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Lettere agli amici   2011 - 2015

Lettere agli amici   2011 - 2015

Sommario

2015

Lettera di Natale agli amici

Bangladesh - Natale 2015

Cari amici, 

(A coloro che ho incontrato quest’anno in Italia risparmio di leggere la lettera perché ci siamo già dette queste cose). 

Dalla fine del 1914 alla metà del 1915 i martiri cristiani sono stati oltre 200 (Libia,Etiopia, Kenia, Bangladesh, Filippine), poi si aggiungono quelli di altre religioni. Le statistiche ufficiali non sono ancora in grado di dire quanti siano i martiri della Siria e Iraq, ma sono tanti. 

Quest’anno e’ pure il Centenario del Genocidio dei Santi Martiri Armeni con 2 000 000 di cristiani morti per Gesù’ Cristo. 

Probabilmente avete ricevuto un testo che vi ho inviato sui Martiri Armeni. Se non aveste avuto ancora il tempo di aprirlo vi inviterei a vedere almeno la pagina finale. 

Si aggiungono alcune testimonianze di martiri musulmani: tra questi Mahmoud Al’Asali musulmano, professore all’Università di Mosul che fu ucciso per essersi dissociato pubblicamente dalla violenza dei suoi concittadini islamici in favore dei cristiani. 

Ariga il giovane mussulmano considerato cristiano perchè amico e collega dei 20 cristiani egiziani sequestrati in Libia, prima di essere esecutato venne interrogato se era disposto a rinnegare Gesu’ Cristo a cui rispose: “Il loro Dio e il mio Dio e’ lo stesso” e così si aggiunse agli altri 20 martiri. 

E ancora quest’estate, in mezzo alla persecuzione islamica contro I cristiani iracheni, un gruppo di giovani musulmani ebbe il coraggio di dissociarsi e di manifestare a favore dei loro amici cristiani con cartelloni che riportavano scritto: “Sono Iracheno e sono Cristiano”. Questi cartelloni che sarebbero stati gia’ coraggiosi in mano a cristiani immaginiamoli sbandierati da musulmani. Che coraggio! 

Quind.i a ragione, quest’anno lo chiamerei l’anno del martirio. Centinaia di persone hanno dato la vita per una causa legata alla fede. Qualcuno è pure stato risparmiato dalla morte, anche se l’aveva accettata. Nel mio vagabondare sono stato testimone di Quattro casi e ve li racconto, perche’ a me hanno dato tanta forza. 

Nell’Isola di Basila al sud delle Filippine trecento cinquanta bambini (zingari del mare) sono seguiti da due missionari Clarettiani e sostenuti dal Sermig-Torino. Mi ero recato in quel Paese 13 anni fa, dopodichè sono nate delle belle iniziative riguardanti la Pastorale dei Bajau (zingari del mare). Continua il terrorismo contro i cristiani del Mindenao. Oggi il prezzo che stanno pagando i cristiani è molto alto, anche se nella recente storia del passato i cristiani di quelle regioni non sono stati così innocenti. Ora mi limito a un fatto maturato in questa situazione di conflitto. Il terrorismo che si identifica con il gruppo Abu Sayat, alimentato da Al-Qaeda, in realtà è molto più complesso in quanto collegato con almeno una decina di Nazioni e spesso composto da comuni militanti locali che preferiscono darsi un colore politico, mentre spesso non si distanziano da comuni criminali. In passato questi gruppi sovversivi-rivoluzionari si sono alimentati con i sequestri di turisti (nei primi anni), finché più nessun turista osò raggiungere quelle isole, peraltro bellissime, dove le pietre comuni sono blocchi di corallo. Oggi continuano ad essere sequestrati filippini locali, dove si presume che qualche buon riscatto possa essere pagato. Sono stato a Basilan anche quest’anno e in quella occasione ho incontrato due dei nostri insegnanti che sono stati sequestrati per ben 43 giorni e rilasciati il 9 ottobre ‘14 : Frederick e Cherben. A nessun religioso è richiesto di vivere su una di quelle quattro isole, per ubbidienza. Chi vive là, fa questo solo per libera scelta. Anche i due insegnanti, in questione, avevano specificatamente scelto di vivere con i Badjau e risiedevano in una parte della costa abbastanza distante dal resto delle abitazioni. Vivevano in una palafitta sul mare accanto a un’altra molto grande adibita a scuola e tante altre di zingari del mare. I rivoluzionari, la sera dal 4 settembre, li raggiunsero in diciassette, vestiti da poliziotti, con tre barche e una di queste una Jungkung malesiana equipaggiata con tre motori, sulla quale spinsero i due insegnanti. Frederik e Cherben, in quella confusione, faticarono a capire che cosa stesse succedendo e come avrebbero dovuto comportarsi, però ben presto dovettero rendersi conto che si trattava di un sequestro. I terroristi, per confondere i due giovani e far pensare che non erano essi il bersaglio, chiesero dov’era il prete, domanda senza senso perchè tutti sanno molto bene dove i due preti risiedono, molto distante da quel posto. Intanto uno dei militanti, visto un crocifisso al collo di Frederik, cercò di strapparglielo, ma lui con forza glielo riprese e riuscì a farlo scivolare nell’acqua perchè non venisse profanato. Frederik disse poi che da quel momento cominciò a sentirsi molto forte, più dei suoi sequestratori. Ripartirono pochi minuti dopo, ad alta velocità per un viaggio durato sei ore, nella notte, fino a un luogo sconosciuto, in seguito identificato come il villaggio di Talipao nella provincia di Sulu. Durante il viaggio non furono né ammanettati nè bendati, non ce n’era proprio bisogno. Là Frederik e Cherben furono consegnati a un gruppo di quattro giovani incaricati della loro cattività. In modi diversi mi dissero che da quel momento cominciarono a pensare seriamente che sarebbero stati uccisi come un altro centinaio di cristiani che in pochi anni erano stati esecutati su quelle isole. Tredici anni fà avevo ancora visto i segni dei proiettili sulla macchina del Vescovo che era stato ucciso e sei mesi dopo il suo segretario, poi il Padre Rhoel era stato eliminato sei settimane dopo il suo sequestro, condiviso con quattro insegnanti e 22 studenti. Si aggiunsero poi decine e decine di altri che hanno pagato col sangue la loro fedeltà alla fede cristiana. Il fatto di essere eredi di tanti cristiani coraggiosi ha dato una forza speciale ai due giovani sequestrati. Il fatto che i due insegnanti pensassero di essere certamente uccisi acquista un’evidenza proprio perchè cinque giorni dopo il loro sequestro, oltre 300 guerriglieri (appartenenti alla Moro National Liberation Front) con oltre trenta barche raggiunsero e attaccarono la vicina Zamboanga, seminando il panico ovunque, per un mese, lasciando 10 000 case distrutte 120 000 dispersi oltre le periferie e oltre 250 morti. Il clima che respirarono Frederik e Cherben in quel mese di prigionia era comprensibilmente della massima tensione. Frederik Banut, 24 anni, disse che subito all’inizio gli proposero una soluzione pacifica per salvare la sua vita : sposare cioè una mujahidat (donna musulmana combattente), sorella di un terrorista e diventare così musulmano e mujahidin (combattente islamico). Ma Frederik ebbe la forza di dire chiaramente: “Uccidetemi pure, ma io non abbandonerò mai la mia fede cristiana”. Venne anche il momento della prova per Cherben Masong, 25 anni. Uno dei quattro incaricati della prigionia dei due giovani, essendo in crisi con la sposa, forzò Cherben a vivere nella sua casa sperando, probabilmente di trovare qualche motivo di accusa sia contro Cherben che contro sua moglie. La signora manifestò chiaramente l’intenzione di voler sposare Cherben e lo disse anche a suo marito che arrivò, nella furia, a prendere il fucile e sparare per terra, almeno per spaventare, ma non trovò nessun appiglio per accusare il giovane insegnante. Cherben disse: “In quei giorni imparai ad amare molto di più il mio lavoro e ringrazio che quella avventura mi ha dato la possibilità di dimostrare ai Badjau (zingari del mare) quanto io gli voglio bene”. Mi disse poi Frederik che un giorno, mentre uno dei quattro terroristi, il principale incaricato per la sua prigionìa, raccontava un fatto della sua vita a un collega, gli scesero alcune lacrime sul volto apparentemente senza sentimenti. Frederik da quel momento cominciò a pensare che il terrorista in realtà era un giovane come lui e iniziò a chiamarlo per nome: Abdullha. Frederik pensò che avrebbero potuto diventare amici, in quanto il tempo c’era e la buona volontà almeno da parte sua c’era anche. Arrivarono al punto che la fiducia diventò reciproca. Quando giungeva l’ora della preghiera a cui ogni mussulmano serio è fedele, Abdullha consegnava il fucile a Frederik che per quel quarto d’ora doveva difendersi da solo qualora fossero arrivati i militari per liberarlo. E’ difficile capire come Abdullha potesse avere una fiducia così grande in Frederik da credere che sarebbe stato più fedele a lui di quanto avrebbe potuto esserlo di fronte a ipotetici liberatori, ma l’amicizia ha questo potere. Certamente questo fatto, cioè la loro amicizia, non può non aver contribuito, in fine, a una liberazione senza riscatto, anche quando il Padre claretano, che seguì tutto il percorso delle trattative, aveva pur lasciato capire che almeno una parte ragionevole avrebbe potuto essere pagata. 

Quando fu comunicato a Frederik e a Cherben che sarebbero stati liberati, Abdullha aveva ancora un’ultima confidenza da fare e prese Frederik in disparte e gli disse: “Tu sei stato più forte ma anche più fortunato di me. Io cristiano cattolico come te sono pure stato sequestrato. A me è capitato come a te, ma se non avessi detto che accettavo di diventare mssulmano e guerrigliero avrebbero ucciso i miei figli e mia moglie”. Poi Frederik mi aggiunse: “Per una serie di cose che mi ha raccontato io sono sicuro che nel profondo è solo cristiano, mi spiegò poi come si comportò con la sua coscienza per salvare la famiglia. Io sono certo che quando fa esternamente la preghiera musulmana lui prega certamente Gesù Cristo, la Madonna e i santi. Al termine comunque mi invitò ad andare dal suo parroco e raccontare tutto quello che era capitato e di chiedere a lui il perdono della Chiesa ”. 

Al termine del mio incontro con loro Cherben mi disse: “Come ho già sottolineato, ho imparato ad amare di più ancora il mio lavoro di insegnante. La sfida e il rischio sono sempre presenti, ma io capisco che lo stoppino vale la candela, per questo io vorrei poter continuare lo stesso lavoro, nello stesso luogo, con gli stessi bambini affinchè il loro futuro sia migliore di quello dei loro familiari”. E Frederik mi disse ancora :”Questa esperienza mi ha cambiato la vita. In quei lunghi silenzi ho imparato a pregare in un altro modo. Prima quando pregavo pensavo ai miei amici, oggi prego particolarmente per tutti i giovani che su queste isole caricano fucili uccidendo senza sapere quello che fanno. Prima non pensavo di dover pregare anche per loro ,oggi sono al centro della mia preghiera, e specialmente Abdullha è diventato un mio fratello. All’inizio sono stato picchiato violentemente da Abdullha, ma la mia amicizia con lui è stata più forte e alla fine vincente”. 

Per vari motivi i nomi propri in questo testo sono stati cambiati. 


DURGESH (18 anni) zingaro MARTIRE INDU’ 

Padre SANKARAPPA (65 anni) 

Madre ANJAHAMMA (65 anni) 

Residente a KALMEDU vicino a VIRAGANOOR a 30 Kilometri da Madurai, nella regione di SAKKILANGALAM 

Il gruppo di questi zingari vive vestendosi e truccandosi con cura il volto, a imitazione di una divinita’, come statue viventi che camminano e ricevono qualche soldo per il loro ricordo che portano per la divinita’. DURGESH spesso si mascherava come SRI RAM sposo della dea SITA divinità molto amata nel Panteon Indù. 

DURGESH nativo di UBIPPI, dopo la scuola primaria iniziò il lavoro di trasportatore di beni che arrivavano dalle Navi nel porto. 

Appartenente al gruppo DAY MASKER (PAGAL VESHAM) _ Cedul Cast 

8 anni fa, il suo gruppo cominciò a lottare per avere uno spazio dove abitare, anche se nomade. Il collector di Rajshai invitò il gruppo a costruire delle piccolissime capanne nella regione di SAKKINANGALAM e 6 anni fa nacque così il paese di KALMEDU. Nel 2011 il nuovo Collector autorizzò le costruzioni anche in muratura 

DURGESH,nel suo gruppo manifestò il particolare carisma della lideranza. A soli 16 anni era diventato Capo del suo gruppo e rappresentante dello stesso presso le istituzioni. 

Egli diceva di ispirarsi alla Pastorale dei Nomadi , in Tamil Nadu ed era un assiduo partecipante alle diverse iniziative in favore dei gruppi tribali nomadi. 

Oggi RAJESH (fratello minore) testimonia che negli incontri riusciva a trasmettere fiducia e coraggio. Pur giovanissimo, la sua parola godeva di grande autorità. 

Durante il giudizio di una qualche azione illegale era molto imparziale, ma sempre buono con tutti e specialmente con chi aveva sbagliato. Nel giudizio più che colpevolizzare chi aveva commesso un errore, preferiva far capire alla sua comunità come si potesse superare ogni tipo di conflitto e arrivare sempre, dopo una giusta punizione, al perdono e alla ripresa della vita comunitaria senza scomunicare nessuno. Al centro della sua lideranza rimanevano saldi alcuni principi: -non considerare nessuno come nemico. Anche dopo gli sbagli bisognava ricuperare la pace e l’amicizia; -nessun muro tra una capanna e l’altra, nè fisico, nè simbolico, nessun bisticcio. 

Nei conflitti sapeva offrire soluzioni veramente assennate, anche se non era nemmeno ventenne. 

In quanto rappresentante del suo gruppo, partecipava agli incontri, alle rivendicazioni di diritti negati a qualche gruppo tribale nomade. Alle manifestazioni era sempre attivamente presente e lottava con contenuti altamente umanitari. 

Con le iniziative della Pastorale dei nomadi era prezioso collaboratore. 

Come ho accennato sopra, Durgesh, come molti del suo gruppo, durante il giorno si mascherava come la tradizione indù rappresenta il Dio Ram. Colorava la pelle scoperta di blu e la truccatura del volto doveva essere particolarmente curata. Gli abiti generalmente confezionati con stoffe preziose per il rispetto della grande Divinità, ma anche molto faticose da indossare nel caldo torrido del Sud Tamilnadu. Egli camminava lungo le strade, durante il giorno, e i fedeli indù al suo passaggio, che ricordava la presenza divina, offrivano un qualche denaro e in questo modo lui, non ancora sposato e la sua madre vedova, potevano vivere di questo provento. Una sera, mentre rientrava alla capanna è stato aggredito da due uomini e trascinato in una casa. Dopo aver rubato il denaro della giornata, che non era mai molta cosa, venne invitato ad avere una relazione omosessuale con loro, ma egli si rifiutò. I due aggressori dopo le promesse passarono alle minacce, ma Durgesh continuò a dire di no. Iniziarono a quel punto a picchiarlo e ferirlo con un bastone. (mi disse un medico che la tortura delle bastonate è una delle peggiori perchè quando i muscoli diventano tumefatti rimangono particolarmente sensibili al dolore ed è una pena di morte utilizzata ancora oggi presso certe culture). Durgesh, con un coraggio che è concesso solo ai martiri, continuò a dire di no alla loro proposta. Ad ogni momento della lunga tortura avrebbe potuto dire di sì e salvare la vita, ma egli rimase irremovibile fino alla morte. Nel martirio non esistono più differenze religiose, perchè il martire è colui che riceve dallo Spirito Santo il dono della fedeltà offerto a chi lo ha meritato con una vita santa. 


BABLU HERMON, martire in Bangladesh 

Il 10 gennaio 2015, vicino a Rajshai il giovane Bablu di 24 anni, figlio di Mohes e di Rita Soren, ha consumato il suo martirio. Si era laureato brillantemente da tre mesi. Avendo abbastanza tempo libero, faceva catechesi in un villaggio indù che aveva manifestato il desiderio di diventare cristiano. Un giovane lo accusò di voler convertire gli indù. Egli rispose che Gesù nel Vangelo ci chiede espressamente di farlo conoscere. Bablu disse di preferire l'ubbidienza a Gesù Cristo che non ad altri. Il prezzo è stato alto: poco dopo la mezzanotte , con una lama gli fu tagliata la gola e morì poco dopo. Noi della Pastorale dei Nomadi siamo stati vicino alla famiglia anche per la ragione che il fratello di Bablu studia in una nostra scuola. 

Il Signore ci aiuti a perdonare, a chiedere perdono e ringraziare per la Grazia speciale dello Spirito Santo concessa a tanti eroi della fede. 

Buon Natale, anche se dopo il 25 dicembre 

d. Renato Rosso 

Rivisitando il libro di p. Bruno Varriano "Na escola de Nazareth"

In qualche angolo del Bangladesh - dicembre 2015

Rivisitando il libro di P. Bruno vorrei dire che il contributo seguente non e' una recensione del libro e tanto meno una sintesi di esso, ma una Rivisitazione del testo che ho lasciato rimbalzare tra i miei interessi, le mie emozioni e esperienze, offrendo, durante questo percorso, alcuni frammenti che sono emersi mentre legggevo “Na escola de Nazare' “ e che offro ad alcuni amici italiani che per qualche tempo non potranno ancora leggerlo nella loro lingua.

