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Genocidio dei Santi Martiri Armeni - Conclusione

 

Genocidio dei Santi Martiri Armeni

Conclusione  

d.  Renato Rosso  ©

Sommario

Tre icone dell'Armenia

Armenia cristiana

Sulla strada della deportazione, una madre ormai senza più forze, senza cibo né acqua, cade sulla strada, per morire con i suoi due figli. Un soldato l’avvicina: “So che stai morendo di fame. Se vuoi, ti porto tutto il cibo di cui avete bisogno tu e i due bambini, però – e mostrò una piccola croce – però devi sputare su questa croce”. La madre la prende in mano e poi, lentamente, con devozione la bacia e la dà da baciare ai suoi due bambini, ben sapendo che quel gesto l’avrebbe condannata. Infatti il militare la uccide all’istante.[82]

Armenia che muore

Presso Deyr-es-Zor, i deportati scheletriti non avevano più nulla da mangiare  e si erano rassegnati 

a cucinare anche carne umana, specialmente quella dei bambini. Una bambina malata era moribonda sulla stuoia. La madre le stava vicina. Arrivò un’ondata di odore di carne cucinata, che veniva da chissà dove. Certamente stavano cucinando la carne di qualche bambino. “Mamma – disse la bambina – va a chiederne un pezzo, io non ce la faccio più”. Con le ultime forze, la madre riuscì ad alzarsi e ad andare un poco avanti ma, qualche tempo dopo, ritornò a mani vuote. “Non hanno voluto dartene nemmeno un pezzo? – disse la bambina – Mamma, quando fra poco morirò, non dare niente della mia carne a loro, mangiala soltanto tu”.[83]

Armenia che risorge

Un bambino di una decina di anni si nascose sotto la sabbia lungo la strada per Deyr-es-Zor. Era muto: gli avevano tagliato la lingua. Quando passava un convoglio, emergeva dalla sabbia e avvertiva i passanti che, laggiù, li avrebbero massacrati. Smetteva di gesticolare solo quando la carovana aveva fatto marcia indietro. Non pensava a salvare se stesso, ma si nascondeva di nuovo sotto la sabbia e aspettava altre carovane di deportati. Quel bambino è oggi il simbolo dell’Armenia che da cent’anni a questa parte fa al mondo intero un appello che da ottant’anni il mondo si rifiuta di ascoltare.[84]

L'icona del perdono

Quando incontriamo una persona che si è caricata della responsabilità di gravissime azioni criminali, siamo tutti tentati di vedere in lei solamente più il male, la violenza, la prevaricazione, l’odio, e non siamo più capaci di vedere quegli angoli di bontà che pure possono coesistere o, meglio, devono esistere perché quella persona possa ancora

NOTE:

[82] Il Patriarca armeno in conferenza.

[83] J. Nazer, Documents of the turkish atrocities.

[84] Y. Ternon, op. cit.

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 sopravvivere. In quegli angoli di bontà di cui nessuno è completamente privo, cantano gli Angeli e la Trinità là poggia i suoi piedi.

Concludo questo viaggio tra i Martiri di Armenia con la testimonianza del sopraccitato Monaco armeno Kevork Hintlian. Lui, figlio di genitori sopravvissuti, è un uomo più grande del Genocidio stesso, che ha voluto riflettere sull’umanità e la disumanità. Ricordo che nella sola città natale ha avuto tutti i suoi parenti (70 persone) martirizzati. Questo monaco mi disse che, a un certo punto della sua vita, suo padre aveva incontrato “un gentiluomo che si chiamava Djemal Pasha, conosciuto come un mostro per la storia ufficiale”. Quando lessi questa frase, mi fermai e mi domandai come fosse possibile per un armeno vedere qualche seme di gentilezza in chi è stato responsabile, insieme ad altri due “colleghi”, di 2 milioni di uccisioni. È vero che, verso la fine, forse lasciando parlare la sua coscienza, Djemal Pasha riuscì a salvare 150mila armeni e alcune migliaia di orfani. Ma un armeno pensa certamente di più a quelli che ha fatto uccidere.

