giobbe pure avevi dato una luce sufficiente per poter dire in mezzo al suo dolore: “Io so che un giorno, anche dopo la morte, con questo mio corpo vedrò il Signore”. E, ancora, avevi dato il dono di una fede straordinaria a una madre con sette figli, i Maccabei, i quali poterono testimoniare di credere nella Resurrezione al punto di lasciarsi uccidere tutti pur di rimanere fedeli al loro Dio. In ogni caso, tutto ciò rimaneva una speranza, ma anche questi testimoni erano morti, lasciando dietro di sé il silenzio che segue ogni mortale.

   E Tu non hai voluto continuare a ripetere parole di speranza, ma mandare una parola nuova, anzi “la Parola” e questa Parola è diventata un bambino, poi un uomo cresciuto sullo stesso albero dell’umanità, lo stesso albero che ha prodotto ogni altro uomo e donna. In quest’uomo, Gesù, Tu, Padre hai occupato tutti gli spazi del corpo e dell’anima al punto che Egli può esprimersi dicendo:

   “Chi vede me vede il Padre”. In Gesù tutto è divino. La gente lo incontra, sapendo che è come incontrasse Dio. Quando gli amici lo ascoltano, ascoltano veramente parole di Dio. Se i malati vogliono chiedere a Dio la guarigione, vanno da Lui. Se qualcuno vuole chiedere a Dio che resusciti una persona cara, va da Gesù. Se qualcuno si sente peccatore e vuole chiedere perdono a Dio, va da Lui: così chi incontra Lui incontra Dio stesso.

   Non è vero che, vedendolo straordinario, i suoi conterranei l’abbiano divinizzato ma, poiché il Padre l’aveva riempito del suo Spirito, l’hanno semplicemente riconosciuto, specialmente il mattino di Pasqua, dopo la Resurrezione. Qualcuno teme che la materia del corpo di Gesù venga chiamata Dio e quindi l’unicità di Dio, il monoteismo venga compromesso. Per accompagnarci a piccoli passi, pensiamo alle molecole che compongono il pane e il vino: rimangono le stesse anche dopo la consacrazione, anche se ospitano la Tua presenza viva e vera. Così gli atomi, le molecole e le cellule che hanno composto il corpo di Gesù, nel momento in cui è morto sono diventati come ogni altra parte della materia. Se gli uomini avessero divinizzato la materia del corpo di Cristo, avrebbero continuato ad adorarlo anche da morto e invece lo hanno seppellito.

   Solo con la Resurrezione, quando quella materia ha riaccolto la tua presenza, o Dio – e tu, Padre, sei tornato ad occupare tutti gli spazi di quella materia, anche se in un modo totalmente nuovo – abbiamo nuovamente contemplato la tua Gloria, o Dio, cioè la tua Gloria nel corpo del Figlio. , Signore, in Gesù è il luogo dove la tua divinità è più visibile, per quanto lo possa essere in un corpo umano. E se tu, o Dio, sei presente nelle parti più segrete della materia che si esprime in sola energia e, pertanto, non sei presente nel pane spezzato o nel calice del Signore più di quanto lo sia in qualunque altro luogo, noi abbiamo però scelto il segno che ci hai suggerito per celebrare, in esso, la tua presenza. Nel pane spezzato non adoriamo il gusto del pane, il colore o il profumo del vino, né la visibilità della materia in quanto tale – ciò che i teologi chiamano accidenti – ma la presenza di Dio in quel luogo privilegiato.

   Così tu, Dio Padre, sei presente in tutto il Figlio – che siamo noi, uniti a Gesù risorto – e ci dai la possibilità di celebrare la tua presenza divina, la tua bellezza e la tua gloria nel Gesù Cristo stesso, che ci anticipa fin d’ora quello che saremo anche noi. Per questo mistero di salvezza, noi, fatti voce di ogni creatura, uniti agli Angeli e ai Santi, proclamiamo la tua gloria: Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria, Osanna nell’alto dei Cieli. Benedetto il Signore Gesù che, ripieno di Spirito Santo, porta lo stesso Dio in mezzo a noi. Osanna nei Cieli Santi e qui sulla terra».

L’Eucarestia del fratello 

   «Caro Teofilo, annotai sul mio diario anche questa esperienza, che ti potrebbe suggerire ancora qualcosa sull’Eucarestia.

   Era il 26 novembre: nella stazione di Zagabria si stava caldi e non era un problema passarvi la notte. Non ero molto stanco perché avevo dormito in treno. Aprii il breviario per la preghiera di Compieta. Mi ero seduto accanto a uno zingaro del Wukomerec che, essendosi ubriacato forse più del solito, non era riuscito a rientrare ed era là, accasciato su se stesso con la testa bassa. Lo conoscevo solo di vista. Lui mi guardò, borbottò qualcosa e tornò a dormire.

   Non avevo ancora celebrato Messa. Ero senza pane e senza vino. Avevo solo del tè in un termos.