Nelle prime pagine, l'autore ci accompagna e mostra da lontano, le colline, il villaggio di Nazareth, poi si avvicina e ci descrive persino le pietre ancora testimoni di cio' che avvenne 2000 anni fa, poi ancora si addentra nella storia di quegli anni che si interseca con l'altra storia , quella della Salvezza. Ci lascia poi intravedere la casa, proprio la' dove il lettore ha una infinita curiosità di affacciarsi. Ci mostra ancora dall' alto le strade del paese che uniscono le case dei parenti di quella privilegiata famiglia, la casa dei nonni di Gesù, quella dove è vissuta Maria, quella di Giuseppe che poi ha ospitato la famiglia piu' sacra del mondo. Arriviamo intanto alla fontana, a quel tempo, l'unica del villaggio, dove ogni giorno, qualcuno della famiglia doveva pur recarsi e dove sembra che Maria per la prima volta sia stata abbagliata da una luce che veniva dall'infinto. poi P. Bruno ci accompagna proprio dove il lettore desidera entrare cioè nella casa della Vergine Maria. E per raccontarci cio' che, nessun autore di libri ha autorità di scivere, ci apre il Vangelo e ci lascia ascoltarele le righe più autorevoli, quelle che da 2000 anni illuminano e non avranno fine. L'autore, poi, ci accompgna ancora, in punta di piedi, nell'intimita' di quelle pareti, proprio dove si è costituita la Nuova ed eterna Alleanza e qui incontreremo Gesù con suo padre e sua madre.

All'inizio di tutta questa storia d'amore ecco le due annunciazioni, quella di Maria (Luca) e quella di Giuseppe (Matteo) che rivelano e nascondono il mistero dell'Incarnazione nel suo costituirsi. Poi il dramma di Maria Bambina che in un primo momento si è sentita per cosi' dire investita dallo Spirito Santo, rimase stordita, senza parole, forse correndo verso casa, scappando dalla fontana, dove potrebbe aver ricevuto il primo sentore del Divino su di lei e infine quando si rese conto di ciò che poteva capire un'adolescente (ma piena di Grazia) non riusci' a dire altro che “Si', sono la serva del Signore”. Poi, l'annunciazione di Giuseppe, un ragazzo cosi' pulito da meritare di essere chiamato “giusto” da tutta la storia, ebbene proprio lui ha dovuto condividere con Maria l'umiliazione di essere considerato infedele, senza mai poter chiarire la verità a nessuno, perchè nessuno avrebbe potuto capire nè credere; solamente ai due sposi che stavano gestendo l'autore della storia nuova, solo ad essi era stato rivelato il mistero, e cioe', che lo Spirito Santo aveva direttamente compiuto in Maria il miracolo dell'Incarnazione. In questo modo Giuseppe e Maria hanno dovuto presentarsi a testa bassa, come dei colpevoli, nelle strade del loro borgo di Nazareth, alla fontana, nella sinagoga, nel mercato e cosi' questi giovani sposi incarnarono in un modo drammatico la beatitudine: “Beati voi, quando diranno ogni sorta di male contro di voi, anzi rallegratevi, perchè quello è il Regno di Dio”. Cosi' sia Giuseppe che Maria hanno dovuto pellegrinare sulle stesse strade della fede amara e gioiosa allo stesso tempo.

Poi Padre Bruno ci accompagna col Vangelo e la fede della Chiesa a leggere la ricchezza, la grazia, la parola e il silenzio della famiglia di Nazareth. Maria e Giuseppe amandosi sperimentano e rivelano a loro volta l'Alleanza di Dio con Israele.E' bene ancora sottolineare che, per Giuseppe, vivere, con coerenza e amore la missione per la quale era stato scelto e chiamato ha dovuto fare l'esperienza della Kenosis e cosi' spogliarsi di preziose prerogative umane come quella di rinunciare anche alla sua paternita' umana in una adesione totale al progetto di Dio, diventando cosi' un anawim, un povero di Jave', come Maria stessa. In questo modo Giuseppe e' stato ancor più unito a Maria la Madre del Figlio di Dio e depositario di quel mistero nascosto per secoli nel cuore di Dio. P. Bruno vivendo a pochi metri dalla casa dell'Annunciazione di Maria e molto vicino alla casa dove Gesu', Giuseppe e Maria hanno vissuto per 30 anni, ovviamente ha un dono in piu' per sviluppare la sua riflessione teologica e proprio per questa vicinanza anche emotiva, davanti al mistero del matrimonio di Giuseoppe e Maria si sente quasi offeso da coloro che per pochezza mentale non riescono a vedere nemmeno da lontano che in un matrimonio come quello di Giuseppe e Maria non fosse possibile un amore totale e totalizzante, senza dover necessariamente vivere di quella intimità matrimoniale che caratterizza generalmente la vita degli sposi. L'amore di Giuseppe e Maria fu concreto e reciproco. Essi furono uniti e si sentirono tali sia nella libertà che nella coscienza. Il vincolo della carita' era cosi' perfetto da non privare gli sposi in nulla, sia nella verginita', che nella vita coniugale. Questo matrimonio diventa prezioso simbolo della Chiesa universale, che pur essendo Vergine e' Sposa di Cristo suo unico sposo e ancora l'amore di Giuseppe e Maria che abbraccio' tutte le dimensioni umane, è stato, però in grado anche di superarle per essere all'altezza di custodire l' “Amore divino”. E il testo di Lc. 2,41 sottolinea che Giuseppe e Maria furono entrambi arricchiti di tutti quei dono celesti necessari per vivere la missione di essere padre e madre del Figlio di Dio incarnato e capaci di vivere una comunione coniugale pur con caratteristiche totalmente proprie. Per gli sposi di Nazareth, aver vissuto la verginita' nel matrimonio, non ha voluto significare di vivere senza il corpo; infatti se essi sono riusciti a vivere totalmente uno per l'altro e per il figlio hanno realizzato la pienezza del matrimonio (se uno vuol bene all'altro, senza cercare se stesso non esprime solo il bene per l'altro, ma anche quello di se stesso).L'autore di “Escola de Nazarè”, concludendo questa riflessione sottolinea che l'apice della missione della famiglia di Nazareth è il servizio al Salvatore e quindi alla salvezza del mondo.Questo fatto deve concretamente coinvolgere le famiglie di oggi che possono ricevere dalla testimonianza di Nazareth la coltivazione della sapienza e grazia nei figli, il superamento dei dubbi,delle paure, delle angosce che hanno travolto anche la famiglia di Nazareth che rimase in piedi fondata sulla roccia che era il loro stesso figlio che essi custodivano. Vorrei ancora aggiungere che l'aspetto fisico, in Maria, di generare, nel suo corpo, il Figlio di Dio Gesù Cristo, è unico, ma non possiamo dimenticare che Gesù diventa figlio non solo di Maria, ma di entrambi Maria e Giuseppe. E ora, facendo una riflessione personale, mi pare di leggere tra le righe anche quanto segue e cioè il fatto che la Tradizione della Chiesa non ha mai sviluppato la figura di Giuseppe come “senza peccato” (attributo invece dato a Maria), ma con il nome di “uomo giusto” ha detto una realta' molto simile, infatti Giuseppe ha dovuto ricevere da Dio, tutte quelle Grazie, tutti quei doni, tutta quella sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza,pietà e timor di Dio che furono propri di Maria, perchè entrambi sono stati ”padre e madre” di Gesù e custodi del Verbo incarnato. E ora chiedo scusa a Padre Bruno se rivelo un piccolo segreto personale e cioè che mentre prego il rosario qui sui resti della casa del Carpentiere, arricchisco la seconda parte dell'Ave Maria pregando: “Santa Maria Madre di Dio e San Giuseppe, pregate per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte, amen” e sempre qui fa eco quella preghiera popolare “A te, beato Giuseppe, il cui vincolo di carità ti strinse alla Vergine Maria..” Dopo aver parlato un poco di Giuseppe ritorno a Maria che viene acclama beata da una donna del Vangelo, beata perchè ha portato quel figlio tanto straordinario nel suo ventre, ma Gesù aggiunge che certamente è beata Maria, ma specialmente per aver ascoltato la Parola di Dio e averla messa in pratica. Uscendo un poco dalla casa di Nazareth, ma tenendola sott'occhio anche da lontano, ci addentriamo in un tema particolarmente caro a P. Bruno e cioè quello della Vocazione o meglio delle Vocazioni. Si puo' dire che la chiamata alla vita consacrata nel celibato, con la proposta dei consigli evangelici, serve ad illuminare e capire la vocazione al matrimonio, in quanto come il celibato è per il Regno di Dio, cosi' lo deve essere per la stessa ragione il matrimonio e come nel matrimonio si vive la vocazione alla paternità e maternità, nella vita religiosa, non si è esclusi affatto dal diventare padri e madri di tanti figli che vengono affidati come famiglia a chi vive il celibato per il Regno, per cui, celibato, vita religiosa e vita presbiterale da un lato e il matrimonio dall'altro vivono lo stesso amore sponsale tra Cristo e la Chiesa vergine e madre. Nel capitolo sul discernimento decisivo, tra celibato per il Regno e Matrimonio, viene riportato un esempio molto plastico che aiuta a capire. Pensiamo a un automobile che ha spazio per quattro o cinque persone e viaggia su un'autostrada. Questo potrebbe sembrare a una persona che ha la vocazione al matrimonio con un sentimento più esclusivo per cui si sente più completa con quanti stanno con lei, viaggiando nell'intimità di quell'auto stessa. Mentre il sentimento di chi ha una vocazione al celibato per il Regno, come quella di un presbitero cattolico romano è analogicamente più simile a un autobus, nel quale c'è sempre posto per una persona in più e durante il viaggio uno scende l'altro sale, ma sostanzialmente è sempre pieno ed è felice di essere un autobus nè sente il complesso di essere usato, ma si realizza proprio nell'essere utile agli altri e poterli servire.. E il fatto più importante è che al termine di questa autostrada noi possiamo incontrare Gesù Cristo. Tutti gli automobili e tutti gli autobus arrivano alla meta. Una persona che ha, per cosi' dire, un cuore da automobile, non arriverà mai ad avere un cuore da autobus poichè cerca sempre l'esclusivo e chi ha un cuore da autobus non riuscira' mai ad essere esclusivo perchè avrà sempre bisogno di un posto per un altro, anche se in piedi, un altro che può aver bisogno del suo amore, dalla sua paternità e maternità. la dignità della vocazione al celibato o al matrimonio consiste in quell'uscire da sè stesso, dal proprio egoismo e aprirsi al profondo amore dell'altro/a/i.Leggendo tra le righe la riflessione sulla vocazione al matrimonio e alla vita consacrata verginale/celibataria, si puo' dedurre che il matrimonio nella sua sublime vocazione e bellezza raggiunge il suo culmine diventando sacramento specialmente nella relazione sessuale aperta alla vita, che diventa sacramento sotto tutti i punti di vista perchè , in quel caso,gli sposi cristiani sono disposti a far si' che i loro corpi diventino altro corpo e sangue di Cristo generando un figlio/a che fa corpo con Gesù Cristo stesso esattamente come il Presbitero e la Chiesa consacra altro corpo e sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica, essa pure sacramento. Tra le tante preziose riflessioni scritte nel testo che sto rivisitando, raccolgo qua e là frammenti di queste per dire in modo sommario qualcosa della preziosità del libro che vuol far tornare sacra l'esperienza della famiglia.Nel capitolo sulla verità e bellezza della famiglia raccolgo uno stralcio sull'apertura al dono della vita. Parla della meraviglia , dell'incanto del momento in cui nella famiglia nasce un figlio che riempie di gioia tutti gli spazi della famiglia e si trasforma in un processo di crescita per la coppia stessa e questo non accade solo quando nasce il primo figlio/a ma ogni volta che nella famiglia esplode questa ricchezza di vita e pur non essendo un diritto da rivendicare a tutti i costi, con ogni mezzo, rimane un dono gratuito che l'Autore vero della vita dona ai suoi figli/e. I figli sono un dono unico e irrepetibile e portano in essi il sigillo della memoria e della speranza di un amore che si è realizzato proprio illuminando la vita di un altro essere umano nuovo, unico e originale che e' se' stesso e altro allo stesso tempo. Un figlio è amato perchè figlio; non perchè è bello o perchè è cosi o cosà; no! è amato perchè figlio! Non perchè pensa come me o incarna i miei stessi desideri. No, figlio è un figlio: una vita generata da noi, in questa umanita', ma destinata a lui stesso, al suo bene, al bene della famiglia, della società, di tutta l'umanità. Di conseguenza si manifesta anche la profonda esperieza umana di essere e sentirsi figlio/a che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell'amore che non smette mai di sorprendere.

In questa dimensione si sperimenta la bellezza di essere amato per primo: i figli, infatti sono amati prima del loro arrivo. Sono essi amati prima ancora di aver fatto qualcosa di interessante per meritarlo. Sono amati prima di saper parlare o pensare, anzi prima ancor di nascere. Essere figlio/a è la condizione fondamentale per essere in grado di conoscere l'Amore di Dio che è la fonte ultima di questo miracolo autentico. Nell'anima di ogni figlio per quanto possa essere vulnerabile, malato o offeso, Dio colloca il sigillo di questo amore come piattaforma della sua dignità personale (pag. 64). A conclusione dell'ampio capitolo del dono della vita riporta le parole del Beato Paolo VI: “Avere molti figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile, ma scegliere di non averne è certamente egoismo”.

Dopo questo inno alla vita si e' trattato dell'aspetto pedagocico nella famiglia. L'educazione e' il maggior tesoro e il piu' importante delle varie eredita' che I genitori possono lasciare ai figli, ovviamente qui si intende educazione integrale. Fortunate le famiglie capaci di diventare luoghi di sviluppo e di trasmissione concreta di tutte le virtu' che forgiano l'esistenza. Il contributo del padre e della madre, nell'educazione, sono le reciproche relazioni gratuite e non strumentali, e' la stessa complementarieta' che vivono tra di essi nel quotidiano, che influisce decisamente nella vita dei figli. I genitori dovranno preoccuparsi di trasmettere tutto il bagaglio di orientamenti piu' con la coerenza della loro vita stessa che con i consigli e le parole anche se non si possono omettere queste. Nell'impegno educativo, l'autore propone poi l'espressione “cura responsabile” cioe' paternita' e maternita' responsabile, terminologia molto usata, nella guida spirituale, riferita a coloro che hanno responsabilita' nei seminari o nelle comunita' religiose. Questa cura responsabile si coniuga in modo pertinente con la “vicinanza e la fiducia” tipiche della figura materna e il “senso di giustizia e di eguaglianza” tipico nell'aspetto paterno della relazioine. Questo sforzo diventera' una specie di “bussola interiore” che offrira' ai figli le indicazioni referenziali nella vita. I genitori si preoccuperanno di fare una operazione di maieutica nel trarre tutte le potenzialita' nascoste nei figli: I latini per esprimere questo usavano la parola e-ducere che e' il contrario di pretendere che I figli diventino una copia dei genitori stessi, dove si usava la parola se-ducere. Guardando alla sacra famiglia di Nazareth fedele ai suoi impegni umani, sociali e religiosi possiamo dire, in altre parole, che I figli per ricevere questa eredita' la devono vedere con gli occhi nei genitori e toccare con le mani. Verso la fine di questa analisi, affinche' I genitori non si scoraggino specialmente nei tempi delle crisi dei figli, l'autore ricorda, almeno ai cristiani, che ricevono una forza speciale, cioe' la grazia sacramentale, che fa dei genitori stessi, attraverso il sacramento del matrimonio, un segno dell'amore di Dio che cura e educa I suoi figli.

Un proverbio cinese puo' diventare una bella conclusione sul discorso educativo: “Se fai un progetto per un anno semina, se fai un progetto per piu' anni pianta un albero, se fai un progetto per la vita educa qualcuno”.

Quando poi si passa a presentare alcune prospettive per una pastorale familiare viene fatta un'ampia analisi dal punto di vista metodologico e esperienziale. Personalmente mi soffermo sul punto che analizza la preparazione alla famiglia stessa e propone alcuni obiettivi in questo cammino di formazione dei giovani fidanzati, articolati in tre ambiti: identita',reciprocita' e progetto.

Identita'.

Questo aspetto favorisce l'integrazione di tutte le potenzialita' della persona, mettendo a fuoco la corporeita' e la sessualita' come dimensioni costitutive dell'essere uomo o donna. Anche se in alcuni casi puo' essere arduo, e' importante almeno illuminare i giovani a riscoprire la bellezza dell'attesa per l'inizio di un esercizio pieno dell'attivita' sessuale, nel rispetto reciproco in vista di creare un equilibrio armonico tra intelligenza, affettivita' e volonta'.

Reciprocita'.

Per questo obiettivo e' necessario creare occasioni per crescere nella stima personale e reciproca per imparare ad essere veri con se stessi e con l'altro. 

Per capire che la relazione alimenta la vita personale e della coppia, bisogna ripetutamente allenarsi al dialogo e al confronto. Nonostante che la differenza generazionale tra genitori e figli sia collocata su pianeti separati e spesso incomprensibili perche' estranei, non si puo' rinunciare a un dialogo tra i giovani fidanzati e le figure referenziali come i genitori o figure vicarie o un padre spirituale .