Il mio interlocutore cercò di spiegarmi che, quando riusciamo a perdonare, ci rendiamo disponibili a vedere quei semi di bontà presenti in ogni creatura umana. Ma non solo: mi disse di aver trovato tanta compassione tra i suoi armeni sopravvissuti, che alcuni di loro continuano a voler bene ai turchi e, per stemperare la grandezza di questo fatto, soggiunse che, tra gli armeni, qualcuno ha continuato ad ascoltare musica turca (compreso suo padre).

Il monaco continuò a raccontarmi che è cresciuto in un villaggio di sopravvissuti al Genocidio e mi ricordò che quegli armeni hanno sempre tenuto solo per se stessi le sofferenze, cercando invece di “inondare” di calore, gioia e anche di buon umore i giovani e i bambini. Mi disse che i sopravvissuti non vogliono che si trasmetta ai giovani l’odio, bensì il perdono e che, poco tempo fa, i membri di una organizzazione (G.A.) hanno tappezzato le città di poster, ringraziando gli antenati turchi per aver fatto quella “pulizia etnica”.

Io sono arrossito, ma Kevork, il mio amico monaco, pensando ai suoi morti agonizzanti in quei burroni, agli avvoltoi che volteggiavano in picchiata sui loro corpi con grida raccapriccianti, lanciò ai fratelli turchi una specie di vendetta: “Fratelli turchi, noi abbiamo un messaggio per voi: state certi che la vittima umiliata, abusata, massacrata, ha un enorme potere dato da Dio stesso, il potere del perdono”. Poi continuò che è compito dell’umanità liberare il turco dalla sua miseria ed educarlo a non essere orgoglioso di uccisioni e spargimenti di sangue. E concluse: “Fratelli turchi, noi vi siamo grati, perché proprio attraverso la vostra disumanità avete umanizzato noi armeni”.

Quest’ultimo messaggio fa eco a ciò che, pochi mesi fa, dopo aver assistito in video al massacro dei suoi due figli da parte di alcuni fanatici mussulmani, dopo un attimo di silenzio, a chi le domandava che cosa avrebbe fatto se avesse incontrato gli uccisori dei suoi figli, una madre cristiana rispose: “Li avrei invitati a casa e ringraziati, perché ci hanno fatto entrare nel Regno di Dio”.

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I documenti

Consistono in archivi diplomatici, racconti di deportati, informazioni provenienti dai carnefici, testimonianze nei racconti dei superstiti e degli stranieri presenti sul territorio tra il 1915 e il 1916, nei documenti ottomani stessi. I consolati e le ambasciate comunicarono sempre ogni cosa o, per lo meno, ciò che potevano capire e a volte vedere. Ci sono poi i testi di Andonian e quelli di Bey che, pur nella loro straordinaria importanza, non disponendo di copie originali dei fatti a cui si riferiscono, se non in pochissimi casi, e presentando alcune imprecisioni sul numero dei morti e su altri particolari, non possono essere considerati “documenti” decisivi in un tribunale internazionale contro i responsabili del Genocidio. Comunque queste centinaia di migliaia di documenti, – pur essendo quasi sempre copie e mai originali, che non erano prodotti o venivano immediatamente distrutti –, arrivando da parti diverse e da autori che non potevano confrontarsi prima di dare testimonianza, hanno acquisito un valore quasi assoluto.

Si aggiunga a ciò il fatto che tutta questa documentazione è stata setacciata e vagliata dal maggiore storico e filosofo della storia del secolo XX, Arnold Toynbee, il quale ha potuto pronunciarsi con autorità sui fatti del Genocidio. Egli ha potuto dare un valore unico a questi documenti rapportandoli tra loro, per quanto non fossero suffragati in sé di tutte le proprietà della documentazione storica.

Ci sono poi il Libro Giallo e il Libro Blu: quest’ultimo, pubblicato nel 1916 con una critica e lucida analisi di Toynbee, contiene preziosi rapporti consolari, testimonianze di missionari, di civili neutrali, di funzionari, infermieri, insegnanti, di molti americani, svizzeri, danesi, di alcuni tedeschi e armeni. Tali dichiarazioni non costituiscono “testimonianze giudiziarie”, ma sono assolutamente attendibili perché rilasciate da testimoni oculari: la loro precisione è data dalla concordanza dei fatti. I testimoni, non solo hanno visto, ma anche fotografato quei crimini incontestabili. Una delle documentazioni più preziose è certamente quella del fotografo Wegner Armin, che per due anni fissò sulle sue pellicole alcuni dei momenti più tragici del Genocidio. I testimoni hanno visto migliaia di cadaveri disseminati lungo le strade o trascinati dai fiumi, carnai a cielo aperto, Armeni crocifissi, impalati, con arti tagliati. E questi fatti venivano pubblicati in contemporanea dal New York Times e su giornali e riviste francesi, inglesi e di altri paesi.