   C’erano tanti uomini e donne in quel grande salone. Molti erano visibilmente chiusi nella propria disperazione, non guardavano in faccia gli altri e non volevano essere guardati. Avevo l’Eucarestia esposta davanti a me, nel corpo e sangue di tutti quei fratelli e sorelle. Potevo fare adorazione, mi mancava però la “celebrazione” dell’Eucarestia stessa. Sedetti di fronte allo zingaro. Mi raccolsi, cercando di fare silenzio dentro di me e, da ultimo, pregai con la “Compieta”, la preghiera della sera. Era giovedì, salmo 15.

   Il Signore è mia parte di eredità e mio calice, nelle tue mani è la mia vita: continuavo a guardare quello zingaro davanti a me. Il mio Signore era là, era la mia eredità, e il mio calice era pronto.

   Per me la sorte è caduta in luoghi deliziosi, la mia eredità è magnifica: non c’era luogo migliore di quello. Mi era toccato in sorte il Signore stesso nella presenza del mio fratello, di fronte al quale facevo adorazione.

   Benedico il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce: e pensavo a quella stessa notte.

   Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare: il Signore era proprio posto davanti a me, alla mia destra, e io mi sentivo sicuro.

   Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra: quella sera mi indicò con più forza il sentiero della vita. Ed era la gioia della sua presenza viva e vera in quell’uomo davanti a me.

   Conclusi le preghiere della sera. Ormai era tardi, iniziai così la Messa davanti a quello zingaro, anziché davanti al pane azzimo e al vino. Feci le letture: il primo capitolo della Genesi, alcuni versetti della prima lettera ai Corinti e il capitolo 25 di Matteo e riflettei per alcuni minuti, poi proseguii con l’Offertorio:

   Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo dono, è un corpo umano. Questo è tra i più belli e grandi dei tuoi doni. Egli è frutto della terra, della gioia e della sofferenza, e in primo luogo del tuo amore. Lo presentiamo a te perché diventi per noi ciò che è già per te. Diventi per noi comunione di salvezza e ciascuno di noi sappia riconoscerlo. Benedetto nei secoli il Signore.

   Mi rivolsi poi a quell’assemblea muta, che non si era accorta di ciò che facevo e gridai col cuore:

   Pregate, fratelli e sorelle, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.

   Tacquero. Si intese solo il rumore di qualche bottiglia. Alcuni entrarono, altri uscirono, ma io raccolsi entro di me la risposta:

   Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio vivo e santo per il bene nostro e di tutta la sua santa chiesa, la chiesa di tutti gli uomini. Il Signore sia con voi.

   E con il tuo spirito.

   In alto i nostri cuori.

   Sono rivolti al Signore.

   Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.

   È cosa buona e giusta.

   Era veramente cosa buona e giusta. Raccolsi tutte le mie forze e recitai la mia preghiera di lode e di ringraziamento:

   Grazie, Padre, per tutto ciò che è attorno a noi, per l’assoluto che sei tu e per il limite che siamo noi. O Padre, siamo il tuo confine, là dove tu finisci e ricominci il canto della tua esistenza, della tua grandezza e della tua bellezza. E quando noi abbiamo interrotto il canto della libertà, tu, o Padre, non ci hai lasciato nel silenzio della disperazione e dell’inferno, ma hai mandato a noi Gesù Cristo, il quale ci ha riproposto il canto che tu stesso ci avevi insegnato. Questo stesso Gesù prese l’umanità fra le mani e benedisse quella carne che aveva consacrato dicendo: “Ogni volta che farete qualcosa anche al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”; poi pose un bambino in mezzo e ripeté: “Ogni volta che accogliete uno di questi piccoli, voi accogliete me”.

   Così, Padre, abbiamo riconosciuto la tua gloria sul volto di ciascuno di loro, poiché Gesù la rese particolarmente visibile nella sua persona di Figlio, per questo i tuoi figli inneggiarono il canto della liberazione ai quali ci uniamo per gridare: “Santo, santo, santo il Signore Dio dell’universo, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nei cieli e sulla terra. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nei cieli e sulla terra”.

   Proseguii con il canone. Stesi le mani in avanti e dissi: Padre veramente santo e fonte di ogni santità, santifica questo dono, mandando il tuo Spirito perché diventi per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.

   Certo, lo era già corpo e sangue di Cristo, ma io avevo sempre più bisogno che lo diventasse per me, per me e per gli altri. Per questo bisognava ancora pregare, consacrare e benedire. E proseguii con la preghiera di “consacrazione”:

   Un giorno Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo e disse: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me”.

   Sostai in adorazione e continuai:

   Mentre Gesù stava seduto sul monte degli ulivi, parlò del compimento finale e del giudizio di Dio e disse: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

   Non ero capace di sollevare quell’uomo con le mani, lo feci col cuore e proseguii: Mistero della fede. Annunciamo la tua morte, Signore, che continua in questi fratelli. Proclamiamo la tua Resurrezione, che ha riscattato definitivamente ciascuno, nell’attesa della tua venuta.

   Ormai, la cattedrale in cui mi trovavo era diventata silenziosa ed io continuai a celebrare.