Progetto.

E' necessario un progetto di vita per se stessi e come coppia. Spesso I giovani si vogliono amare ma manca loro un progetto che li prepara a un orizzonte concreto dove le proprie speranze e il loro stesso amore trovino un fondamento. Se I giovani saranno fortunati prenderanno coscienza che la loro esistenza e' un dono ricevuto per essere a sua volta donato.

Ne consegue che la preparazione dei giovani alla famiglia puo' diventare l'ossatura portante della pastorale familiare. 

Di fronte al testo su come migliorare la comunicazione in famiglia, sarei tentato di fare una sintesi , ma preferisco estrapolare alcuni frammenti di riflessioni utili per chi non puo' ancora leggere il libro. 

Su come migliorare la comunicazione in famiglia riporto I tre aspetti della comunicazione di coppia e delle famiglie: la comprensione empatica, la rivelazione delle difese e la rivelazione delle aspettative reciproche.

Capire empaticamente

Empatia significa la capacita' psicologica che ho di sentire quello che sentirebbe l'altro, nel caso vivesse la mia stessa esperienza. Per empatia succede che tra le due persone che si amano affiorano gli stessi desideri e persino gli stessi pensieri in contemporanea o addirittura uno puo' precedere il pensiero dell'altro. Il contrario dell'empatia e' la radicale attitudine di indipendenza. L'empatia quindi, in altre parole e' la capacita' di percepire il mondo emotivo dell'altro e rispettarlo. E' uno dei livelli piu' alti della relazione perche' e' vissuto nella reciprocita', in una continua comunicazione ricercata e autentica.

Rivelare le proprie difese

Ciascuno elabora delle difese emotive, per diminuire le tensioni. Le difese sono caratterizzate da blocchi e da interruzione improvvisa della comunicazione: incontri evitati, interruzione del dialogo, processi di razionalizzazione nell'affrontare determinati argomenti. La stessa parola “difesa” evoca la presenza di un avversario: la situazione in gioco, le emozioni emerse, la persona sgradita. Le difese si costituiscono ogni volta che un individuo vive situazioni di allarme. Qualunque tipo di relazione, anche il piu' favorevole puo' dare adito a un'attitudine di difesa (anche se minima). Questo stato d'animo pero' puo' stimolare la necessita' di rivelare all'altro i motivi che hanno provocato la difesa. Rivelarsi e lasciarsi conoscere significa sigillare un'alleanza indistruttibile. E questo confidare all'altro la parte piu' vulnerabile di se stesso consente di manifestare all'altro le proprie aspettative.

Relazione delle reciproche aspettative

Non esiste un'espressione di maggior liberta' e fiducia che dichiarare quello che una persona si aspetta dall'altra. E' un atto di abbandono che porta a vedere l'altro come la parte migliore di se' stesso. E' una profonda liberazione quando possiamo manifestare alla persona amata le nostre proprie necessita'. In questa dichiarazione l'altro occupa il primo posto nel cuore e la sua presenza diventa costruttiva.In seguito l'autore, anche se brevemente, delinea il fenomeno delle relazioni virtuali. In queste relazioni sono coinvolti bambini, giovani e adulti. Il verbo “digitare” indica una nuova forma di relazione che pero' manca dell'incontro: e' una conoscenza indiretta che non necessita di discernimento. Facebook, Whatsapp e altro corrono il rischio di sostituire le relazioni concrete e quotidiane degli individui, delle coppie e si trasformano in agenzie di matrimonio, o posta del cuore, creando spesso illusioni, specialmente nelle ore notturne quando il silenzio e il contesto diventano convivenza.

E da ultimo la misericordia per le famiglie ferite e fragili. Per quanto riguarda la riflessione su queste famiglie l'autore cita e riporta stralci di pronunciamenti ufficiali della Chiesa, per fare memoria di tanti contenuti gia' espressi e per sottolineare che probabilmente non abbiamo bisogno di molti altri testi o altri articoli nel Codice di Diritto Canonico o di quello Civile, ma abbiamo bisogno di pastori con un'attitudine nuova, attenta e intelligente che sappia aiutare le coppie a fare un vero discernimento e analisi della propria identita' e con onesta' chiedere luce allo Spirito Santo per scoprire le strade piu' adatte a vivere il Vangelo. Quindi non ricette nuove, anche se l'autore ha tutta l'autorita' di offrirne, sia per il suo bagaglio intelletuale che per la sua esperienza, ma si rifiuta di trarre proposte alternative sul tema, perche', nel concreto, ogni coppia di sposi, ogni situazione umana non e' contemplata in nessun Codice se non per quanto riguarda aspetti molto generali, ma io che non sto scrivendo un libro, ma semplicemente rivisito un testo mi permetto qualche liberta'. Comunque quello che dico penso si possa intravedere tra le righe di questo bel libro. Bruno Varriano in questo capitolo pur non volendo scendere a compromessi che potrebbero essere fraintesi pone due citazioni, a mio avviso veramente rivoluzionarie , specialmente per il contesto in cui sono collocate. Il primo testo e' di Papa Francesco che e' veramente liberante e compromettente. Il Papa chiede, nel testo riportato, che il pastore cammini molto vicino a chi e' ferito e diventi quasi un artista dell'accompagnamento, togliendosi I sandali davanti alla terra sacra dell'altro, “con sguardo pieno di rispetto, di compassione e concretamente deve essere capace di curare, di liberare e di animare a maturare nella vita cristiana”. Ora se queste parole , e specialmente gli ultimi tre verbi, hanno un senso si riferiscono ad altrettante risposte e non possiamo trincerarci dietro un pronunciamento piu' o meno ufficiale che ha dovuto tener conto delle infinite sensibilita' e delle culture del mondo intero, per dare un giudizio su una persona che e' accanto a me com tutta la sua storia, la sua fatica, le sue cadute e le sue colpe , ma anche con tutta la Grazia di Dio per risorgere, per essere riabbracciata dal padre in attesa del figlio, o come pecora persa in attesa che un pastore veramente attento la raccolga e la riporti all'ovile, o come la dramma perduta, che nemmeno desidera di tornare, perche' e' solo piu' un corpo morto, ma anche per lei ci sara' qualcuno che vorra' fare festa. Padre Bruno in questo capitolo riporta ancora un testo ancora piu' compromettente, tenendo conto dell'argomento cosi' delicato ed e' il testo del quarto capitolo del Vangelo di Giovanni: La samaritana arriva al pozzo, dove Gesu' riposa e l'attende. Lei e' una pluridivorziata, una peccatrice pubblica, tutti la conoscono. Gli stessi apostoli si stupiscono che Gesu' sia stato cosi' imprudente a parlare con lei. Lei e' scomunicata. Lei non ha il coraggio di chiedere a Gesu' la “comunione” con lui, ma e' Lui che chiede la comunione a lei: “dammi da bere!”. E come se non bastasse dice a lei di andare a chiamare anche suo marito, che, lui conosce bene che non e' suo marito perche', come tutti sanno ne ha avuti cinque. Agli occhi di alcuni giuristi questo Gesu' e' veramente esagerato, piu' di Papa Francesco, Che misericordia! che perdono! E che autorita' per chiedere l'inizio di una vita nuova! Mi permetto di aggiungere in questo contesto che nella pastorale alle famiglie ferite certamente sono utili I tempi penitenziali di digiuno, di digiuno eucaristico anche prolungati, ma quando le ferite sui figli sono avvenute e pur se saranno perdonate non potranno essere cancellate e quando l'egoismo ha vinto e ha spaccato una famiglia, e quando il desiderio di vendetta ha provocato altri danni, e quando la donna che e' venuta davanti a te “pastore della chiesa”, lei dopo il divorzio ha avuto gia' altri cinque mariti, ebbene non sara' necessario fermarsi a ripensare il tutto e risentire Papa Francesco che ci chiede, próprio in quel momento uno sguardo di rispetto e compassione, che concretamente sa “curare”, “liberare” e “animare a maturare nella vita cristiana” ? Se qualcuno pensa che sono andato fuori dal seminato io rispondo che la colpa e' di Padre Bruno che ha inserito quelle due citazioni próprio in quel contesto e próprio a lui voglio dire Grazie.

Al termine di questo contributo ricordo che durante la prima lettura del libro “Na escola de Nazare' (fatta un po' in fretta), sono stato tentato ben due volte di lasciare il libro senza finirlo. Quando poi ho posato lo sguardo la seconda volta su alcune parti ho deciso di fare questa rivisitazione del testo. E quando ho posato lo sguardo la terza volta su quelle pagine avrei voluto riportare anche quelle, ma sarebbe stato inutile perche' avrei dovuto scrivere un articolo di 235 pagine che e' il numero stampato sull'ultima pagina di questo libro.

Don Rosso Renato

Resoconto "Pastorale dei Nomadi" 2014

Khulna - 6 marzo 2015

In ringraziamento al Signore per questi 50 anni di amicizia con gli zingari iniziati dal primo incontro con loro nel 1964, presento un resoconto riassuntivo, ma globale dell'ultimo anno.     

Quest'anno la Pastorale dei Nomadi in Bangladesh, in India, Filippine, tra i Beduini del Nord Africa e Brasile registra alcuni risultati, che vorrei comunicare con entusiasmo perché è tutto frutto della vostra solidarietà.                

- Il progetto più prezioso consiste in 150 monasteri che pregano per questa piccola missione tra i nomadi.

- In quest'ultimo anno sono state beneficiate direttamente 5054 persone (appartenenti ovviamente a gruppi tribali nomadi) più gli adolescenti e giovani che hanno ottenuto l'esame di laboratorio Nestrof o Elettroforesi durante la campagna contro la Talassemia e oggi essi conoscono i loro valori del sangue e sanno che il matrimonio con un altro portatore sano comprometterebbe la vita dei figli.

- Nel numero citato, 594 persone hanno vissuto integralmente con i loro stipendi di insegnanti o coordinatori dei progetti. Con essi hanno pure vissuto la moglie o il marito con i figli e in più si aggiungono 104 adozioni integrali (cioè bambini spesso orfani inseriti in altre famiglie (a gruppi di 10). Le famiglie ospitanti offrono tutto il necessario per la vita di questi bambini, quindi il vitto, alloggio, scuola, ma in particolare il calore di una famiglia.

- Gli scolari della scuola primaria e studenti della scuola superiore sono 3704 di cui 900 sono i bambini nomadi bengalesi,1600 gli scolari pastori Bhill del Rajasthan (circa questo gruppo preciso che negli ultimi anni un migliaio di bambini si sono staccati dai pascoli e dalle loro scuole mobili per entrare nella scuola di stato, o nelle classi superiori. 50 Mukuwar del Kerala, 130 studenti residenziali per tre mesi in preparazione alla maturità, e i 104 scolari con adozione integrale, i 240 figli degli insegnanti, 350 Badjao (zingari del mare) delle Filippine (da diversi anni sostenuti da Sermig Torino), 300 studenti Mahali con borsa di studio e 30 bambini beduini palestinesi. 

- Ai progetti citati si aggiungono 100 bambini epilettici beduini del Sahara, che, come da diversi anni, hanno ricevuto i medicinali per l'intero anno.

- 500 mamme con 500 figli nei primi 6 mesi di vita hanno partecipato del progetto nutrizionale "Latte e Salute" che consiste nel garantire quattro tipi di vitamine-integratori per ottenere maggior quantità e qualità del latte materno beneficiando madre e figlio.

- Una ex insegnante segue da alcuni anni i "Pagol" (Clochards o Barboni) della citta di Khulna

- Ho pure fatto dei corsi settimanali di aggiornamento a 70 insegnanti

- Sono stati distribuiti 7 computer donati dal Sermig, a sette giovani e ragazze della scuola superiore che intendono specializzarsi in questo settore. Sempre con il Sermig è in sperimentazione un progetto per rendere potabile l'acqua in zone remote. 

- E' stato costruito, quest'anno il secondo piano della scuola "Eurita School" di Savar dove i figli dei Jajabor di quella regione si fermano dai parenti per frequentare la scuola, (specialmente la scuola superiore). E' poi stato costruito il terzo piano della scuola "San Benedict" di Rajshai. Quest'ultima costruzione potrà dare la possibilità di ospitare un gruppo in più di studenti(Mahali-Cestai) residenti per tre mesi, in preparazione degli esami di stato.

- E' pure iniziata la Campagna contro la Talassemia con 8632 prelievi, (vedi appendice)

 Questa iniziativa essendo fatta per la prima volta in Bangladesh ha dato risultati sorprendenti, con una media del 10,07% di portatori sani della malattia, ma in alcune aree, sono state registrate punte di 22% di Portatori. Il Professor Wakar che ci ha seguiti durante tutto il lavoro di laboratorio ritiene che se nei prossimi anni le istituzioni governative non prenderanno provvedimenti su scala nazionale si verificherà una allucinante epidemia e il Prof. Antonio Scarpa che aveva già partecipato a questa campagna 30 anni fa in Sardegna e Puglie e ci ha motivati in questi anni e incoraggiati a iniziare la Campagna, ha ritenuto il progetto pionieristico avendo rivelato dati assolutamente sconosciuti o comunque imprevedibili dalla medicina bengalese.

- Un ragazzo Jajabor della regione di Khulna, dopo la classe Decima,(per capirci all'italiana, dopo la quinta ginnasio) ha iniziato un lavoro alternativo tagliando e cucendo borse di plastica, da vendere nei mercati. Ci lavorano tre persone a tempo pieno.

- Sempre nel campo dell'artigianato, quest'anno, è stato iniziato un progetto di 5 volumi con immagini interamente ricamate a mano che riportano 100 immagini bibliche. Il volume della Genesi e il primo del Vangelo è già terminato e visibile presso Ruah Onlus, via Belvedere n. 1- La Loggia (To). Per eventuali ordini, se qualcuno ne volesse acquistare un esemplare, offrendo così la possibilità di lavoro a mamme ricamatrici, deve sapere che l'esemplare potrà essere ricevuto solo dopo un anno, fin quando le richieste saranno limitate. 

- Per l'aspetto culturale, è stato pubblicato dall'editore Satprakashan Sanchar Kendra, Indore, il libro in due volumi dal titolo: "Nomads of South Asia", in inglese, che è un'antologia di 400 gruppi di nomadi dell'India (980 pagine), che avevo preparato già anni fa e tutt'ora consultabile in Internet con la prefazione dell'Antropologo K.K.Chakravarthy (ex. Direttore del Museo Nazionale dell'Uomo e attualmente Direttore della Dalit University in N. Delhi).

- Un'altra iniziativa: " E' stato pure terminato quest'anno un libro che riporta i testi del Corano e della Bibbia a confronto, per mostrare quanto noi Cristiani e Mussulmani siamo fratelli. Qualcuno dice (secondo me, a ragione) che l'Islam è una eresia cristiana. Nel testo, vengono riportati i versetti coranici in arabo, tradotti a lato in tre lingue: Inglese, Italiano, Bengalese (mentre la quarta lingua, l'Indi sarà preparata il prossimo anno), poi ad ogni versetto coranico, viene riportata la concordanza biblica in ebraico, per l'A.T o greco, per il N. T. e a lato la traduzione nelle stesse lingue di cui detto sopra. (Il testo sarà pure presto consultabile in internet). Poiché molti nomadi in Bangladesh, Palestina e Algeria sono mussulmani, ritengo parte integrante della missione della Chiesa tra i Nomadi ogni tentativo di dialogo interreligioso, particolarmente in questo momento storico in cui alcuni settori di fanatici islamici compiono azioni di violenza che umiliano profondamente la religione islamica.

- Nell'arco di 365 giorni ho incrociato la strada con quattro testimoni della fede, i quali hanno accettato di essere uccisi piuttosto di tradire la propria religione e etica. Due di questi uccisi e due all'ultimo momento risparmiati (riporterò la loro testimonianza nella prossima lettera circolare).

- Il budget è stato di 157.000 Euro, che consiste nelle spese vive dei vari progetti. Non è stata trattenuta nessuna percentuale dalle offerte, nè quelle che ricevo io direttamente, nè da quelle che mi pervengono dalla Onlus Ruah, che da anni offre questo servizio di volontariato occupandosi del sostegno e della  sensibilizzazione in favore di questa missione. Diversi amici (una trentina) che sono venuti in Bangladesh e India i quali hanno voluto rendersi conto di persona della missione, essi pure hanno sempre viaggiato a titolo personale e a proprie spese, per poter operare, come volontari, con maggior conoscenza di causa.

Le mie spese personali, Mentre ero in Italia (12 anni), due ore di lavoro al giorno sono state sufficienti per le spese personali, mentre dal 1984, le spese di viaggio e per la mia manutenzione sono state provvedute dalla mia famiglia stessa, quindi anch'io non ho pesato sulle offerte dei benefattori. Preciso che le offerte ricevute, sono quasi esclusivamente di amici e non di agenzie anonime. Ho bisogno che i benefattori, amino la missione , preghino per essa e non siano solo donatori di denaro.

I cinque pani e due pesci che un benefattore dona, se accompagnati da amore e preghiera, possono bastare a 5000 uomini, altrettante donne e bambini, diversamente rimangono solo cinque pani e due pesci. 

I resoconti tecnici di audit si trovano presso Ruah Onlus, una copia in CD del resoconto fotografico sarà inviata ad alcuni amici benefattori.

Ora volendo offrire questa pagina di resoconto a un pubblico non selezionato, per una questione di Privacy, presento solo i dati globali senza foto dei singoli beneficiati, come uso fare, generalmente, in un resoconto annuale.        