Oggi è possibile consultare almeno un milione di testimonianze di altrettanti tragedie di singoli, che nessuno storico serio potrebbe contestare. E specialmente quelle del francescano Basilius Talatinian, del vescovo Grigoris Balakian, del fotografo Armin Wegner e ancora di Henry Morgenthau, Henry Barby, Herbert Adams Gibbons, Harry Stuermer, Alma Johansson, Leslie Davids, Martin Niepage, suor Mohring, Johannes Lepsius e migliaia di altri.

Nella ricostruzione degli avvenimenti attraverso le diverse testimonianze, è stato fondamentale l’aiuto del monaco armeno Kevork Hintlian, che mi ha indirizzato nell’analisi della documentazione, pur tutta preziosa.

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COMUNICATO STAMPA redatto da Radio Vaticana: 7 000 ZINGARI ARMENI MARTIRI

Pagina di storia della Chiesa firmata dagli zingari

Oggi (19 ottobre 2016) è stata consegnata a papa Francesco la Relazione sugli Zingari Martiri di Armenia. Riporto uno stralcio della documentazione.

Quando Arnold Toynbee, uno dei maggiori filosofi della storia del secolo scorso, presentò la popolazione dell’Armenia che, all’inizio del secolo scorso, contava oltre 2 milioni di persone, la classificò così: “Giudei, Bulgari, Cattolici, Ortodossi, Protestanti, Turchi e Zingari”. Questa esplicitazione ci dice che la popolazione zingara doveva essere molto significativa e ben visibile, contando almeno alcune decine di migliaia di persone.

Mentre scrivevo il “Genocidio dei santi martiri armeni” scoprii che gli zingari in Armenia erano battezzati nella Chiesa Armena Apostolica. Pensai che certamente, essendo cristiani, sarebbero stati coinvolti nel genocidio dei santi martiri Armeni, ma l’ipotesi non era suffragata da testimonianze nemmeno indirette e, forse, non saremmo mai riusciti ad avere una testimonianza addirittura scritta, se il vescovo ortodosso Grigoris Balakian non avesse raccontato in oltre 500 pagine la sua fuga dalla deportazione. Egli, essendo vescovo nella provincia dove si trovavano gli zingari al momento della deportazione, testimoniò con molti particolari anche ciò che accadde proprio agli zingari della sua stessa provincia di Kastemouni.

Il testo principale parla infatti del coinvolgimento e della condanna di una porzione di zingari: “Nel giugno 1915, il governo centrale ha promulgato un’urgente ordinanza di deportazione nel deserto di Der Zor, a carico dell’intera popolazione armena della provincia di Kastemouni, dove si trovavano circa 1.800 famiglie o 10mila persone, incluse più di mille famiglie di zingari-armeni”. [85]

Questo testo, in primo luogo, ci dice che gli zingari furono coinvolti nel genocidio dei cristiani Armeni. È bene a questo punto ricordare che la parola “deportazione” era un termine truccato per dire “condanna a morte”. Infatti in alcuni casi le autorità turche, non volendosi macchiare di crimini che in futuro avrebbero potuto condannarli, crearono le deportazioni verso il deserto: viaggi che duravano fino a due mesi, affinché, a causa della mancanza di cibo, delle malattie e degli assalti lungo il viaggio, i deportati morissero. Generalmente gli uomini venivano massacrati poco dopo la partenza, mentre donne, bambini e anziani proseguivano il viaggio verso la morte. Quando qualcuno arrivava vivo a destinazione generalmente doveva riprendere il cammino verso un altro campo, fino a morire.

Avendo raccolto la testimonianza che furono condannati allo stesso modo i circa 7mila zingari nella Provincia di Kastemouni, si può con fondamento ipotizzare che ne siano stati condannati alcune migliaia anche nelle altre province.