   Celebrando il memoriale della morte e Resurrezione di tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta nella gloria, ti offriamo questo sacrificio vivo e santo per ringraziarti. Guarda con amore e riconosci nella tua chiesa universale e in questa piccola chiesa nella stazione di Zagabria la vittima pura, santa, immacolata, corpo santo dell’eterna salvezza.

   Ricordati, Padre, della tua chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in unione al nostro Papa, al Vescovo, ai preti e a tutto il mondo che tu hai redento. Ricordati dei nostri fratelli defunti: i poveri e i ricchi, i mistici e gli indemoniati, ammettili a godere la luce del tuo volto. E di noi tutti abbi misericordia. Donaci di aver parte alla vita eterna, insieme a Maria, la madre di Gesù, gli apostoli, i santi e tutti gli uomini di buona e di cattiva volontà, che in ogni tempo ti furono graditi e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.

   Qualcuno si era messo a gridare, ma non mi aveva disturbato ed era entrato così in maniera più viva nella nostra Eucarestia:

   Obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire, con la bocca a terra, osiamo con le labbra impure, osiamo con il cuore carico di peccato, sperando che nessuno si vergogni di averci per fratelli, poiché non si è vergognato Gesù, osiamo dire: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori. Non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Liberaci, Signore, da tutti i mali, concedi benigno la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia saremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni paura, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore, Gesù Cristo.

   Il coro era sempre più forte: Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli.

   Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: vi lascio la pace, vi do la mia pace, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua chiesa. Sì, guarda alla fede della tua chiesa. La tua chiesa è fedele, perché in essa ci sei tu, Cristo, che sei fedele. La tua chiesa è bella perché in essa ci sei tu, che sei bello. La tua chiesa è credibile, perché in essa ci sei tu che sei credibile. La tua chiesa è santa perché ci sei tu che sei santo. Guarda dunque alla bontà di questa chiesa e dona unità e pace, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

   Guardai tutti, uno per uno, e: La pace del Signore sia sempre con voi. E con il tuo spirito.

   Ho cercato di risistemare un uomo che era cascato sul fianco in una posizione che doveva stancarlo, anziché riposarlo, perché potesse avere ancora un poco di “pace” anche lui. Forse si spaventò e lanciò un urlo. Non compresi ciò che disse. È probabile che abbia pensato a un tentativo di furto. Tornai a posto e continuai davanti al mio zingaro così crocifisso e abbandonato come un agnello sgozzato:

   Beati gli invitati del Signore; ecco Gesù, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. O Signore, tu adesso dormi e sei ubriaco, come posso fare comunione con te, la comunione con la vittima offerta, la comunione con il santo sacrificio dell’altare?

   Ho preso il termos del tè, mi sono avvicinato allo zingaro, l’ho svegliato a fatica per chiedergli se voleva del tè caldo. Non rifiutò. Mi sembrò contento più per l’attenzione che per il tè stesso. Ne diedi a un altro vicino e bevvi quello che era rimasto. Avevo fatto anche “comunione”. Canticchiai la preghiera di Francesco: Dove c’è odio ch’io porti l’amore.  

Preghiera dopo la “comunione” 

   Signore, ora mi sento in comunione con tutti i fratelli e le sorelle del mondo. Ora credo che tu sei dentro di me e, per lo stesso dono di questa fede, abbraccio tutti i cattivi come me e i buoni, i ricchi e i poveri, gli inseriti e gli emarginati, i lavoratori e i disoccupati, coloro che soffrono, che muoiono, che cantano. Abbracciando te, o Cristo, abbraccio gli omicidi, coloro che cercano di sopprimersi, i drogati, i missionari, le prostitute, le missionarie, le mamme, i papà, gli omosessuali, i santi, i ladri, gli apostoli, i ricettatori. Abbraccio il loro corpo e il loro sangue in questa smisurata comunione che mi concedi. Amen».  

Il pane e il vino 

   «Teofilo, da questi pochi appunti nasce una filosofia della vita e un’antropologia nuova. Ne nasce un grande impegno: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore. In te e nel fratello troverai il cuore di Dio e, contemplando nel silenzio il Dio degli uomini, il Dio invisibile, vedrai il vero volto dell’uomo. Per tutto questo non è sufficiente la preghiera sul treno, alla stazione, passando nella strada e attendendo negli uffici. Bisogna sostare a lungo nella propria stanza, nel segreto. Ogni giorno devo piegarmi, di fronte a quel pezzo di pane spezzato in segno della sua presenza, per aiutare il mio cuore a contemplare, nella gratuità del tempo, il Creatore della storia. Devo celebrare l’Eucarestia, offrire, chiedere, ringraziare, lodare, cantare le preghiere della chiesa da solo o con la comunità, altrimenti finirò per non riconoscere più questo Cristo di strada, di mondo, di fango. Se non c’è l’adorazione nel silenzio, la preghiera, la contemplazione nel deserto davanti all’altare della mia chiesa, Cristo diventerà sempre più un’idea, un pensiero, un fantasma e basta. Se guarderò sempre e solo alla terra finirò per credere soltanto in essa».