APPENDICE

- Non mi sono mai sentito solo. Voi ci siete stati sempre. Qualcuno poi, in particolare (es. le mie due sorelle Edda e Marilde, le Suore Luigine, Don Mario Riboldi e la mia famiglia hanno condiviso tutto con me fin dal primo anno di missione tra i nomadi), negli anni successivi siete arrivati tutti voi, uno più prezioso dell'altro.

Alcune notizie particolarmente significative di questi ultimi anni:

- In India sono nate almeno una quarantina di NGO (Onlus), molte delle quali seguite da religiosi, per il servizio a diversi gruppi nomadi. Appena tre vengono seguite ancora economicamente dalla solidarietà italiana mentre le altre sono ormai autonome. (In India ho sempre ritenuto mio dovere primario coinvolgere la Chiesa indiana ad occuparsi dei nomadi, quindi dei poveri, con i quali fatica molto).

Merita essere sottolineato che la lotta contro l'analfabetismo dei nomadi è sempre stata in crescendo fino al 2008 in cui ha raggiunto (solo in quell'anno) i 10 000 scolari nelle scuole nomadi o seminomadi. In seguito il numero è aumentato, ma molte delle Onlus sono diventate autonome. Fortunatamente, oggi, ho perso il conto.

- Una iniziativa stimolata da un bambino nomade del Tamil Nadu che necessitava di una operazione a cuore aperto (costo indiano Euro 2500 per ogni intervento) ha fatto decidere il sottoscritto e il cappellano della Pastorale dei Nomadi dell'India di iniziare, nel 2006, una Fondazione per operazioni al cuore di bambini che non potrebbero mai affrontare tale spesa. Una organizzazione della Germania si è dichiarata disponibile a pagare la totalità dei costi e quest'anno gli interventi chirurgici a cuore aperto, hanno raggiunto il numero di 480. L'iniziativa oggi è totalmente sotto la responsabilità dell'ex Cappellano della Pastorale dei Nomadi in India.

- Nel 2010 lo stato di Madia Pradesh osò chiedere ai nomadi pastori Rabari del Rajasthan che ogni anno pascolano i greggi in M. P. un aumento di tassa che da 8 rupie per capo di bestiame passò a ben 50 rupie (un euro vale 65 rupie e le pecore in M. P. erano circa 30.000.000). La legge non aveva senso e i Rabari non avrebbero mai potuto affrontare una tassa simile poiché essi, dai loro greggi, utilizzano solo la carne degli agnelli e la lana. Migliaia di famiglie si trovarono nella impossibilità di esercitare la loro professione di pastori. Il signor Soubash Chandra Puroit, membro della Pastorale dei Nomadi in India si attivò con alcuni amici, passando da una autorità all'altra fino ad arrivare al Primo Ministro indiano e ottenere la cancellazione di quella tassa assurda che ha beneficiato l'intero gruppo dei Rabari.

- La Conferenza Episcopale Indiana, per il 2013, ha lanciato un Poster per la Campagna contro il Lavoro Minorile in India. In quel manifesto si parla di 5 Movimenti nazionali impegnati nella lotta contro il lavoro minorile e tra questi risulta pure la PACNI (Pastorale dei nomadi in India), pure essendo una piccola goccia nell'Oceano.

Un fatto incoraggiante: In India e in Bangladesh, il lavoro con i nomadi è stato recepito anche dai governi: Essi si sono accorti che le popolazioni nomadi esistono davvero. Il Governo indiano ha creato una struttura governativa che si occuperà dei nomadi: In un primo incontro inaugurale, erano invitate diverse organizzazioni, anche quelle che hanno iniziato, solo negli ultimi anni, a occuparsi direttamente o indirettamente di nomadi. I partecipanti presenti eravamo un migliaio di persone. Ci auguriamo buoni sviluppi.

In Bangladesh quest'anno nel discorso augurale di inizio anno la Primo Ministro Hasìna, ha detto di volersi occupare specialmente di due gruppi, uno dei quali è quello dei Jajabor, i nostri nomadi.

Ringrazio il Signore, perché nonostante la collezione di malattie anche gravi in questi anni, continua ad accettarmi al suo servizio.

CONCLUSIONE

Qualcuno potrebbe pensare che il mio lavoro principale è sociale, visto il tempo e energie che devo dedicare ad esso. Il mio lavoro vuole essere una presenza missionaria di evangelizzazione tra i nomadi cristiani, mentre tra i nomadi mussulmani e Indù vuol essere una Presenza di Chiesa che semplicemente li ama e testimonia nel quotidiano la vita cristiana. E ancora credendo nel testo di Matteo,25 dico che, per noi cristiani, ogni atto profondamente umano è pure un atto di culto.

Non ho una intensa vita pastorale come quella di un parroco, mentre mi sento molto di più Monaco, per cui il mio primo lavoro per gli zingari è appunto quello di pregare per loro, volendo loro tutto il bene possibile: questo è il mio specifico lavoro tra i nomadi. Il lavoro, invece, che risulta dalla pagina sopra, non è mio lavoro specifico, ma quello dei miei collaboratori, insegnanti etc. e vostro in quanto sostenete questa missione.

E' superfluo dire che il Regista di questa missione con i nomadi non siamo noi, bensì Lui, il Signore, il Quale, dopo che noi abbiamo seminato qualcosa, mentre noi dormiamo o no, Egli accompagna i semi e li porta a fruttificare.

Dio continui a benedirci.

Don Renato Rosso 

A mia mamma

Bangladesh, gennaio 2015 

Cari amici,

Il 22 ottobre u.s. mia madre ha lasciato questa terra e il fatto mi ha talmente coinvolto che non potrei parlare di altro con voi.         

Aveva 96 anni. Ebbe il dono da Dio di poter spendere la vita interamente per gli altri e nella fatica rimase serena senza mai piangersi addosso.

“Ascolta, Israele, Il Signore nostro Dio è l’unico Signore. Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.” Questa preghiera, lo Shema Yisrael che ogni ebreo recita due volte al giorno, mia madre non la conobbe e solo pochi anni fa seppe di appartenere a un gruppo di poche famiglie ebree che si erano rifugiate proprio nei boschi della Langhe dove nell’800 si poteva almeno sopravvivere con le castagne, la caccia e in seguito con i frutti delle coltivazioni sottratte ai boschi. Una coetanea di mia madre appartenente allo stesso gruppo le confidò di aver ricevuto dalla nonna una collanina d’oro con una piccola stella di Davide e alla consegna le aveva detto: “Tienila preziosa perchè questa collana viene dal paese della Madonna”. Anche i cognomi Abbà, Rabino e Ravina testimoniano quella ricca e lunga storia che rimase poi sepolta sulle nostre colline dell’Alta Langa.

Aveva 8 anni quando suo padre l’accompagnò in stanza a vedere i due gemellini che erano nati. Mia madre mi disse di aver versato, in quell’occasione, tutte le lacrime che le erano rimaste, pensando di essere lei a doverli in qualche modo allevare perchè era la più grande in casa e questo compito sarebbe  toccato proprio a lei. Ma in seguito confessò di averli adorati quanto non avrebbe mai pensato e si trovò così bene in quello ruolo, che cominciò proprio allora la sua carriera alla maternità e alla famiglia.

A 20 anni diventò madre di mio fratello e qui cominciò il tempo più ricco della sua vita, che però pagò a caro prezzo proprio come si pagano tutte le cose preziose. Non si era ancora esaurita l’emozione del primo figlio che  le fu strappato via il marito per ben sei anni. Il militare e di conseguenza la Guerra  portò mio padre fino alla folle Campagna di Russia condivisa con altri 12 giovani del mio paese  dei quali solo due  fecero ritorno. Quando le notizie dalla Russia si erano ormai fatte rare, un lungo silenzio cominciò a cancellare in mia madre le poche speranze rimaste di rivedere mio padre. In quella lunga notte, in sogno vide la Madonna Ausiliatrice che le diceva di non temere che Alessandro (suo marito) sarebbe tornado. Non ebbe più dubbi e iniziò nuovamente ad aspettare quel grande momento. Poco dopo arrivò una lettera di mio Padre scritta dalla Siberia dove diceva di essere vivo. E nella stessa lettera aggiungeva  che nel disperato rientro aveva dovuto abbandonare zaino e sacca dei vestiti  e aveva superato già  i mille e cinquecento kilometri in  oltre cinquanta giorni con gli stessi vestiti e da venti giorni senza cibo, nell’inverno siberiano e al termine di quello scritto riusciva ancora a chiedere a mia madre di far subito celebrare messe in ringraziamento. Appena mio padre  tornò fecero costruire in segno di gratitudine  un piccolo oratorio con la statua dell’Ausiliatrice proprio all’incrocio della strada dove mia madre aveva sognato quell’incontro.

A quarant’anni, mamma rimase vedova. Sulla riva del Don, in Russia, durante la dispersione dell’esercito tedesco-italiano uno scoppio di bomba aveva aperto la gavetta dell’acqua di mio padre e trapassato in due punti il suo cinturone e ancora ferito lievemente il cuoio capelluto poco distante dalla fronte. Quest’ultima ferita fu responsabile della formazione di una massa tumorale che dopo dieci anni richiese un intervento chirurgico. Prima dell’intervento (si trattava dei primi esperimenti su cervello), fu detto a mia madre e ai miei zii Battista e Pietro che i medici potevano solo sperare di portare mio padre vivo dalla sala operatoria, mentre tutti i sensi potevano essere compromessi fino al coma totale. In quel momento a mia madre era sufficiente che mio padre sopravvivesse a costo di qualunque conseguenza o menomazione. Allora non c’erano le mutue e l’intervento con i tre mesi di degenza in ospedale comportarono un salasso economico all’inverosimile, ma mia madre preferì affrontare tutti quei rischi sapendo che il Nostro Signore non avrebbe abbandonato. Mio padre fu restituito per altri cinque anni senza un raffreddore dopodichè il male riapparve senza più possibilità di intervenire.

Gli anni che seguirono furono per mia madre una palestra di coraggio e fatiche che forgiarono in lei una carattere forte senza però mai perdere la tenerezza e il sorriso.

Avrebbe potuto chiedere a me e a mio fratello di restare a coltivare i campi con lei e condividere insieme i pesi della nostra famiglia, ma lei preferì non tenerci legati alle sue gonne ma  affrontare il peso da sola e volle che noi continuassimo il nostro cammino: preferì che mio fratello terminata la scuola cominciasse un lavoro adatto alla sua preparazione professionale e che io potessi entrare in Seminario. Per nove anni non la vidi mai andare a dormire o alzarsi al mattino. Aveva prolungato le notti per il lavoro che altre donne fanno di giorno: lavare, stirare, confezionare vestiti e maglie e non si privava nemmeno il lusso di ricamare poiché amava il bello.

Negli ultimi quarant’anni scoprì una nuova famiglia: la Parrocchia. Faceva volontariato nella casa del Parroco e si occupava anche della chiesa con tutto ciò che comportava dalle  pulizie del pavimento a quelle dei paramenti, tappeti, tovaglie e i fiori.

In quegli anni dedicò tutte le sue energie alla Parrocchia impegnando cuore, cervello e mani a quel prezioso servizio. Forse io stesso gliene diedi l’occasione: Infatti essendo mio fratello sposato con la sua famiglia mentre io come prete sarei rimasto solo, lei avrebbe desiderato impegnare il suo servizio con me in una Parrocchia e questo lo pensò come una sua seconda vocazione, ma il figlio facendo lo zingaro, questo sogno non diventò più possibile e allora si disse : “Farò lo stesso servizio nella mia Parrocchia e Nostro Signore si occuperà Lui stesso del mio figlio che è da solo”. E così Lei diventò sorella del Parroco anziano e poi ancora diventò madre degli altri parroci che si sono susseguiti per quarant’anni.  

In quegli anni approfondì la sua spiritualità non solo con la messa quotidiana che era entrata anche a far parte delle sue occupazioni, ma anche con il Breviario, il rosario, Via crucis e altre preghiere per i diversi momenti, spesso con l’aiuto di Radio Maria. Durante gli ultimi anni di vita trascorreva gran parte della giornata in preghiera senza tralasciare le occupazioni. Non è mai stata una bigotta, piuttosto è stata una mistica. Un giorno mi disse: “Stai tranquillo che le mie preghiere ti accompagnano sempre. Almeno sei rosari al giorno non li lascio mai.” E un giorno un signore mi disse: “Se uno non ha nulla da fare può anche permettersi di dire tanti rosari al giorno”, ma io pensai che sono in tanti ad aver nulla da fare ma non dicono sei rosari al giorno e spesso nemmeno uno e intanto continuo a ringraziare per la testimonianza di mia madre. Per aggiungere una parola sulla sua spiritualità ricordo che un paio di settimane prima della sua morte,  quando una infermiera venne a controllare la pressione , alzando il lenzuolo vide che aveva la corona in mano e le disse: “Ritin, ma tu preghi sempre ?” e mamma le disse: “Se non prego come faccio a stare in piedi?” e negli ultimi giorni di vita quando ormai le forze fisiche se ne erano andate e non riusciva più a pronunciare nessuna parola, mentre pareva in coma vigile restava dei tempi prolungati con le mani giunte e di tanto in tanto tracciava il segno di croce. Due settimane prima di morire, il suo ultimo canto è stato il Salve Regina e il suo ultimo segno è stato quello della croce.  

 Tornando a quegli anni in cui offrì il suo servizio alla Parrocchia.  si occupava spesso anche di anziani come lei o di malati dedicando a loro specialmente tempo e amicizia. Questo servizio preparò la sua nuova missione nell’ultima tappa della sua vita.

In seguito a un intervento chirurgico per calcoli alla cistifelea venne consigliata a trascorrere un periodo in un Istituto per prolungate degenze e per anziani. Quando entrò in quella casa e vide tanti anziani capì che avrebbe ancora potuto essere utile anche a 90 anni, e manifestò il desiderio di poter restare in quel luogo. In realtà non è un Istituto comune, ma è una Famiglia, una Comunità dove gli addetti ai vari servizi e il personale sanitario sono diventati altrettanti figli e figlie degli anziani assistiti, cercando ogni occasione per offrire stimoli e interessi vari per non perdere l’occasione preziosa di questo periodo della vita tutt’altro che inutile. In quegli anni a mia madre affidarono una signora ottantenne, la Pasqualina, molto malata che aveva bisogno di un’assistenza pressa poco continua e mia madre con lei ha ritrovato la sua ultima maternità ormai novantenne. L’adorò e direi che la fece rivivere e nello stesso tempo ne ricevette uno straordinario contraccambio.

Quando un paio di volte all’anno andavo a trovarla  e lei veniva a pranzare con me per stare un poco insieme, a volte mi accorsi che quasi tremava per non essere nel refettorio con la sua “figlia”dove poteva incoraggiarla a mangiare eventualmente un cucchiaio in più o comunque sentirsi protetta e accompagnata. I giovani infermieri e personale sanitario, in quella Comunità “La Pineta” hanno saputo umanizzare la loro professione, al punto da non diventare mai dei tecnici, ma rimanendo sempre dei professionisti “figli” e “figlie”. Nei due mesi in cui rimasi vicino a mia madre ebbi la gioia di sperimentare quanto è stato bello che figli e genitori si siano adottati a vicenda in quella “Famiglia”. Penso che un merito particolare sia da attribuire al fatto che la Direttrice Sara per la sua straordinaria sensibilità riesce a seguire tutti  con le particolari esigenze di ciascuno senza che nessuno mai diventi un numero ma rimanga una preziosità assoluta. Con mia madre (come con tutti i degenti) il Personale della Casa sembrava facesse a gara nell’offrire attenzioni e coccole per ricevere la ricompensa di un sorriso che la Ritìn aveva sempre pronto da offrire. Negli ultimi mesi di vita, quando mia madre cambiò ruolo e passò da “collega” del personale sanitario a utente in quell’occasione offrì il proprio incarico a una meravigliosa signora, la Emma che diventò per lei mamma negli ultimi mesi di vita caricandola di tutto l’affetto e attenzioni possibili.

Il funerale presieduto lal nostro Vescovo Giacomo  Lanzetti con 26 presbiteri è stato un momento pasquale, tempo in cui la morte non esiste più.  

Non concludo, ma interrompo e continuerò a scrivere questa biografia solo per me.

E ora dico perchè ho scritto queste righe. Perchè tu che leggi hai anche una mamma e un papà. Vorrei invitarti a scrivere la biografia dei tuoi genitori (senza doverla pubblicare), soltanto per te. Per non perdere la memoria di tanta preziosa eredità. I loro consigli, le loro testimonianze, tutte le loro buone speranze che hanno o hanno avuto su di te. Ti ho mandato tre pagine delle tante che voglio scrivere per non perdere la memoria della mia storia, la storia che mi ha forgiato. Visto che sei capace a leggere e scrivere fallo anche tu, e certamente meglio di me.

Buon Natale anche se in ritardo 

Ciao don Renato

2014 

Bangladesh, Sera di Pasqua 2014

Da qualche angolo del Bangladesh, aprile 2014 

Cari amici, Buona  Pasqua!

Probabilmente questa lettera circolare  vi arriverà in ritardo, ma non avrà molta importanza. 