NOTE:

[85] «In July 1915, the central Government issued an urgent order to deport to the deserts of Der Zor the entire Armenian population of the province of Kastemouni as well, where there were about 1.800 households, or 10.000 people, including the thousand-plus households of Armenian-Gypsies» (G. Balakian, Armenian Golgotha. A Memoir of the Armenian Genocide, 1915-1918, p.106).

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Più avanti si dice: “Un capitano dei Giovani Turchi, mentre andava da Erzerum a Costantinopoli, portò notizie di ciò che era capitato a Kastemouni e Grigoris Balakian, l’autore di ”Armenian Golghota”, afferma: “Il nostro panico raddoppiò quando abbiamo udito i dettagli dei massacri degli Armeni (zingari), nelle città e nei villaggi vicino a Chankiri (cioè la provincia di Kastemouni)”.  (G. Balakian, op.cit., p. 114. 60 G. Balakian, op.cit., p. 117).

Tra quei crimini, Balakian riporta quello di una ragazza che aveva iniziato la deportazione in una carovana di donne e ragazze, dove otto su dieci erano zingare. Egli racconta che un giovane turco nativo di Sungurlu, mentre accompagnava il convoglio delle deportate, fu conquistato dalla bellezza di una di esse. Propose alla ragazza di salvarsi: diventando musulmana e sposando lui avrebbe evitato la morte. Ma la ragazza rispose: “Perché non diventi tu cristiano, così io ti sposo?”. Il rifiuto mandò il giovane turco su tutte le furie e lei fu immediatamente torturata. In seguito le fu amputato un seno e, rimanendo sempre ferma nella sua fede, fu ridotta in tanti pezzettini. (G. Balakian, op.cit., p. 117).

Il mese scorso, mi sono recato in Armenia, per ascoltare le testimonianze dalla viva voce degli zingari discendenti dei sopravvissuti. Gli zingari di Yerevan, nel quartiere di Kaimaker, Shari-Thak e Marash, provengono da Erzurum e ricordano bene che i loro vecchi parlavano di questi massacri e deportazioni. Alla mia domanda su un numero approssimativo di vittime, la risposta era sempre e solo: “Tanti”. Gli zingari di Gyumry mi dissero la stessa cosa riguardo ai loro parenti uccisi dai turchi nella circostanza del genocidio.

Non avendo altri dati a disposizione, rimaniamo con il numero documentato di 7mila martiri zingari vittime del genocidio armeno, pur sapendo che di fatto il numero delle vittime è stato altamente superiore e dovrebbe superare il numero di 20mila.

In fede,

Don Renato Rosso

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Il libro sul Genocidio dei Martiri Cristiani Armeni è finito.

Se però sei un cristiano credente e praticante, seguimi ancora in queste ultime righe. Se durante la lettura ti sei domandato “Ma Dio, dov’era?”, ti rispondo che Gesù era là, inchiodato con loro. E se durante la lettura e la visione delle immagini ti sei detto: “Che criminali! Senz’ombra di umanità! Come hanno potuto arrivare a tanto! Meritano tutte le maledizioni del mondo”. No! fratello, non dire così! Essi sono nostri fratelli, come Caino, Giuda e come tutti i criminali della storia. E, ancora, non dimenticare che la stessa schizofrenia ha colpito milioni di persone.

Dopo questo Genocidio, i russi hanno fatto lo stesso, gli italiani in Iugoslavia hanno commesso i medesimi crimini, i tedeschi, i cinesi, gli africani e gli americani, tutti ci siamo macchiati allo stesso modo. Quando oggi incontrerai sulla tua strada qualcuno che non ha perdonato, che ha bestemmiato o ucciso un bambino innocente con una baionetta e lo ha buttato nell’Eufrate o l’ha trafitto con una curette affilata e l’ha buttato nell’inceneritore o incontrerai su una pagina di giornale qualcuno che ha appena ucciso la moglie o il marito o stuprato un bambino, se vedi queste cose, dunque, non dire: “Questo è un problema loro, non mi riguarda!”. Non dire: “Peggio per loro!”. Semmai diciamo: “Peggio per noi!”.