Per un momento, vorrei parlare di un problema riguardante la salute in Bangladesh. Quest’anno mi sono lasciato coinvolgere da un’avventura anche troppo bella: Una Campagna contro la Talassemia. In breve, la storia è questa:

Il  Prof. Antonio Scarpa di Parma che da  diversi anni viene in Bangladesh a fare volontariato, avendo partecipato alla Campagna contro la Talassemia in Italia,  forse trent’anni fà, ha cercato di far  aprire gli occhi, sul problema della Talassemia, a noi che viviamo e lavoriamo in Bangladesh, dove  i talassemici raggiungono percentuali superiori a quelle raggiunte, in passato, dagli abitanti della Sardegna e Puglia dove negli anni ‘70-‘80 su 7 000 000 di abitanti c’erano 700 000 tra malati e portatori sani di questa malattia: la percentuale quindi era del 10% mentre in Bangladesh pur mantenendosi all’incirca a quelle percentuali arriva anche a punte di 22%.

Lo scorso anno ho cominciato a raccogliere documentazione per informare  giornali,  radio, televisione, che poi,  a loro volta,  si incaricano di informare la popolazione e quest’anno in febbraio ho cominciato con un gruppo di amici volontari a fare il lavoro vero e proprio.

In Bangladesh il problema di questa malattia è invisibile. Si sente dire che un bambino è morto per problemi ai reni o al fegato o ancora più spesso al cuore e non si sa che spesso a monte c’era questa patologia che ha causato questo guaio. Esiste una sola strada per risolvere il problema: prevenire la malattia. Essendo una malattia genetica   viene ereditata . Se solamente uno dei genitori è portatore sano il problema non è grave perchè al massimo potranno nascere figli portatori sani anch’essi, che potranno vivere senza problemi. Il guaio nasce quando i due genitori sono entrambi portatori sani e in questo caso 25% dei figli muoiono prima dell’adolescenza. C’è poi tutta una casistica con forme di talassemie diverse con risultati anche diversi, ma non è questa la sede per parlarne. Quindi il lavoro da fare è un  esame del sangue prima del matrimonio per evitare che si sposino tra due portatori sani. Personalmente avevo pensato la Campagna di cui vi sto parlando con i tre gruppi nomadi del Paese, ma essendo all’inizio in cui c’è bisogno di aumentare il numero dei dati ho pensato di allargare i prelievi del sangue anche agli altri abitanti; in questo modo il risultato è valido per tutto il Bangladesh.   Per due mesi abbiamo scandagliato scuole e comunità varie per raggiungere almeno da 1000 a 1500 prelievi per ogni provincia  e ci siamo riusciti. Fino all’anno scorso il costo dell’esame era proibitivo, ma quest’anno, la spesa si mantiene entro i due euro per ogni esame calcolando la spesa di laboratorio più  le spese del lavoro vero e proprio per realizzare  i prelievi nelle varie regioni del Bangladesh. (Quando il numero dei prelievi è molto elevato  ovviamente gli sconti aumentano).

Per fortuna c’è stato anche molto lavoro di volontariato e questo ha diminuito di molto i costi. Alcuni di voi che sapevano di questa possibile iniziativa hanno contribuito in maniera decisiva da rendere possibile il lavoro. Il primo che ha contribuito in Italia è stato Carlo Cantamessa con la sua comunità di San Pietro-Govone e il Primo contribuente in Bangladesh è stato Mondol Prodip con la sua famiglia che vive con i Jajabor vicino alla Capitale. Con la moglie e i figli hanno raccolto monete da 5 take per sei anni in un maxi-salvadanaio (mai visto così grande) per una qualche causa per i Jajabor. Quest’anno l’anno destinata per la Campagna contro la Talassemia. Il salvadanaio pesava 16 Kg.   I dati a cui siamo pervenuti saranno a disposizione  per il Governo e le Istituzioni che si vorranno cimentare in questa avventura. Alcuni si sono molto sorpresi quando hanno sentito i primi dati che stavamo comunicando. Nessuno pensava che le percentuali dei talassemici, fossero così alte in Bangladesh. Alcune istituzioni stanno già pensando  progetti a livello  nazionale,  eventualmente con l’aiuto della Comunità Europea o altre organizzazioni che sostengono progetti simili. 

 In Bangladesh, al presente, in base ai dati che abbiamo raccolto, i talassemici sarebbero  oltre 10 000 000 di persone e la malattia  continua a rimanere invisibile. Se non si interverrà a tappeto per almeno una generazione, i prossimi 50 anni dovrebbero registrare una vera e propria epidemia.

Per fare delle campagne a livello nazionale e quindi proporre dei progetti  ci vuole una piattaforma con dati abbondanti, scientifici e quindi credibili, che oggi  esiste,  grazie a questa Campagna con oltre  10 000 prelievi  reralizzati su tutto il terriorio del Paese e  analizzati dai laboratori del Shishu  Hospital in Dhaka. Il secondo vantaggio di questa Campagna è che oggi 10 000 giovani nomadi e bengalesi per lo più studenti delle scuole superiori conoscono la loro situazione in quanto portatori sani o meno della Talassemia stessa. Se il lavoro in futuro non sarà subito fatto a livello nazionale, potrà essere fatto a partire dalle regioni più colpite.

Da parte mia il lavoro si può considerare finito, in quanto desidero continuare le mie attività legate alla scuola, alla pastorale e alla salute con i nomadi,  come ho sempre fatto. Ho concentrato, in questi  mesi,  tutte le  mie energie per questo problema,  perchè qualcuno doveva pur cominciare  ( in questi due mesi, almeno un paio di volte mi son detto: “Potessi tornare indietro non lo farei più”, ma poi provvidenzialmente il tutto si è concluso bene e adesso dico: “Per fortuna,  questo lavoro è stato fatto”. Tra i miei amici è nata una Assocazione ATAP e questi,  se troveranno dei fondi potranno continuare l’attività. Il Direttore  esecutivo della ATAP si chiama Samiron. Chi è? E’ un giovane di 28 anni. Dopo l’Università ha lavorato in una grande Onlus Internazionale come Menager nel settore dell’educazione e salute. Ha messo da parte un pò di soldi e adesso si è licenziato per spenderli.  Lui non è sposato e vorrebbe dedicare la vita agli altri specialmente ai più spiantati ed è molto sensibile alle problematiche della popolazione del suo Paese. Da alcuni anni  lo conosco e ritengo che abbia una buona stoffa per prendersi anche delle grosse responsabilità. Sapendo che all’inizio dell’anno Samiron era libero e cercava come impegnare il suo tempo  nel volontariato ho proposto la Campagna della Talassemia.  Lui ha lavorato gratuitamente e continua ancora adesso a mettere insieme i dati.  In alcuni momenti il peso maggiore lo ha portato lui. Oggi sarebbe anche pronto a lavorare a tempo pieno per questa lotta contro la Talassemia. 

Vi ho trattenuto un momento su questo problema anche se non è la prima malattia in Bangladesh, in quanto tutti sanno che la prima malattia in questo Paese è la denutrizione o almeno la alimentazione insufficiente. Questa sì che è una vera epidemia,  ma contro questa calamità nazionale ci sentiamo tutti molto impotenti. Concludo con gli auguri di Buona Pasqua. 

Spedisco in Italia oggi sera di Pasqua. Sono ancora in tempo, vero?

don Renato

2013

Lettera di Natale

Da qualche angolo del Bangladesh - dicembre 2013

Cari amici,

prima di rientrare in Bangladesh avevo condivisa con qualcuno di voi un fatto che ultimamente mi ha molto impressionato cioè che almeno cinque stati nel mondo hanno un'età media di vita al di sotto dei 20 (venti) anni e due stati arrivano all'allucinante età media di 15 (quindici) e 16 (sedici) anni.

Uno mi disse che non può essere vero. La statistica riportata dall'Opam, e ritrovata anche in un altro documento per me è vera e seria. Qualcuno potrà dire che questa è retorica, o le solite lamentele che poi non risolvono nulla. Abbiamo sentito dire tante volte che 45000 bambini, ogni giorno, muoiano per denutrizione. I numeri non dicono più nulla. Ci siamo abituati a tutto e giriamo la pagina del giornale dopo aver letto 27 cristiani sfollati dalla Siria, oppure 127 o ancora 1000000.

In Bangladesh nell'ultima settimana di sciopero abbiamo avuto 131 morti, ma se fossero stati la metà o tre volte tanti avremmo voltato pagina allo stesso modo, infatti si è ricominciata un'altra settimana di sciopero. Nessuno pensa che il morto di domani potrebbe essere suo figlio o sua sorella. Quando i numeri riguardano gli altri si riducono a "tanti" e "pochi". Il problema del Terzo mondo lo abbiamo di fatto rimosso per riuscire a vivere senza farci troppi problemi. In tempo di crisi, poi ci sentiamo ancora più mal messi degli altri.

Ma che cosa è capitato tra noi del primo mondo e quell'altro mondo terzo, quarto o quinto che sia?

Tra le tante cause ne intravedo una che, pur non essendo la più grave, è certo molto visibile e comprensibile. La trovo in una parafrasi del salmo 50 che avevo scarabocchiato venticinque anni fa, mentre ero in Brasile.

...Pietà di noi, o Dio, secondo la tua misericordia./ Per la tua grande bontà cancella il nostro peccato/ che è diventato troppo grande./ ... Siamo colpevoli di aver sfruttato non solo un uomo,/ una donna, un bambino,/ ma un mondo di gente, un terzo mondo./ Riconosciamo la nostra colpa,/ il nostro peccato ci sta sempre dinanzi./ ... Ma...non eravamo andati noi, personalmente, a compiere le rapine di caffè,/ di cacao, di zucchero, di cotone, di rame, di oro, di pietre preziose./ No, non siamo andati noi/ e molti di noi non vedevano i massacri fatti per rapinare e flagellare gli schiavi/ che tentavano di recuperare la loro libertà./ No, non siamo andati noi a cacciare, e far morire nove milioni di Indios nelle loro foreste/nè siamo andati a deportare altrettanti Africani dalle lLoro terre./ Noi non li abbiamo commercializzati sulle nostre piazze./ Non abbiamo visto tutto questo./ Noi non abbiamo visto morire uomini e donne spezzati dal lavoro, né abbiamo visto i loro bambini morire di fame./ No, noi non abbiamo sentito gli Afro-Brasiliani gridare/ e chiamare i loro spiriti dalla terra d'Africa, per ottenere liberazione./ Non siamo stati noi a rispondere a queste grida, serrando più forte i loro piedi e le braccia nei ferri./ No, non siamo andati noi con gli elicotteri a sterminare popoli interi per occuparne la terra./ Si, forse sono andati altri a fare le rapine,/ ma noi ne abbiamo diviso gli utili/ e ci siamo abituati a un benessere nel mangiare,/ nel vestire, nel tempo libero, nelle vacanze, nelle feste,/ nella cultura, nella tecnologia;/ abbiamo prolungato gli anni della nostra vita./...(pag. 75. La Consegna). 

Un esempio, se volete ingenuo, ma perché il Museo Egizio che contiene una grandissima parte della cultura egiziana, non avrebbe dovuto tornare in Egitto? E i milioni di turisti che lo hanno visitato, sarebbero andati a pagare i biglietti nell'Egitto stesso. E dopo tutto questo abbiamo alzato mura altissime tra noi e i paesi più poveri. Abbiamo alzato le mura per difendere i nostri beni e per impedire che nessuno venisse a chiederci dei risarcimenti (nel nostro caso, anni di vita). Se poi qualcuno riesce a scavalcare il muro e arriva a Lampedusa lo si considera un aggressore: "Basta! Sono già troppi". Anche se Papa Francesco va a pregare proprio là, qualcuno aggiunge: "Bisogna ricacciarli a cannonate!"  Se io vivessi in un Paese dove l'età media è di 15 oppure 16 anni o comunque sotto i 20, fuggirei a nuoto, per raggiungere qualunque spiaggia del mondo.

E' retorica, vero? Qualcuno mi dirà che le ragioni sono molto più profonde e l'analisi certo più complessa. Non sono ingenuo da non considerare lo sviluppo e conseguenze dell'ultimo secolo, comunque ora cerco di guardare con voi, per un momento, la nostra realtà di oggi.          

Cosa si potrebbe fare? Feci questa domanda in un incontro e una suora, andando al nocciolo della questione disse che si dovrebbe rifare la proposta di diventare cristiani. Se ricordo bene dissi che certamente ero d'accordo, ma bisognava chiarire quali sarebbero state le conseguenze. Se diventassimo cristiani, infatti, accadrebbe qualcosa molto più devastante di una guerra nucleare. 

lnfatti se così diventassimo e cominciassimo a credere che la pelle bianca vale quanto quella nera, gialla o rossa, certamente che le mura costruite e sigillate da Timbri, Visti e Passaporti per difendere il nostro (pur relativo) benessere comincerebbero a crollare, o meglio cominceremmo proprio a distruggerle. E se diventassimo cristiani cominceremmo a considerare il nostro vicino uno da amare come amiamo noi stessi (è il Comandamento di Gesù Cristo). I loro 15 anni di vita media e i nostri 49 come si confronterebbero?

Diventerebbero 32 anni per tutti? La matematica non si commenta?

In ogni caso, noi per evitare che qualcuno venga a bussare alla nostra porta per invitarci a diventare cristiani e quindi provocare la nostra catastrofe, abbiamo escogitato un sistema di difesa veramente  diabolico: ci siamo fatti battezzare tutti o quasi, abbiamo ricevuto la Prima Comunione, la Cresima e chi si  sposato lo ha fatto in Chiesa, mentre i preti, i religiosi e le suore abbiamo firmato la nostra consacrazione nella Chiesa così se qualcuno si azzardasse a proporci il cristianesimo attraverso un incontro, una omelia, o un articolo di giornale, o una trasmissione televisiva o addirittura con una pagina di Vangelo osasse appunto farci la proposta di fuoco di diventare cristiani, noi abbiamo la risposta pronta scritta ben chiara sulla parete del nostro cuore: "Noi siamo già cristiani! (quindi non abbiamo più bisogno di diventarlo).

A questo punto non voglio provocare un lungo respiro e poi girare la pagina. Lavoriamo ancora un momento insieme. Cominciamo a pensare in un modo nuovo. Le risposte ci sono. Esistono i Sindacati per difendere i nostri diritti, ma lavorano sempre all'interno dei nostro Paese, per il benessere si, ma solo quello nostro, tra le nostre mura, anzi ci aiutano a tenerle ben solide. Esiste anche un Sindacato europeo e questo potrebbe già essere un passo in avanti, ma è ancora ristretto a lavorare per il bene europeo, tra le solide mura del nostro continente, del primo mondo. Manca un Sindacato, quello del pianeta Terra. Bisogna avere il coraggio di istituirlo, facendo strillare milioni di persone, ma è il nuovo cammino. Le "Pro loco" potrebbero allenarsi a non pensare solo al proprio villaggio, ma iniziare a organizzarsi oltre il proprio cortile di casa. Il "locto" deve sempre essere di più il "luogo" del mondo. Qualcuno mi avrà già interrotto dicendo: "Ma se molti di noi non riescono più ad arrivare alla fine del mese!". C'è da dire . E' vero, se vogliamo continuare a vivere come vivevamo prima, quando eravamo quasi ricchi o più ricchi di adesso. Ma se vendo la casa e vado a vivere in affitto o se comincio a mangiare due volte al giorno o una volta soltanto, come milioni e milioni di famiglie fanno, allora sì che la crisi cambierebbe volto!

Qualcuno comunque ha già cominciato a cambiare il mondo: Una famiglia albanese - (marito, moglie e due figli) incontrando un'altra famiglia sempre albanese in una situazione molto simile alla loro quando erano arrivati in Italia, li hanno invitati ad alloggiare presso di loro. Adesso la famiglia è il doppio e hanno già deciso di rimanere così perchè è meglio. A Torino una signora che fa un po' parte della mia famiglia allargata, invece di andare a fare la badante a una signora anziana se l'è portata a casa nella propria famiglia. Un Vescovo ha cominciato a predicare: "Adottate una famiglia"! Un'altra famiglia composta di tre persone e una in arrivo, pensava di cambiare casa per la nascita del nuovo erede. Alcuni giovani (con problemi di droga e alcoolismo) iniziarono a chiedere ospitalità, prima due, poi cinque, poi aumentarono. Alcuni andavano solo per fare una doccia. In quaranta giorni la casa troppo piccola per quattro persone divenne sufficiente per 25.

Cambiando testa e cuore le mura si dilatano. Un ragazzo di 15 anni, seconda superiore, vedendo lo zio che lavora a tempo pieno per gli altri o meglio per i più miserabili della città e fuori Continente ha deciso di fare volontariato con lui. Appena c'è un'ora libera salta sul trattore, si sposta sulla ruspa o sul camion e non ha proprio paura di sporcarsi le mani. Faceva comunque così già a sette anni. Mi sembra che faccia fatica a passare la notte in discoteca altrimenti sarebbe meno efficiente il giorno dopo. Una signora quasi quarantenne ha lasciato un pasto al giorno non a causa di una dieta, e nemmeno per solidarietà, ma per restituzione. A Khulna, Bangladesh, alcuni miei amici hanno fondato una Associazione di giovani , ma solo di volontari. Non fanno progetti dove necessitano soldi e non accettano alcuna donazione. La maggior parte dedica almeno un'ora al giorno a fare scuola nelle baraccopoli della periferia. Il fondatore ha capito che chi lavora anche per una giusta rimunerazione, lentamente rischia di lavorare particolarmente per i soldi. Nello Statuto hanno scritto: "Noi crediamo che lottare contro la povertà non significa primariamente far progredire la vita economica dei poveri, infatti "l'uomo quando sta bene non intende e diventa come le bestie" (Salmo 48). Volendo pur far qualcosa anch'io, ho diviso la mia palafitta che ho in comodato d'uso in un accampamento di zingari, quando passo qualche settimana a Khulna. Due metri per due metri e mezzo sono sufficienti per una famiglia con tre persone. Nell'altra parte io sono da solo quindi ancora più al largo.