Se ti trovi su una barca e ti occupi del motore, mentre un tuo collega bada alla vela e un altro ancora la dirige col remo, non puoi dire: “Io cerco di fare bene il mio lavoro e se gli altri sbagliano, peggio per loro!”. No! Semmai peggio per te, per noi. Gli altri sono un pezzo di noi. Siamo nella stessa barca. O ci salviamo insieme o affondiamo insieme. Allora, ecco una proposta cristiana: quando vedrai le persone che hanno sbagliato, dopo esserti domandato: “Chi sono questi criminali?” ti risponderai: “Si, sono miei fratelli e io posso fare qualcosa per loro. Mi caricherò dei loro sbagli, della loro pigrizia di fare il bene, delle loro violenze. E farò miei questi crimini, proprio come li avessi commessi io personalmente, perché essi non sanno da chi andare per chiedere perdono, qualcuno non sa neppure che esista il perdono, ma io lo so, io so dove andare per farmi perdonare e quando arriverò ai piedi dell’altare, durante quel “Signore pietà” all’inizio della Messa, chiederò perdono io a nome loro. In quel momento potrò diventare collega di Gesù Cristo, il quale si è caricato dei peccati del mondo: Gesù, il Redentore e noi, corredentori con lui.

E ancora, poiché a noi non è dato di giudicare di peccato una sola persona della storia, e quindi poiché ogni criminale che ha commesso azioni orribili potrebbe essere la persona più innocente della storia, in quanto la sua mente potrebbe essere affetta da grave schizofrenia, anche noi possiamo e dobbiamo dire: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Probabilmente nessun turco ha “fatto ciò che ha fatto” sapendo realmente ciò che faceva. Nelle situazioni di guerra si possono scatenare schizofrenie collettive che travolgono il pensiero, la mente e la ragione. Perciò, Padre, perdonali perché non sanno che cosa fanno”.

Di fronte al più grande crimine della storia (e non ne conosco di più gravi) come quello di inchiodare e uccidere un Figlio di Dio, Gesù dice che quel crimine è pazzia e, 

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proprio per questo, merita molta misericordia, tutta la misericordia, molto perdono, tutto il perdono. Ora puoi ritornare a contemplare le immagini, ma non dimenticare di pronunciare la parola “perdono” (richiesto agli armeni e donato ai turchi) e ripeterai questa preghiera di fronte a ogni immagine.

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Documentazione fotografica 

Ritrovate alcune rarissime immagini del genocidio armeno

Bologna (askanews) - A Bologna rivive una scheggia di una delle tragedie più drammatiche del '900, il cosiddetto "Secolo breve". Un filmato, inedito e risalente al 1923 che mostra alcuni rifugiati armeni scampati al genocidio del 1915, verrà proiettato in occasione della XXIX edizione del festival "Il cinema ritrovato". Negli ingialliti fotogrammi - circa quattro minuti senza sonoro e senza didascalie, che si aprono con il titolo "Armenia, la culla dell'umanità all'ombra del Monte Ararat" - si vedono dei bambini stipati su alcune imbarcazioni turche, insieme a colonne di rifugiati ammassati sulle strade e a famiglie accampate in decine di carri ferroviari. "Nelle immagini si nota un palazzo molto noto di Istanbul in cui dopo la guerra aveva trovato sede un orfanotrofio in cui le forze britanniche aveva radunato gli orfani armeni. E in effetti si tratta degli orfani evacuati da Istanbul", spiega Marianne Lewinscky, commissario artistico del festival. Per commemorare il centenario del primo genocidio del XX secolo, il festival di Bologna ha deciso di rendere omaggio al cinema armeno proiettando alcuni film tra cui "L'onore" del 1925 e "Naapet", del 1980, dedicato a un sopravvissuto ai massacri.  

Armenia devastata



Il filmato è stato prodotto nel 1919 per far conoscere il massacro e la deportazione del popolo Armeno da parte dell'Impero Ottomano.

Pur essendo un film è considerato un documentario a causa della sua fedeltà resa possibile da Aurora Mardiganian sopravvissuta al massacro.

Questa edizione speciale è stata prodotta e curata da Richard Diran Kloian  (2009)


Dedicato ad Aurora Mardiganian

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PRIMA PARTE

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SECONDA PARTE