Natale sta arrivando. Gli auguri per il compleanno di Gesù, nato a Betlemme quest'anno in particolare si chiamano giustizia, solidarietà, restituzione e onestà: belle parole , però se le metteremo in pratica, altroché crisi epocale!

Ciao 

d. Renato


Lettera di Pasqua 

Da qualche angolo del Bangladesh - marzo 2013    

Cari amici,

avete certamente  più notizie  da dare a me di quanto possa io darne a voi, ma questa lettera è ormai l’anello di una catena che non vorrei proprio spezzare. 

Per dirvi quanto poco aggiornato io sia vi scrivo che nella mia zona forestale, c’era già il nuovo Papa Francesco e io non sapevo ancora che i Cardinali erano stati convocati in Conclave, ma anche con questi limiti la mia vita continua ad essere bella. I miei collaboratori sono molto più bravi di me, per questo posso dedicare molto più tempo al silenzio-meditazione-preghiera. 

Sono contento di poter fare questo anche un poco a nome di coloro che tra voi devono ancora occuparsi della famiglia con bambini piccoli, in tempi non facili come questi  e di contraccambiare anche tutto il vostro sostegno di benefattori. Alcuni di voi si sono  scusati per non essere riusciti ad aiutare come in passato, a causa della crisi. Vorrei dire di non preoccuparsi eccessivamente perché ci sono altre risorse anche più preziose: l’amicizia che continua  e la preghiera sono certamente i mezzi privilegiati per aiutare questa piccola missione tra i nomadi di questo paese. Se quindi  riuscirete a pregare un poco di più per queste comunità zingare,  il buon Dio saprà certamente moltiplicare i cinque pani e i due pesci e non  lascerà  mancare il necessario a nessuno. 

Il problema nasce solamente quando possiamo sorreggere chi è caduto e non lo facciamo per pigrizia. Ho appena accennato alla parola “crisi”, termine molto attuale usato da tanti per avere un diritto in più all’infelicità. Alcune persone sembrano fare di tutto per piangersi addosso ed essere tristi. Essendo in quaresima mi pare importante dedicare un momento a questa riflessione: non è il dolore che causa la tristezza  ma siamo noi che la causiamo quando decidiamo di non voler essere felici. Voi ed io abbiamo certamente incontrato malati nelle ultime settimane di vita  con più serenità e gioia d molti altri che non sono mai entrati nello studio di un medico. Mentre ero in Italia avevo condiviso con qualcuno di voi una riflessione dicendo:” Se la settimana prossima ricevessimo la  notizia che  le pensioni in Italia sono state tagliate e che entrando in ospedale dovremo pagare in anticipo, ogni prestazione sanitaria  e poiché oggi la scienza può prolungare notevolmente la nostra vita, con cure che possono raggiungono dei costi fino a 500 000 Euro in un anno (oggi pagate dai servizi pubblici), quale potrebbe essere la nostra reazione? 

Ebbene, dicevo in quella chiacchierata, che ci sono paesi i quali hanno già ricevuto questa terribile notizia, anzi non hanno mai ricevuto l’altra che parlasse di una possibile Pensione in questo mondo o  che si potesse entrare in ospedale e ricevere  medicinali operazioni chirurgiche e ogni prestazione sanitaria gratuitamente pur avendo pagato precedentemente le tasse. 

Anni indietro, in Bangladesh come in  Italia, per molte malattie, la gente si rassegnava a morire perché non c’erano i mezzi che oggi la scienza ha messo a disposizione. Ma i  costi sono quelli di una società che ha un  tenore di vita molto alto e quindi si può permettere il lusso di prolungare la vita notevolmente. Vorrei a questo punto dare alcune suggestioni, almeno una che potrebbe essere utile qualora in Italia  ci si dovesse rassegnare a vivere come tanti paesi poveri del  mondo e questo messaggio ci arriva proprio dai più poveri, dagli zingari da coloro che noi penseremmo con così poche speranze. 

Oggi in Bangladesh un papà e una mamma che portano il figlio in ospedale per un’operazione al  cuore o al cervello, o un trapianto o una dialisi non si sentono dire dal medico :”non c’è nulla da fare”, ma al contrario,  sanno bene che il figlio si può salvare a condizione  che ci siano i soldi, ma le due ore di dialisi hanno il costo del salario di un anno, senza parlare di trapianti o chemioterapie che hanno costi impossibili. 

Sono comunque forzato a vedere un aspetto molto positivo in tutto questo che sta capitando proprio qui in Bangladesh e dirò che gli zingari sono abituati a risolvere questi problemi da sempre perché, se un bambino zingaro necessita di un intervento chirurgico non è solo problema dei suoi genitori ma dell’intero gruppo che è appunto la sua famiglia estesa. 

Per esempio a Shavar, a mezz’ora dalla capitale, durante la più importante festa mussulmana circa 8000 jajabor (zingari) si riuniscono per due mesi, durante i quali ogni  giorno i circa 200 capi gruppo si riuniscono con gli 8 “avvocati” eletti e il Capo la cui ultima decisione di ogni caso è indiscussa. Nei due mesi in cui sostano insieme, ogni giorno si siedono per due ore e cercano di risolvere tutti i problemi che durante l’anno si sono presentati e la cui soluzione è stata rimandata a quei due mesi di giudizio collettivo e nel momento in cui si deve dare una punizione a un membro della grande famiglia estesa, lo si farà con la massima imparzialità senza però giudicare la persona come un numero della società, ma un figlio, un nipote, un fratello e così via. Allo stesso modo se c’è un diversabile che necessita di una cura particolare o un malato che si può salvare solo con un costoso intervento chirurgico, la decisione non è riguardante un numero della società, ma un figlio, un nipote, un fratello e così via. 

Anche la società italiana che ha incaricato i suoi politici a prendere le decisioni e quindi risolvere i problemi sociali come lavorerebbe diversamente se considerasse ogni membro della società come un familiare? In una sola regione italiana avrebbe potuto pagare in rimborsi spese (feste, viaggi, cene, gioielli) dei gruppi consiliari 980 000 Euro nel 2008 e essere arrivata a pagarne 13 000 000 nel 2011? Qualcuno dirà che i costi sono aumentati, ma allora come giustificare il taglio dei fondi per il sociale ridotti a un decimo per cui se nel 2008 erano stanziati due miliardi e mezzo di Euro, nel 2013 solo più  273 000 000 di Euro? E ancora  se i politici avessero considerato ogni italiano come un membro della loro famiglia, come avrebbero potuto addirittura ridurre le ore di scuola nelle classi proprio dei diversabili, solo perché non si ribellano, non hanno forza e nessuno prende le loro parti? Infatti non ci si è scandalizzati più di tanto. 

Dicevo che la politica degli zingari ha qualcosa da insegnarci, ma non solo loro bensì il Bangladesh e molti paesi poveri.   Oggi, in Bangladesh, la possibilità di salvare la vita ha scatenato, tra zingari e no, una sorta di solidarietà tra le famiglie veramente sorprendente: è il caso di Jakir 22 anni, e oggi sarà lui a indicarci la strada di come risolvere la crisi. 

Slittando da una sedia si insacca compromettendo quasi tutta la spina dorsale. Sta a letto otto mesi. Quando a fatica si alza per andare in  bagno ha capogiro e un fortissimo mal di testa: non riesce a rimanere in piedi. Nel frattempo è nato il primo figlio che porta una grande gioia in famiglia e per  Jakir una voglia di vivere in più, ma  i medici non usano mezzi termini: “si va verso una paralisi irreversibile”. Ho visitato diverse volte Jakir e non l’ho mai sorpreso senza un sorriso. Lui ha una grande fede e può contare sull’amicizia di tante persone, povere come lui, ma che sanno voler bene. Jakir e il fratello minore mi hanno manifestato sì la loro situazione economica, ma senza mai diventare mendicanti. Non li ho mai visti piangere se non una volta sola, quando però la storia era già stata conclusa. 

Vedendoli mi ricordarono la grande dignità di una suora Luigina che nelle ultime settimane di vita aveva messo davanti al suo letto il disegno di una bambina in ginocchio con il cappello rivolto in su e una scritta: “Signore, prendi o togli quello che vuoi “. Quando sono andato a trovarli mi hanno sempre e solo chiesto di pregare per loro. 

Una coppia di sposi italiani, Ivano e Lorena, venuti in Banglash a portare il contributo raccolto dagli amici  nell’occasione del loro matrimonio, per le “scuole mobili” tra gli zingari di questo paese, incontrarono anche Jakir. Si dichiararono subito disponibili di portarlo in Italia e ospitarlo anche per un anno o più qualora un centro specializzato di Milano avesse dato una risposta favorevole a un intervento di manipolazioni per rallentare il processo degenerativo. Quando però i medici di Milano videro e studiarono la documentazione, manifestarono tutta la loro impotenza di fronte a un caso così ad alto rischio e  aggiunsero di non pensare in interventi chirurgici perché il rischio della paralisi era del 99%. La solidarietà degli amici aumentava, ma le speranze diminuivano. 

Quando c’è una malattia in casa si va un  po’ da tutti, e si tentano le cure più diversificate. Si andò anche da un francescano, Mondino (Vercelli) considerato anche da medici atei come il maggior diagnostico, in Europa: è un discepolo del santo Padre Pio e continua la sua stessa missione per i malati su invito dello stesso santo di Pietralcina. Si andò per chiedere una preghiera. Quando quest’uomo di Dio (che incontra quasi 300 persone al giorno) prese la fotografia del paziente bengalese disse: ”Oh povero ragazzo, non fatelo solo operare perché rischia la paralisi completa - poi si fermò un momento e aggiunse- eccetto che Dio voglia fare un miracolo. E io,  aggiunse, lo chiedo il miracolo per questo ragazzo mussulmano, pregate anche voi. Si fermò un altro momento in preghiera e passò a incontrare un altro malato. 

Nel frattempo mi preparavo a rientrare in Bangladesh con le mie notizie non troppo confortanti. Tutti avevano parlato dell’alto rischio per un eventuale intervento e io cercavo le parole adatte per dire  poi a Jakir di lottare con le proprie forze senza aspettarsi l’impossibile da eventuali interventi chirurgici.  Non volendo spiegare tutto questo per telefono rimandai il discorso a voce. 

Arrivai in Bangladesh più tardi del previsto e visto che tardavo senza dare notizie, quando arrivai il mio paziente era già partito per la capitale con lo zio e il fratello minore con la speranza dell’operazione. Io mi arrestai e pensai : “Forse è quel miracolo che si sta realizzando”. 

A Dhaka il neurochirurgo dopo tutti gli esami necessari aveva concluso davanti a Jakir, lo zio e il fratello minore: “Il rischio è molto alto e interventi simili non hanno ancora mai dato esiti soddisfacenti, se comunque volete io lo opero. Allah potrebbe sempre fare il miracolo”. Il fratello più piccolo senza consultare gli altri rispose :” Se ci avesse detto di fidarci di Lei che è un buon chirurgo, noi potevamo temere perché non la conosciamo, ma se dice che  Allah può fare il miracolo, noi di Lui ci fidiamo. Lei faccia l’operazione”. 

Rimaneva il problema economico. 2700 Euro, cifra da capogiro in Bangladesh, specialmente tra i poveri. In meno di venti giorni la catena della solidarietà ha vinto. Quando ebbi la notizia che era già stato operato, fui anche informato che l’intervento era riuscito contro ogni previsione.  In Italia, Ivano e Lorena, avevano intanto raccolto una buona cifra per Jakir prima di sapere come si sarebbe potuto utilizzare la somma. Io ho aspettato un momento a dire che c’erano quei soldi. Ho aspettato che tentassero con tutti i loro mezzi.. 

Ho aspettato che Jakir potesse avere la  gioia di vedere come gli amici si erano dati da fare per lui. Ho aspettato che gli amici si indebitassero e rischiassero per lui. Quando ho visto che ce l’avevano fatta e che il nostro aiuto non era più così  indispensabile, ma gratuito,  sono andato a portargli ciò che in qualche modo era già suo.  Avvisai Jakir per telefono che sarei andato da lui solo per una visita e Lui ha voluto aspettarmi fuori,  con il bambino in braccio, in piedi e con lo stesso sorriso di prima,  quando pensava che non sarebbe mai guarito. Fu quella la volta in cui  vidi Jakir e il fratello a piangere ma era per consolazione.  

Gli consegnai poi i 1500 Euro che era più della metà delle spese totali per l’intervento e convalescenza.  Avrebbero potuto tenere per le loro necessità la somma, in fondo, ne avevano pur bisogno, ma hanno subito avvisato gli amici che si erano indebitati dicendo che c’erano i soldi anche per loro. Così da beneficiati sono diventati persino benefattori. E la nostra testimonianza di amici cristiani ha potuto ancora una volta dire come è preziosa la solidarietà cristiana, che va al di là delle parentele,  amicizie,  religione. 

Questa storia per voi è nuova, ma in Bangladesh, da diversi mesi sta aiutando un gran numero di famiglie. 

Quando i parenti di malati gravi sono venuti da me a dirmi: “ mio figlio, mia moglie, mio padre è in ospedale e lo si può salvare con questo intervento chirurgico, noi siamo poveri… ci aiuti tu”?  io  ho potuto rispondere: “I soldi per aiutare tutti  quelli che mi chiedono io non li ho, ma se volete vi dico dove li potete trovare. Sapete dove? In casa vostra o meglio nella vostra famiglia quella più estesa che comprende parenti e amici. Tutti solidarizzano con qualcosa e il miracolo è fatto“. 

Qualcuno tenta di dire : “Ma noi siamo poveri, non abbiamo nessuno” Allora racconto la pagina di Vangelo di Jakir e là  molti si sono arrestati e hanno trovato la strada. Almeno tre genitori di bambini che necessitavano di un intervento chirurgico a cuore aperto, non hanno più avuto bisogno di soldi  italiani ma è bastata la testimonianza di Jakir e la sua famiglia. 

Generalmente dico:”Io ci sono anche, ma come uno dei vostri tanti parenti o  amici e non come uno che è caduto dal cielo a risolvere tutti i problemi. Con qualcuno ho potuto aggiungere: “Se non hai proprio amici è perché non hai amato abbastanza gli altri,  In questi momenti capisci cosa vuol dire aver voluto bene”. E  Vi assicuro che offrendo come soluzione la solidarietà tra di loro,  ho potuto aiutare molto di più quest’anno, mentre le risorse erano di meno , di quanto abbia potuto fare negli anni passati. 

Ora vi auguro una Pasqua cristiana, che è quel grande mistero in cui Dio ha voluto solidarizzare con noi vincendo così la morte con la Resurrezione di Gesù. 

Ciao. Don Renato.    

P. S.  I progetti in Bangladesh, India, Filippine, Algeria proseguono bene (continuano  speranze in più  per alcune proposte in Palestina e Brasile) 

don Renato Rosso

2012 

Lettera di Natale

Dicembre 2012 

Carissimi, 

quest’anno chi mi aiuterà a vivere l’Avvento, sarà Alexandrina, una giovane di 29 anni, consacrata da dieci che si occupa di tossicodipendenti, spacciatori e sofferenti di diverso tipo. Dopo il dottorato in psicologia ha preferito rimanere con i suoi giovani, pazienti cronici. Recentemente un tumore le ha bloccato lo stomaco e in parte i polmoni facendola vomitare spesso e faticare nella respirazione. Il medico ha parlato di quattro settimane di vita. Sono stato da lei per l’unzione degli infermi e ho costatato che questa giovane donna ha fatto pace con tutto il mondo che la circonda. La mamma è diventata protestante, quindi con una sensibilità religiosa diversa e Alexandrina dice: “ Il Signore è lo stesso; noi ci vogliamo tanto bene”. Il papà è alcolizzato e spende nell’alcool anche quella poca miseria che c’è in casa e la figlia dice: “Ha un cuore tanto buono , ma non ce la fa e io lo sento sempre più padre”. I ragazzi che fumano, iniettano e spacciano sono il suo mondo che ama e dice: “Questi non ce l’hanno fatta. Sono di più quelli che hanno vinto, ma questi occupano di più il mio cuore materno”. Quando le crisi di soffocamento si fanno intense, sono questi giovani che la prendono e portano su autoambulanze improvvisate al Pronto Soccorso, con urgenze sempre più frequenti. Le consorelle l’hanno invitata a restare nella comunità con loro, dove ci sono più mezzi per affrontare i problemi imprevisti causati dalla malattia stessa, ma Lei ha preferito restare nella sua capanna, dicendo: “I ragazzi mi accudiscono loro stessi con una attenzione unica e io non posso rifiutare loro di vivere questi gesti di amore verso di me. Prima ho servito e adesso mi lascio servire che è molto più prezioso”.

Alexandrina ha fatto pace con la sua malattia. Mi diceva testualmente: “Io non solo accetto il tumore che mi sta uccidendo, ma per questo ringrazio il Signore, perché adesso ho qualcosa in più da offrire e poi alla fine sarà proprio questa malattia a presentarmi al Signore”.

Amici, che dire di fronte a una donna così?

E se non bastasse, nell’ultima telefonata con una voce che si va spegnendo, mi disse: “Padre, dobbiamo intensificare…” e io mi aspettavo; “La preghiera”, come mi chiese diverse volte, ma mi sorprese dicendo: “Padre, dobbiamo intensificare la gratitudine, per introdurre in noi più gioia”.

Carissimi amici. Quanto è vero! Se ringraziamo di più aumenta in noi la felicità. Se ringrazio per gli occhi che mi portano il mondo in casa, per il cuore che fa circolare la vita in me, per i polmoni che mi danno il respiro e per ogni organo del mio corpo con funzioni così indispensabili alla vita, se ringrazio per la famiglia, per i bambini, par avere o aver avuto una mamma, un papà, a ogni grazie segue una grande gioia. E Alexandrina ringrazia il Signore per la malattia perché ha capito che tutto ciò che ci viene consegnato dal Signore è “Grazia”. Lui sa quello che deve fare di noi e per noi. E anch’io ringrazio per il dono di Alexandrina.

E ancora due testimonianze di due rabbini di cui non so minimamente il nome.

Per comprenderli, premetto che si è parlato molto dei Campi di concentramento nazisti del xx secolo e tutto lo scandalo e indignazione suscitato nel cuore di tante persone sensibili, indignazione contro gli uomini e contro Dio stesso. Si sono però dimenticate milioni di azioni di amore e di solidarietà anche eroiche, proprio avvenute in quei luoghi di morte, che non sarebbero mai esplose in quei cuori umani. Cito a braccio la prima testimonianza: Il Rabbino commentò il grido ripetuto spesso e da tanti: “Dopo Auschwitz non è più possibile parlare di Dio”. Quel testimone parlò di una delle guardie nel Campo di concentramento che di fronte a un gruppo di ebrei appena arrivato per spogliarsi ed entrare subito dopo nella camera a gas sentì nel suo profondo una voce chiara che gli diceva: “Spogliati anche tu ed entra con loro”. Probabilmente sentì la voce più di una volta, per poterla confidare a un suo collega, che la rivelò dopo la sua morte. Sta di fatto che di fronte a un gruppo di condannati, mentre si spogliavano, si è spogliato anche lui ed è entrato nella camera a gas con tutti gli altri. Il Rabbino concludeva che se l’amore esiste, esiste anche Dio e se anche un solo figlio della Germania è stato capace di spogliarsi ed entrare per solidarietà a morire con degli Ebrei condannati, è segno che Dio esiste. Massimiliano Kolbe aveva dato la vita almeno per salvare una persona e la sua famiglia, quindi anche da un punto di vista umano aveva ricevuto una grande ricompensa, mentre quest’ultima testimonianza ci presenta uno che solidarizza, ama e basta.

Si è raccontato, in una riflessione sulla sofferenza che due contadini si erano incontrati e uno disse all’altro: “Tu mi vuoi bene?” e questi rispose: “Certo che ti voglio bene!”, di rimando il primo continuò dicendo: “Tu sai che cosa mi fa soffrire nella mia vita?” e l’altro: “Certo, questo non lo so proprio”. E la risposta fu: “Se non sai che cosa mi fa soffrire, come puoi dire di volermi bene?”

Ma più della testimonianza di Alexandrina, della guardia del Campo di concentramento, di quest’ultimo contadino mi accompagna al Natale la testimonianza di quella coppia di sposi, Maria e Giuseppe che prepararono la salvezza del mondo celebrata a Natale.

Cominciando dall’Annunciazione dell’angelo che ricevette il si di Maria: “Si, sono una serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola”. Ma quando Maria disse quel “Si” non era certamente l’adesione a diventare una Regina con corona d’oro, portata in processione con tante statuette di angeli, candele, incenso e canti. Oh certo non fu questo, ma il suo “Si”, accogliendo la volontà di Dio, fu un’accettazione a diventare eventualmente una ragazza madre o una ripudiata da Giuseppe, o nel migliore dei casi una infedele al fidanzamento con lo stesso Giuseppe. E quel povero ragazzo , Giuseppe, che dopo aver incontrato la giovane più adatta per la sua vita, per i suoi sogni e quindi per la sua futura famiglia, con l’eventuale speranza di avere tanti figli che corrono su e giù per la casa e con un segreto presentimento di essere la famiglia che potrebbe portare il Messia a Israele così atteso e sperato: Questi sogni di Giuseppe si scontrarono con i sogni di Dio e alla fine il giovane santo cede raccogliendosi in un silenzio a noi sconosciuto. Non ho voluto fare un’esegesi del testo di Luca, ma ho semplicemente ripetuto la sua riflessione che in ogni caso, ci riporta lo stile di Dio, il suo modo di comportarsi con Maria, con Giuseppe, Con Gesù, con le migliaia di martiri e santi e anche con noi.

Ma la notte di Natale deporremo i paramenti viola e li sostituiremo con quelli bianchi e il “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” che viene dal presepio lo canteremo anche noi.

Buon Natale!

P.S. I nomadi del Bangladesh, dell’India, delle Filippine, del deserto africano e del Brasile non vi conoscono personalmente, ma sanno che esistete e pregate per loro ed essi contraccambiano.

Don Renato  

La Quaresima di don Renato

Pasqua 2012       

Carissimi  amici, 

a volte la Quaresima, la Settimana santa, in una parola la sofferenza ci può scoraggiare. Nelle ultime settimane, più volte, la rabbia che insieme all’amore è uno dei due grandi motori del mondo, mi ha posseduto violentemente. Ho appena ricevuto un mss. sul cellulare da un paziente che a mia richiesta mi accenna alla situazione  sanitaria nella sua città: Il Neurologo dr. SAMSUHAMAN, al pomeriggio nella sua clinica in poche ore visita circa 250 pazienti con poco più di un minuto per paziente al prezzo di 5 euro per visita, quindi oltre 1000 Euro al pomeriggio. Devo aggiungere che nel suo studio  medico, il chirurgo  dr. BIK DAM e il dr. AZIZUL  HAQUE,  raggiungono   il numero di 300 o 400 pazienti, con lo stesso prezzo di 5 euro per ogni visita.  E come loro la maggior parte dei medici nei loro studi privati. Questo accade in un paese dove mi vendono 20 Thè al prezzo di un Thè in Italia. Ma almeno se facessero il lavoro richiesto! Io ho accompagnato Davide Murnu dal primo neurologo citato sopra. Il paziente disse di aver avuto un trauma cranico tre mesi prima in un incidente e continua con forte mal di testa e male agli occhi. Il dottore strafamoso, lo guarda negli occhi e controlla la pulsazione dei battiti cardiaci, poi scrive qualcosa e dice di tornare dopo 10 giorni. Uscendo io vedo e leggo scritto Nepa plus che è come dire da noi un’aspirina per  10 giorni. Io sono partito infuriato per entrare nello studio dello stesso dottore dicendomi dentro con rabbia:”questa volta lo mando al Pronto Soccorso”. Sono stato fermato da un’infermiera che capì quello che poteva essere capitato. Mi chiese di poter fare lei da tramite. Me lo chiese proprio in ginocchio per evitare uno scandalo. Alla fine ho accettato contro ogni mia volontà. Lei è entrata ed uscita con la prescrizione immediata di una Tak, e di un E.E.G. nel Medical Hospital. Un altro incidentato accompagnato da me e David con una frattura alla tibia in tre luoghi diversi, con un’infezione visibile esterna, mostra le lastre e si sente dire, ripeta le lastre , poi torna la prossima settimana (poteva aggiungerne 200 di lastre e avrebbero dato lo stesso risultato.)  Questa è la mia Quaresima.

 Ancora si è aggiunta ultimamente la festa della Bambina per riflettere su come intervenire per difendere queste indesiderate creature,  specialmente in India oltre che in Bangladesh. Alcune informazioni ci dicono che oltre le 20 000 bambine che ogni giorno muoiono per denutrizione, si devono aggiungere specialmente per India e Bangladesh tutti gli aborti selettivi e gli infanticidi femminili.  Con l’avvento degli ultrasuoni  ed esami come l’Amniocentesi e i vari test per determinare eventuali malattie, ma anche il sesso del nascituro, milioni di feti femminili non sono mai arrivati alla nascita. Signore, perdonaci!  Una delle cause per cui le bambine sono spesso indesiderate è il problema della dote di cui ho già parlato altre volte. Il Times of India dice che per ragioni legate alla dote (pratica antica,  ma vietata dalla legge)  muore una media di una sposa all’ora e quelle che sopravvivono a una fine sovente orrenda cosparse di acido, quindi  accecate e con il volto senza più fisionomia umana, o bruciate vive sono almeno 240 al giorno solo in India (non ho i dati del Bangladesh). Signore, pietà!  La corsa al benessere in India è sempre più pericolosa anche per l’insolubilità del problema della dote, infatti le richieste di denaro o proprietà di vario genere aumentano sempre al punto di non poter più essere soddisfatte. Spesso quando la dote non è consegnata o prolungata per lunghi  tempi, dopo i tentativi di un’estorsione forzata o violenta si raggiunge il punto finale che è l’uccisione della sposa da parte del marito, cognato o suocero. I genitori della sposa se non possono raggiungere il quantitativo richiesto devono rinunciare al matrimonio e continuare a mantenere la figlia per lunghi tempi, per questo spesso lo promettono anche quando sono in grande difficoltà.

Continuo a parlarvi della mia Quaresima. In uno degli ultimi viaggi aerei che ho fatto, avevo sugli schienali delle poltrone davanti a me i minischermi che riportavano altrettanti immagini di film, quasi tutti europei o americani. Sul mio raggio ottico ne avevo una decina e di tanto in tanto lo sguardo cadeva su quelle sequenze di violenza , danze, feste,  scene di passione, grida urla. C'era di tutto di questo nostro mondo. Riflettevo che anche se quelle immagini  non corrispondevano alla cronaca che cade sotto i nostri occhi quotidianamente dovevano pur essere state pensate da qualcuno e questo mi diede una grande angoscia. Mi venivano alla mente  le tragedie del Bangladesh, dell'India,e tutte quelle non meno gravi della nostra società. Dico nostra perchè pur mi appartiene e concludevo: "Quanta ricerca di gioia, su strade sbagliate, su strade di disperazione!” e   vedere sui televisori una società che se non ruba e non sfrutta i poveri, lascia comunque un'altra parte di mondo senza il necessario per una vita umana  e vedere questa gran quantità di popolo che si suicida e suicida  in mille modi diversi,  ferisce veramente nel profondo. Allora ho pregato così: "Signore, io mi sono disperato di fronte ad appena una decina di televisorini e ho pensato che tu nella tua “Casa”  di fronte a milioni e milioni di “schermi”, se Tu, Signore,  non fossi il Figlio di Dio chissà quante volte avresti concluso che forse  non meritava la pena di fare tanta fatica per noi. Fatica su per quel Calvario che cominciò molto prima dell'ultima settimana santa e quei chiodi e il tetano  e il vedere accanto a te altri che soffrivano le stesse pene dell'inferno su quelle croci. E adesso vedi uomini e donne creati esclusivamente per  amare che inventano tutti i mezzi per odiarsi e rendersi infelici a vicenda. Anche Tu oggi forse preghi il Padre: "Se è possibile allontana da me questo calice (non quello di 2000 anni fa, ma quello di oggi), ma la Risurrezione  rimane il segno che la Trinità sa guidare la storia e sa molto bene in quale direzione ci conduce, nonostante i nostri rifiuti, scandali e pigrizie di fare il bene. L’Alleluia pasquale è vincente.

Buona Pasqua. Don Renato Rosso

P.S. Passando in Italia, dopo Pasqua, scendo con i beduini del Sahara  e  se Dio vuole, ci rivedremo a maggio.

2011 

Lettera di d. Renato per il S. Natale 

Bangladesh, 30 dicembre 2011     

Carissimi amici,

sono arrivato da poco tempo dall’India e sto riprendendo la mia vita normale per quanto “normale” possa essere. Il Natale, in Bangladesh, pur essendo celebrato Da pochi (circa 250 000 cristiani su 100 000 000 di mussulmani) è stato un momento molto intenso e di vera festa, perché qui nei pressi di Satkira, vicino al confine indiano, insieme alla celebrazione religiosa è pur finita, una via crucis che ha allagato tante famiglie, per tre mesi, con l’acqua, fino al ginocchio con tutte le conseguenze che si possano immaginare dal punto di vista del lavoro, dei trasporti e dell’ igiene soprattutto, ma fortunatamente i bengalesi fanno in fretta a dimenticare le calamità naturali a cui hanno pur dovuto abituarsi. I bambini hanno nuovamente riempito le scuole e la vita continua.

Quest’anno il mio Vescovo Mons. G. Lanzetti avendo inviato alla Diocesi di Alba la lettera pastorale “Crescere insieme, Chiesa e famiglie”,molti di voi sarete impegnati nel riflettere sugli stimoli che essa propone, e starete realizzandone gli orientamenti pastorali per l’anno 2011, 2012. Da parte mia voglio condividere con voi, non tanto nuove riflessioni sull’argomento della famiglia, che mi appassiona molto, ma ciò che ho incontrato nel mio cammino riguardante la famiglia stessa. Leggendo l’inizio del cap. 2° della lettera, dopo quella radiografia sulla famiglia troppo vera per non turbare anche i meno sensibili, si parla di una grande speranza cioè di famiglie che riescono a stare in piedi con grande coraggio e sanno assumere tutte le responsabilità dell’educazione nei confronti dei figli. Mi passano alla memoria molte storie che mi danno coraggio. Condividerò alcune storie di famiglie che hanno in comune un gruppo di famiglie, come sostegno, o un movimento.

Una famiglia si stava sfaldando. Il padre aveva “allevato” una fabbrica e l’aveva portata a 800 operai. Era diventata come un figlio. Il miglior tempo, le energie ,creatività e entusiasmo, tutto era investito per questa creatura. I due figli ventenni cominciarono a vedere questo padre diventare sempre più padrone. Il primo figlio seguito dal secondo cominciò a passare più tempo fuori casa che dentro. In casa i soldi c’erano e quindi c’erano per tutti. I due figli iniziarono a sostare sempre meno in famiglia. La madre vedeva dove stava l’errore, ma come far capire a suo marito che bisognava cambiare? Se ne parlò al “gruppo famiglia”, che in questo caso fece da prezioso ponte tra i due. Una grande crisi in quell’uomo! Capì che i figli erano fuori perché lui non era più “dentro”, non era più in famiglia. Il padre capì che aveva cominciato lui a barare con la famiglia prima dei figli. La grazia di Dio e il sostegno della moglie e del gruppo gli diedero il coraggio necessario per presentarsi al proprietario della fabbrica e dare le dimissioni da presidente. Basta con l’essere padrone! Comprò un taxi e iniziò il nuovo lavoro di taxista con tanta umiltà. Lentamente i figli capirono che il cuore del padre batteva ancora e quello del padrone stava morendo e poterono ritornare senza sentirsi umiliati di essere figli del padrone. Adesso anch’essi avevano un padre. Se non ci fosse stato un gruppo alle spalle, ho quasi la certezza che quella conversione non sarebbe mai avvenuta.(1.3 pag.24)

Quest’anno sono andato a celebrare la notte e il giorno di Natale a Daimarì dove c’è un grande accampamento di jajabor (zingari pescatoti). La regione confina con la foresta dove ci sono le troppo famose tigri del Bengala. Mentre ero in quel villagio rivedendo una tomba sempre carica di fiori e candele, mi sono ricordato di un fatto che mi ha stimolato a pensare ancora alla famiglia ricordandomi che i responsabili della famiglia non sono solo i genitori, ma anche i figli specialmente quando questi sono già abbastanza grandi. Era arrivata dalla macchia verde la pericolosa tigre ed era entrata in una capanna vuota del villaggio. Tutti gridarono al pericolo. In pochi secondi un centinaio di persone armati però solo di bastoni, tridenti, forche da pesca, zappe e badili circondarono la capanna dove si muoveva la tigre. In questi casi i giovani non ancora sposati sono quelli che affrontano per primi il rischio: essi fanno scudo ai propri genitori, fratelli più piccoli e tutte le altre famiglie. Si sono avvicinati a pochi metri dalla tigre,una decina di giovani. Quando la tigre tentò di uscire il primo che l’aggredì, fu ucciso immediatamente a zampate e morsi. Gli altri due che hanno fatto da spalla furono gravemente feriti e finalmente tutto il gruppo fu sull’animale che con molta fatica, venne ucciso. Qui in Bangladesh fortunatamente c’è un senso di profona difesa della famiglia e direi specialmente i giovani hanno vivo questo istinto di protezione. Probabilmente le discoteche e tutti i divertimenti a disposizione dei giovani occidentali sembra che non aiutino a coltivare questo profondo senso di appartenenza alla famiglia nucleare e a quella estesa.

Mentre ero in Italia raccontai questo fatto a un gruppo di giovani che si preparavano per il matrimonio. Ad essi dissi: “Fermatevi un momento a pensare (specialmente voi maschi) se avete il coraggio non solo di mettere al mondo un figlio, ma di difenderlo insieme a vostra moglie, alle vostre sorelle e fratelli minori, ai vostri genitori, cioè se avete il coraggio di difendere la vastra famiglia a costo di farvi scudo con il vostro corpo, davanti a una tigre che sta per assalirli. Se sinceramente, in coscienza, vi sentite di dire sì, allora siete sufficientemente maturi per fare questo passo così coinvolgente della vostra vita altrimenti aspettate e voi ragazze se pensate che il vostro fidanzato, oltre alle belle parole che vi dice, credete che sarà capace di difendere voi e i vostri figli,e le vostre famiglie come ha fatto quel giovane pescatore di Daimarì, non abbiate nessuna paura, altrimenti aspettate anche voi". 

Non vorrei diventare noioso, moralista, ma bisogna pur ricordare che molti genitori, dopo aver giurato di essere pronti a morire per i loro figli, spesso non hanno la forza di restare loro vicini quando la fatica del restare uniti nel matrimonio richiede un coraggio non comune, ma eroico e così con troppa facilità privano i figli della mamma o del papà e quindi della famiglia.

E di foreste ce ne sono tante, troppe, con tigri di diverso tipo, pronti a divorarci i figli.

Dopo questi due flash sulla famiglia ritorno ad Alba dove quest’anno si lavorerà sull’iniziazione alla fede da 0 a 6 anni puntando sulla formazione della famiglia lavorando con gruppi di genitori. Al riguardo ho incontrato delle realtà interessanti: D. Giancarlo fa il catechismo ai genitori che a loro volta lo fanno in casa. Nella parrocchia di Santa Rita durante il catechismo si pretende la presenza di almeno uno dei genitori. Con Padre Rocha a S. Paolo, in Brasile, i bambini di 5 e 6 anni insieme ad alcuni adolescenti animatori, durante la prima messa domenicale, sono tutti attorno all’altare, vestiti da chierichetti e a turni leggono le intenzioni, portano le offerte, cantano e servono all’altare. Padre Rocha dice che in questo modo cerca di far gustar loro il sacro e diventare amici di Gesù attraverso la Liturgia. Nella parrocchia di Bhorishal, in Bangladesh, una trentina di famiglie si riuniscono tutti, nelle loro case, dopo cena, per un 20 minuti di preghiera: lettura del vangelo,canti, uno o due misteri del rosario e le intenzioni di preghiera. In questo modo anche i bambini piccoli vengono introdotti alla fede a loro misura. E questo lo fanno da almeno 30 anni, da quando un Parroco aveva introdotto questa bella abitudine (e non si pensi che in Bangladesh ci siano solo serpenti e tigri, bensì televisioni, computer e tutti gli stimoli delle nostre società, anche se accessibili a pochi, ma conosciuti da tutti).

E ora perché non si dica di nessun bambino: “tanto non capisce ancora nulla.”

Oshok, bengalese, orfano, è stato adottato da una famiglia veneta nei pressi di Padova. La burocrazia è stata faticosa e solo a 14 anni si è riusciti a portarlo in Italia. Oshok, mussulmano, conosceva anche degli italiani e aveva avuto molte informazioni sul nostro Paese. Chi lo aveva adottato non avendo sufficienti conoscenze dell’Islam e nell’impossibilità di partecipargli la spiritualità mussulmana gli proposero il catechismo che stranamente il ragazzo accolse con entusiasmo. Era già un mussulmano adulto quindi si poteva prevedere una reazione diversa. Solo l’adolescente domandò se al Catechismo si parlava di Gesù Cristo e ricevuta la risposta positiva accetto con una gioia impensabile.. Arrivò al battesimo, comunione, Cresima e a 27 anni, l’anno scorso, il matrimonio. Io l’avevo conosciuto in alcune visite in Bangladesh. I suoi parenti sono della regione di Silet (nord-est Bangladesh). Sono andato a trovarlo a Padova o meglio, vicino a quella città dove abita adesso, perché avevo una grande curiosità da soddisfare. Dopo aver riscaldato un poco la nostra conversazione, poiché era la prima volta che incontravo la moglie, domandai: “Oshok, come è avvenuto il tuo passaggio al cristianesimo essendo di famiglia mussulmana? Hai sofferto molto per questo? Lo hai vissuto come un’imposizione?(anche se quest’ultima ipotesi non la pensavo più di tanto, perché era troppo sereno)”. Egli con molta semplicità mi rispose: “Ti do un’unica risposta per tutte. Vedi, io ero già come un cristiano, in Bangladesh, anche se non lo potevo dire a nessuno. E questa è una ragione per cui venivo volentieri in Italia. Ecco come la Provvidenza mi ha accompagnato: quand’ero piccolo, avevo 4 anni e andavo a giocare con un mio amico anche lui di 4 anni. Lui figlio di cristiani e io mussulmano. Di tanto in tanto ci nascondevamo in un luogo ben appartato e tranquillo e lui (e qui cominciò a commuoversi) lui mi parlava di Gesù e io ascoltavo. Quando parlava io sentivo come un fuoco qui dentro, proprio come lo sento adesso, tutte le domeniche mentre sono a Messa (non ne ha persa una da 14 anni). Però quel fuoco io lo sentivo già allora, a 4 anni. E ancora ti voglio dire che mentre il mio amico parlava di Gesù, lui piangeva e sai, piangevo anch’io. E capivo che Gesù stava diventando un mio grande amico (a quel punto si fece un lungo silenzio per la commozione e piangevamo di gioia tutti e tre). Vi immaginate quel “missionario” di 4 anni e il piccolo catecumeno di 4 anni pure lui. Nella lettera sulla famiglia che sto leggendo c’è scritto che anche i bambini hanno già la capacità di ricevere il lieto annuncio di Gesù per poter credere e sperare (4.2 pag.50) Quando alla radice c’è stata una fede così coltivata non c’è da stupirsi che i due giovani sposi entrambi capi reparto con un ottimo stipendio, un alloggio meraviglioso offerto dai genitori della sposa, possano osare un sogno molto coraggioso: lasciare la casa, i due stipendi, i parenti e andare a Silet per iniziare a fare famiglia là in Bangladesh adottando, eventualmente una decina di bambini orfani e dare a questi nuovi figli ciò che diversamente la vita non potrebbe mai offrire loro. Ne parlarono con i genitori della moglie di Oshok. Essi si consultarono con il loro gruppo famiglia delle equipe Notre Dame. E venne la risposta: “Se Avete il coraggio andate e se volete un nostro consiglio: ”Andate!” Certo c’era una comunità cristiana alle spalle e un gruppo di sostegno.

Concludo questa troppo lunga lettera commentando: “Molti genitori d’oggi, prima che la bellezza della fede debbono scoprire…la bellezza di essere sposi e genitori”(ibid.4.2)

Una mamma e un papà hanno chiesto, nella preghiera, per diversi anni, un figlio. È arrivato. Facemmo una gran festa e tanto ringraziamento al buon Dio e alla Madonna.

Dopo due mesi il bambino è morto. Ho incontrato la mamma in chiesa davanti all’immagine di Maria: era consumata dalle lacrime.

L’avvicinai, confuso, aspettandomi una reazione di grida tipo: “Perché ce l’ha dato per prendercelo dopo due mesi?” Io cercai qualche parola balbettata per un conforto, ma lei abbracciandomi mi disse: “Lei non sa perché io sono qui. Io sono venuta a ringraziare!” e vedendo i miei occhi ancora più confusi, continuò lei: “ Forse un uomo non può capire, ma, don Renato, devi sapere che io non avrò mai abbastanza anni per ringraziare…, d. Renato, io sono stata mamma per due mesi! Ma si rende conto, mamma per due mesi! Lei capisce che dono grande ho ricevuto? Una maternità per due mesi è un dono inspiegabile. Continuava a ripetere questo ritornello asciugandosi gli occhi e piangendo ancora guardando l’immagine di Maria. “Come potrò avere parole bastanti per dire grazie! Mamma per due mesi, si rende conto?”. Poi mi aggiunse: “E se questo non bastasse, dopo la risurrezione di Gesù tutti i bambini del mondo morti in età prematura hanno raggiunto ugualmente la maturità piena, la Vita Eterna. Il mio bambino non è più morto e io ho potuto introdurlo in questa Vita per sempre. Quando raccontai questo fatto in Italia, durante un’omelia, al termine della Messa incontrai una carissima signora che quest’anno è rimasta vedova e mi venne incontro con le lacrime, ma senza altri commenti mi disse: ”Ho capito. Ringrazio anch’io. 43 anni insieme, si certo che ringrazio!

Buon Natale, anche se siamo a gennaio.

Don Renato 

Pasqua 2011: una lettera agli amici 

Carissimi amici,

non sono riuscito a scrivere in tempo , prima di  Pasqua, ma questo non stupisce.   Sono passati appena quattro giorni dalla più grande celebrazione dell'anno preceduta però da una grande Passione fatta di lacrime, flagelli, chiodi e morte. La morte in Bangladesh ha molti volti, ma specialmente quelli dei bambini e delle donne , perché più fragili e più indifesi. Mi trovo in Bangladesh  a pochi Kilometri da Shariatpur dove è capitato un fatto che purtroppo non è raro. Spesso non si può parlare di fatti simili perché non c'è documentazione sufficiente. Il fatto di cui vi parlo  si è concluso a febbraio scorso, ma solo da poco ne abbiamo avuto notizia grazie all'Ask che è un'organizzazione per l'assistenza legale  e diritti umani. Vicino a Shariatpur viveva Hena figlia del contadino Darbesh. Lo scorso anno era arrivato il nipote Mahbud che era  andato in Malesia per lavoro. Questo nipote di Darbesh ha quasi cinquant'anni. Per diverse volte Mahbub diede  segni di volere Hena. La ragazza racconta tutto al padre che ne parla con gli anziani del villaggio, i quali condannano l'uomo indisciplinato a pagare mille dollari, ma il fratello maggiore di Darbesh lo convince a lasciar perdere e questi accetta perché tra parenti si evita sempre di creare problemi di questo tipo anche se gli anziani hanno ritenuto che una lezione era doverosa. Qualche tempo dopo Mahbud travolto dalla passione aspetta di notte Hena mentre esce dalla capanna per andare al gabinetto. Le mette uno straccio sulla bocca e la trascina dietro un cespuglio.   Hena non volendo cedere allo zio che la picchia e poi la violenta cerca di gridare per  aiuto. Il grido  soffocato è avvertito dalla matrigna che sentendo  corre e li vede  insieme. Porta la bambina in casa la pesta di botte e la calpesta letteralmente. Il giorno seguente l'Imam (autorità mussulmana) e gli anziani vanno alla casa di Mahbub a giudicare il caso con la Legge islamica che autorizza a concludere i casi nei villaggi e la conclusione  è: adulterio. Hena  riceverà 101 frustate e Mahbub ne riceverà 201 , ma lui riesce a  scappare.  I  genitori   della ragazza  assistono all'esecuzione impazziti dal dolore senza poter fare nulla. La fanciulla dice ai genitori l'ultima parola: “sono innocente” e  la flagellazione comincia. Dopo una lunga resistenza crolla al settantunesimo colpo. Portata in ospedale muore la settimana seguente. un'autopsia falsificata  dichiara che è stato un suicidio precisando che non c'erano tracce di ferite. Nel villaggio nasce uno scandalo e la Corte si trova costretta a riesumare il corpo e rifare l'autopsia in un altro ospedale. Viene certificata la morte causata da emorragia interna per le profonde ferite. Mahbub è stato ripreso e arrestato.          

Non ho scritto questa storia per darvi una emozione in più, ma in primo luogo perché fatti come questi ne sono stati registrati oltre 500 negli ultimi 10 anni in Bangladesh,  quindi non è un caso sporadico. Abbiamo il dovere di conoscere ciò che avviene nel mondo, anche nei villaggi sperduti del pianeta dove le parole  “giustizia”, “diritti umani”,  “lotta per l'indipendenza”,  “diritti di professare la propria religione”, sono tutte parole spesso soffocate dai prepotenti. In questi casi, noi dobbiamo smettere di essere spettatori, ma diventare missionari attivisti: qui troviamo il nostro posto: “gridare con loro quando essi decidono di gridare”, “lottare con loro quando essi decidono di lottare per la giustizia e la pace”. Ho riportato la storia di Hena per ripetere che questo paese dove vivo è ancora tanto malato e ha un significativo bisogno di  sostegno anche se bisogna dire che il sostegno non è solo fare l'elemosina ma lavorare molto più in profondità. Se vogliamo che  sempre più persone locali si assumano le responsabilità del loro paese dobbiamo veramente darci da fare. Ma come fare ad aiutare coloro che vivono tanto lontano? Questa è una domanda che spesso in forme diverse viene posta. Molte persone con questo interrogativo vogliono dire: “Io vorrei fare qualcosa, ma diteci che cosa fare in concreto, non solo con parole astratte!” Una  risposta c'è: Cambiare la nostra cultura! Nel nostro caso cambiare la cultura italiana! Scegliere certi giornali e non altri, leggere libri che rincuorano e danno speranza, non perdere tempo, ma professionalizzarsi per diventare in futuro  sostegno ai deboli, installare un "davide.it" per difendre i nostri adolescenti, davanti alle minacce dei computer, perché non tutto è buono davanti a quella macchina divina e diabolica e ancora, sempre per cambiare la nostra cultura, mangiare, vestire, parlare, cantare, danzare  in modo che non offenda i fragili, se pretendiamo di essere di loro sostegno, di conseguenza cambiare noi stessi significherà cambiare  il nostro Paese e il mondo intero,  mentre gli altri cambieranno a loro tempo. Che si voglia o no, i paesi poveri o emergenti cercheranno di seguire i modelli dei paesi cosiddetti “sviluppati” e se lo sviluppo che cerchiamo di fare è fondato sul denaro, potere e benessere oltre che distruggere noi, distruggiamo anche il futuro dei paesi poveri. Spesso noi missionari che viviamo in altri paesi veniamo delegati a risolvere i  problemi del terzo o  quarto mondo e coloro che vivono al nord del mondo pensano che inviando aiuti in denaro, cibo, vestiti hanno già fatto la loro parte specialmente quando sono stati molto generosi. Se l'Europa o l'America vogliono dare un sostegno valido al Sudamerica, Africa o Asia devono cambiare la propria vita e non quella degli altri.  

A noi missionari che viviamo in altri paesi, per esempio, è concesso il solo privilegio di camminare dietro loro aiutandoli semmai a spingere il loro carro che però deve andare nella loro direzione anche se spesso pensiamo che la nostra sia migliore. Noi missionari dobbiamo essere compagni di viaggio e non coloro che tracciano la direzione del cammino. Dobbiamo annunciare il Vangelo, ma poi saper aspettare che essi imparino a viverlo secondo le loro culture. Bisogna pur aggiungere che il solo fatto di fregiarci del nome di missionari non significa nulla. Ho incontrato tanti missionari santi , ma anche altri idioti, come  mi sento spesso anch'io. Siate attenti anche quando fate l'offerta di un centesimo e non buttatelo dalla finestra con gli occhi chiusi, senza sapere dove va e come viene usato: i soldi non sono così nostri come spesso pensiamo e i miserabili nel mondo esistono davvero. Hena era un'adolescente vera e non un pezzo di film e come lei tante e tante e in questi casi  i loro angeli  ci denunciano presso Dio e a noi viene tolta la gioia, la pace e la speranza. Da pochi giorni abbiamo meditato la passione di Gesù Cristo e io in questa settimana camminando per le strade del Bangladesh devo constatare che la passione di Cristo non è ancora finita e facendo un serio esame di coscienza potremmo concludere che non sempre siamo dalla parte di Hena o di Cristo che hanno subito i flagelli, ma spesso siamo stati dalla parte di Mahbub o dei flagellatori di Pilato quando abbiamo organizzato gli aerei per il turismo sessuale con minorenni come Hena o quando abbiamo usato i due milioni di minorenni coinvolti nella prostituzione organizzata o nella pornografia professionale.  E non diciamo subito con tanta sicurezza che noi non centriamo, che non abbiamo mai fatto cose simili.  Tutte le volte che non siamo stati bravi mariti o brave mogli o bravi genitori o bravi religiosi abbiamo partecipato indirettamente quando non siamo stati la causa prima. Questo significa anche cambiare cultura. Chiediamo perdono insieme, perché dentro di noi, Gesù trovi uno spazio per risorgere e allora ci potremo augurare Buona Pasqua e saremo ancora in tempo.

Don Renato Rosso      

P.S.1

Mi incoraggia il testo di una lettera di Santa Caterina da Siena che dice così:

"Oimè non più tacere! Gridate con cento, migliaia di voci. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo [la Chiesa] è impallidita, toltogli è il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso…"

Lettera n°341 

P.S.2 

In febbraio sono venuto in Italia “fuori programma”, causa salute, ma grazie alle vostre preghiere che sempre mi accompagnano ho potuto ritornare nel nostro caro Bangladesh.

Adesso vi chiedo una preghiera speciale per un altro missionario, anche lui, rientrato in Italia per un periodo a causa della salute.

Ancora un'intercessione per i villaggi che da due settimane  sono  completamente senz'acqua. Uno di questi villaggi è Rogonatpur dove operano le Luigine, congregazione albese. (non si ricorda , in Bangladesh un tempo così prolungato senz'acqua). 

Vi invito a ringraziare per un bell'avvenimento  di Chiesa: due suore Luigine  hanno celebrato i 50 anni di vita missionaria in Bangladesh. Su un biglietto che hanno distribuito alle consorelle  c'è una lanterna che illumina il libro della Parola di Dio e accanto due sandali con un bastone che ricorda l' andate in tutto il mondo a predicare il vangelo.

Le altre notizie ce le diremo a voce.